Esteri
Il trumpismo di oggi è come il futurismo di ieri

Che cosa farà di quello che sta annunciando lo vedremo, ma Donald Trump sta esercitando tutta l’hybris del cambiamento possibile. Per il mondo europeo è un colpo allo stomaco, ossessionato dall’inazione promossa con l’ideologia del “giusto mezzo”, istruito dalle regole formali del politicamente corretto, controllato dai ruoli della burocrazia che a ogni livello si propone di “purgare” ogni iniziativa politica.
Il cambiamento sgradito
Il trumpismo, piaccia o non piaccia, ce la faccia o non ce la faccia, sembra incarnare quella ventata di voluta discontinuità che forse in Europa e in Italia abbiamo sentito – è un paradosso – per l’ultima volta ai tempi del futurismo, un secolo fa. Il cambiamento è possibile? Nella vecchia Europa è innanzitutto sgradito. Sarà che al di là dell’oceano tutto si elegge – dallo sceriffo al procuratore distrettuale, fino al Presidente della Repubblica – con esercizio diretto della volontà popolare, ma sta di fatto che negli Stati Uniti si dà l’idea di poter tornare a correre.
La velocità è un valore? È un problema di scelta: per i nostri futuristi di cent’anni fa lo era, per i nostri magistrati di oggi no, vista la durata di indagini e processi. Tanto per fare un esempio. L’immobilismo regna sovrano ormai in quasi tutto il perimetro dell’Unione europea; non si tratta più solo di una prerogativa italiana. È sempre meglio non fare, piuttosto che rischiare, facendo, di incorrere in qualche errore di percorso. L’America di Trump, prima ancora che essere giudicata dal fervore dialettico e programmatico, se corre qualche pericolo, lo rischia all’estremo opposto. La velocità è la cifra del tempo e la caratteristica della tecnologia digitale che sta accompagnando le trasformazioni in atto, consapevoli o meno che ne siamo.
La rivoluzione della sostenibilità
Chi non corre è perduto. Non si tratta solo dell’America di Donald, ma dei colossi planetari come Cina o India: le trasformazioni in atto sono repentine e incessanti, tranne che nella vecchia e ovattata Europa. In Italia soprattutto. Quando si mostra una qualche decisione, nell’Unione europea, è sempre a danno di sé stessa. La rivoluzione della sostenibilità, di cui l’Europa si è fatta paladina, ha finito per lanciare un boomerang esiziale sull’economia continentale. Puntiamo sull’auto elettrica? Peccato che non abbiamo produttori in grado di reggere la sfida. Puntiamo sulle energie rinnovabili? Peccato che i produttori leader nelle pale eoliche siano tutti cinesi. Anni fa era stato protagonista della scena tv un personaggio comico, Tafazzi, che si caratterizzava per una insistita autoflagellazione sulle parti intime. All’epoca era stato preso come metafora della sinistra italiana. Oggi potrebbe essere riproposto come allegoria dello spirito europeo contemporaneo.
I pesi e i contrappesi di una democrazia efficiente non erano stati immaginati per determinare una energia a forza zero. Oggi sono percepiti, in Europa, per cristallizzare il presente, o il passato più recente, impedendo l’accesso di nuovi protagonisti e inibendo ogni proposta “disruptive”. Eppure, la società e l’economia contemporanea sono cresciute a colpi di intuizioni discontinue. Il rischio sembra essere bandito. Che si tratti di immaginare il Ponte di Messina, o di costruire modalità alternative di ingresso dei migranti – il caso Albania non so se sia bene o male, ma è un tentativo di risposta di fronte a una inazione europea insistita e persino irritante sul lato Sud dell’Unione – scattano subito i veti della politica “di buon senso” (che teme infiltrazioni mafiose) o della magistratura dei “buoni sentimenti”, che si fa interprete di un verbo immodificabile, anche se giuridicamente incerto.
Non nascere o cambiare
L’Europa si è fatta terra di “sacerdoti” (cooptati, non votati) di una religione laica, in nome della quale innanzitutto si deve impedire. Dal calibro delle zucchine alla produzione di latte, fino alle eco-follie del Green Deal l’unica ragione d’essere sembra quella di bloccare, rinunciare, sterilizzare. Quasi una metafora della crisi demografica. Meglio non nascere piuttosto che cambiare. L’esatto contrario di ogni lezione efficace che viene dallo spirito d’impresa: innovare vuol dire avere il coraggio di cambiare, vuol dire sacrificare una parte del passato per costruire un futuro migliore, con nuove possibilità per chi dimostra il merito, non per “anzianità di servizio”.
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