La Nato si riunisce a Vilnius per un summit particolarmente atteso e delicato. Il tema che orienterà la due giorni di incontri sarà inevitabilmente l’Ucraina: pilastro dell’attuale strategia atlantica per l’Europa ma anche centro nevralgico degli equilibri interni all’Alleanza. Il vertice vuole essere l’occasione per confermare la compattezza del blocco. Ma adesso, dopo 500 giorni di guerra, si pongono questioni di ordine politico e strategico che non trovano la medesima accoglienza tra i partner. Il nodo da sciogliere è quello della futura adesione dell’Ucraina. Un tema che vede blocchi trasversali sia a favore che contro.

Al momento Bruxelles, per tentare di superare un’impasse già visibile in questi mesi, ha preferito optare per una soluzione-tampone: la nascita di un Consiglio Nato-Ucraina. Per Kiev un primo step verso la piena appartenenza al blocco euroamericano. Ma è un passaggio che per molti osservatori e decisori, specialmente di area baltica, potrebbe non essere sufficiente a garantire all’Ucraina un futuro di sicurezza. Sembra però difficile, secondo molti, che da Vilnius escano promesse concrete e particolareggiate. Pesano in particolare due questioni.

La prima è fattuale: la guerra in corso rende impossibile l’adesione di Kiev. Questo tema è stato sottolineato sia dal presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, che – pragmaticamente – dallo stesso ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba.

La seconda questione riguarda invece le diverse interpretazioni sull’ingresso di Kiev nella Nato. Per alcuni, dare all’Ucraina una precisa road-map è impossibile, vista la guerra in corso e la mancanza di una chiara prospettiva sul suo esito. Per altri, sostenere Kiev nel percorso di adesione è l’unico strumento per evitare di mostrarsi deboli con Mosca. Per altri ancora, invece, vale il ragionamento opposto: promettere l’adesione in tempi certi rafforzerebbe la convinzione di Vladimir Putin di continuare a combattere per quella paura dell’accerchiamento che contraddistingue il pensiero strategico russo.

Su tutto aleggia però lo spettro di Bucarest 2008: il vertice Nato che promise all’Ucraina un’adesione mai avvenuta e che invece non fermò in alcun modo le mire di Mosca né risolse i dubbi su Kiev. Tra i più cauti, due pesi massimi dell’Alleanza. In Europa, a fare da freno è soprattutto la Germania che – come riportato da diversi media – starebbe temporeggiando per fare sì che dal summit di Vilnius escano garanzie di aiuto militare ma senza stravolgimenti politici. Se confermato, ciò rappresenterebbe la conferma di una linea strategica tipica della tradizione tedesca, già esistente durante l’era di Angela Merkel e non a caso riaffermata da un suo ex ministro, Olaf Scholz.

Oltre ai dubbi tedeschi, si aggiungono poi le logiche degli Stati Uniti che, pur se principali alleati e sostenitori dell’Ucraina, sembrano mostrare una certa ritrosia su impegni che allargherebbero i confini Nato a un Paese in guerra o post-bellico. A Washington, inoltre, sembrano iniziare a osservare anche gli effetti politici del sostegno incondizionato a Kiev in vista delle elezioni del prossimo anno. È probabile che in campagna elettorale, soprattutto in casa repubblicana, si faccia largo un fronte che punti a rievocare quelle «guerre infinite» che fecero la fortuna di Donald Trump.

E questo rappresenta un enorme punto interrogativo per lo staff di Biden, che da un lato deve gestire la guerra e dall’altro lato deve trovare un modo per evitare di fornire all’opposizione argomenti di critica, presentando invece un risultato in politica estera. Non è un caso che proprio l’inquilino della Casa Bianca abbia negato prima del summit l’ipotesi di un voto su una futura adesione, bollandolo come «prematuro», e che abbia citato l’esempio israeliano: una partnership militare estremamente solida pur senza adesione a un’alleanza e che rappresenta un indizio interessante sulle prospettive dell’asse Kiev-Washington.

In attesa di comprendere la soluzione formulata per l’Ucraina, a costituire l’altro capitolo fondamentale di Vilnius è l’adesione della Svezia. Discussione che ruota intorno alla figura del presidente turco Recep Tayyip Erdogan e al veto nei riguardi di Stoccolma. Usa e Nato continuano a lavorare affinché Ankara dia il proprio placet. Erdogan ha alzato di nuovo il tiro, mettendo sul tavolo come contropartita la Turchia nell’Unione europea.

Dalle cancellerie Ue e dalla segreteria Nato la proposta è stata rispedita al mittente, ricordando che l’ok turco è condizionato solo al rispetto di quanto chiesto nei precedenti incontri.

L’impressione già all’arrivo dei leader era che Erdogan intendesse alzare il tiro, soprattutto collegando l’ok alla Svezia con il processo di adesione turca all’Ue. Alla fine, dopo una notte di trattative, Stoltenberg ha annunciato il placet del “Sultano” grazie a concessioni sul commercio da parte di Stoccolma e un maggiore sostegno svedese al percorso di avvicinamento di Ankara all’Unione

A livello strategico, per Washington significa rendere il Baltico un «lago» atlantico ad eccezione di Kaliningrad e San Pietroburgo, blindando la proiezione verso il cosiddetto Alto Nord. Una Nato in espansione, inoltre, sarebbe un messaggio molto chiaro nei confronti di Mosca, ma anche dell’altro rivale sistemico: la Cina. Non è un caso che al vertice di Vilnius siano stati invitati anche i leader di Australia, Corea del Sud, Giappone e Nuova Zelanda. L’obiettivo è quello di mostrare non solo un’alleanza rafforzata, ma anche sempre più globale.

Lorenzo Vita

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