Il Pride che si è consumato l’altro giorno nella salutare assenza di compromettenti segni di riconoscimento ebraico finisce tra le tante cose magari un po’ imbarazzanti, ma dopotutto trascurabili, che l’Italia democratica fondata sull’antifascismo ha ammucchiato ai margini della propria coscienza. La leggiadrìa colorata delle musiche e delle danze in quella parata “dei diritti” reclamava che non arrecasse turbamento l’assenza degli ebrei LGBTQ+, un’assenza dovuta all’incomprensibile capriccio, sfrontatamente manifestato da quella comunità, di non rendersi irriconoscibile e di non rinunciare all’ostentazione del simbolo genocidiario, cioè la Stella di David, con il sovrappiù della pretesa che fossero assicurate condizioni di sicurezza francamente sproporzionate. Perché si ammetterà che qualche strillo contro i nuovi nazisti, qualche bandiera e qualche bastonata possono pur starci in una giornata complessivamente festosa.

Quindi d’accordo, gli omosessuali ebrei è meglio che non stiano nei ranghi democratici del Pride, ma non è che cade il mondo. È ciò che è successo con altri di quei medesimi segni profilatticamente esclusi dal Pride, le Stelle di David che giusto qualche settimana fa, sulle insegne della Brigata Ebraica, erano esposte agli sputi della folla che il 25 aprile gridava “assassini” e “figli di puttana” agli ebrei che celebravano la Liberazione. È quel che è successo nel caso di altre Stelle ancora, ma questa volta disegnate sulle case e sui negozi degli ebrei, ottant’anni dopo, nell’Italia che scrisse le leggi razziali. È ciò che è successo con i cimiteri ebraici vandalizzati, con le pietre d’inciampo vilipese, con le svastiche sui citofoni degli ebrei, con i rabbini pestati per strada.

Tutte vicende meritevoli semmai di qualche sperduta e passeggera deplorazione, ma in generale archiviate nel magazzino dell’indifferenza perché l’antifascismo ha i suoi trasalimenti per le cose che contano, non per queste. Senza che facesse difetto, naturalmente, qualche pensoso rilievo sul fatto che, d’accordo, quei gesti non saranno propriamente commendevoli, ma davanti al genocidio di Gaza si potrà pur comprendere l’intemperanza dell’energumeno che urla “pezzo di merda” a un bambino ebreo davanti a una scuola ebraica milanese, o quella della meglio gioventù universitaria che, con la supervisione del Magnifico Rettore, cura l’igiene dei chiostri cacciando gli studenti ebrei. Si prenda nota di questo, a futura memoria della “stupenda giornata”. Tra i plenipotenziari democratici bardati d’arcobaleno non uno ha ritenuto di prendere il posto degli ebrei omosessuali assenti facendo propri i segni di quell’identità doppiamente discriminata. Non uno che abbia rinunciato a parteciparvi sulla notizia che il “contesto” consigliava agli ebrei di starne fuori per il benessere comune.