La nostra libertà può apparire saldata al vecchio mondo, infine personalizzata, individualistica, appesa al mito della persona. Oggi la si difende mutandone certi tratti, spersonalizzando il suo processo, intervenendo nel mondo globale per spingere verso un impianto normativo che renda possibile la coesistenza dell’umano, una nuova visione della conservazione della vita oltre gli Stati, oltre gli imperi, oltre i continenti. Un compito immane, cui l’Occidente che conosciamo oggi non è preparato, un processo che, dunque, ha un disperato bisogno di nuove classi dirigenti che possono nascere solo dalle grandi tragedie. Se ci si limitasse al semplice ripristino di ciò che era, le stesse consolidate libertà plurali rischierebbero di non vivere a lungo, allargandosi nel mondo globale l’ombra delle illibertà ignare dell’etica della responsabilità. L’ombra, diciamolo chiaro, di un globalismo violento, dominato dalla geopolitica, e da standard di vita inaccettabili, e non aggiungo altro su questo grande tema. Ma forse il mio è un sogno a occhi aperti. Un auspicio che nasce dall’immagine della possibile pedagogia che sgorga da una tragedia. Chi sa. Tornati alla normalità, vedremo tutti felici e avvinghiati a conservare ciò che avevano perduto. La cosa si spiega, è umana, troppo umana. Ma il troppo umano, abbandonato a se stesso, oggi è esposto ai venti del mondo, a ciò che ti giunge da fuori, all’ospite inatteso il quale non attenderà altro che di tornare, quando sarà vinto. Anche esso, quest’ospite inatteso con il quale oggi coabitiamo, è vita che si vuol riprodurre, attenti a non imitarlo.