Giuseppe Di Leo, giornalista e docente, è vaticanista di Radio Radicale. Ha collaborato come vaticanista con “Il Foglio”, “L’Espresso”, “Il Giorno”, “Il Resto del Carlino”, “La Nazione”, “Il Riformista” ed il settimanale “Left”.

Come descriveresti il Pontificato di Papa Francesco?
«Complesso, per tempi complicati come quelli che viviamo. E che si conclude con un bilancio contraddittorio».

Come questo Papa non ce ne sarà un altro, abbiamo titolato…

«Vale per tutti: ogni Papa è diverso dall’altro. Difficile mettere i Papi in maniera seriale, non sono stampini. Ludwig Von Pastor, il più grande storico della Chiesa, diceva che la comunanza dei Pontificati è che si possono giudicare solo nel lungo periodo».

Papa Francesco è stato il “populista di Dio”?
«Era un antipopulista dei populismi occidentali».

Cioè?
«Per esempio, era favorevole ai populismi latinoamericani populistici ma contrario a quello nordamericano che ha portato Trump alla Casa Bianca. Eppure l’uno e l’altro hanno condiviso una critica severa allo status quo geopolitico».

Dunque c’è stata contraddizione in Papa Francesco, fino all’ultimo?
«Diciamo che è strano che non se ne sia accorto. Forse perché la sua sensibilità è rimasta, anche a Roma, quella di un cardinale argentino, latinoamericano. Con una prospettiva territorialmente molto più ampia ma non con parametri culturali diversi».

Dal tuo osservatorio ti sei dato una spiegazione del fatto che Bergoglio non ha mai voluto fare ritorno in Argentina?
«Secondo me proprio per non essere accusato di continuare ad essere argentino a Roma. Per mostrare una cesura. E poter dire: “Vedete, mi sono affrancato da quella dimensione, non pensate che io sia rimasto abbarbicato alle posizioni ecclesiologiche tipiche della Chiesa e della teologia latinoamericana”. Però non ci è riuscito».

La Chiesa è comunque diventata un’altra cosa. Guarda più al Sud del mondo. Rimarrà così?
«Non vorrei che per essere una Chiesa del Sud del mondo, finisse per dimenticare che quella di Milano è la più grande diocesi del mondo e Parigi è la più importante capitale cristiana dopo Roma. Eppure queste due diocesi non trovano rappresentanza nel Conclave».

Dimenticanze, se tali sono, gravi.
«Teniamo presente che il Presidente della Francia ha un ruolo importante nella Basilica di San Giovanni, che è la chiesa del Vescovo di Roma. Eppure la più importante diocesi di Francia, figlia prediletta di Santa Romana Chiesa, non trova posto nel Conclave. Questo è quanto meno strano».

Azzardare previsioni, tentare un Fantaconclave può essere prematuro. Ma cosa pensi che potrebbe succedere?
«Dopo quarant’anni può succedere che la Chiesa europea e gli italiani in particolare si interroghino su un punto. In tempi di guerra, è quanto mai importante che la Chiesa italiana esprima il successore di Pietro. Perché la tradizione diplomatica italiana – non solo perché a Roma è presente l’Accademia Pontificia che forma i Nunzi – è certamente superiore a tutte le tradizioni diplomatiche espresse dalle altre chiese. Se gli italiani non si dividono, potrebbe essere arrivato il momento di un Pontefice italiano».

Escludi un pontefice americano, proprio per riequilibrare lo strapotere secolare?
«Lo escludo proprio grazie a Trump. La sua è una presidenza tracimante, non debole. Ed era dai tempi di Reagan che non c’era una presidenza così esorbitante, capace di mettere in discussione il multilateralismo. Se un vescovo americano arrivasse ora al soglio di Pietro ci sarebbe uno squilibrio troppo forte a favore dell’America».

I funerali di Papa Francesco saranno un grande evento diplomatico, oltreché religioso.
«Lo sono sempre, i funerali dei Pontefici. Lo furono persino quelli di Papa Montini, che era stato un Papa amletico. Anche la partecipazione a quelli di Ratzinger fu sorprendente. Speriamo che quella straordinaria atmosfera influenzi i grandi della Terra che vi prendono parte, e che tornino tutti a casa con qualcosa di più nel cuore».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.