Che cosa è e che cosa vuole
Il virus inglese è più forte dell’altro ed è destinato a prenderne il posto
È norma universale che niente in Natura resta immutabile. L’evoluzione di ogni forma vivente è incessantemente soggetta a questa legge. Non bisogna infatti pensare che la teoria di Darwin si applichi solo ai dinosauri o agli ominidi discesi dalle scimmie antropomorfe. Al contrario, proprio in questo momento, sotto i nostri occhi, per quanto incapaci di cogliere le minime differenze delle nuove generazioni rispetto alle precedenti, tutte le specie stanno mutando. Tali mutazioni della prole rispetto ai genitori sono assolutamente aleatorie.
Nella maggior parte dei casi le mutazioni sono irrilevanti e la prole ha le stesse capacità dei genitori di adattamento all’ambiente, e quindi le loro stesse probabilità di sopravvivenza. Spesso le mutazioni sono sfavorevoli e ciò pregiudica l’aspettativa di vita degli individui che la presentano. Aspettativa di vita più breve, corrisponde a una minore capacità di riproduzione e, perciò, a una minore possibilità di generare una prole che erediti quella particolare mutazione. A volte invece la mutazione casuale comporta un vantaggio. L’individuo che la possiede avrà maggiori probabilità di sopravvivere e riprodursi, dando origine a una progenie più numerosa, che diffonderà a sua volta questa mutazione.
Vediamo in pratica come funziona. Dobbiamo arrivare al Coronavirus inglese, ma è bene arrivarci passando per la savana.
Anche un bambino riconosce a prima vista l’anomalia della giraffa. Ci sono sì animali col collo lungo, ma lei esagera… Charles Darwin diede una spiegazione di questa caratteristica che si dimostrò corretta alla prova dei fatti, quando in seguito vennero ritrovati fossili di animali simili alla giraffa, ma con collo più corto. Darwin immaginò che inizialmente le giraffe avessero un collo proporzionato alla loro corporatura ma che, pian piano, generazione dopo generazione, le giraffe nate casualmente col collo un po’ più lungo delle altre avessero maggiore probabilità di sopravvivere e quindi di trasmettere alla progenie questa utile prerogativa. Siccome i germogli più succosi e nutrienti delle piante spinose di cui si nutrono le giraffe si trovano in alto, le giraffe dal collo lungo potevano raggiungerli con più facilità, alimentarsi meglio, essere più robuste, resistere meglio alle carestie e difendersi più efficacemente dagli attacchi dei leoni. Bene, le giraffe possono andare. Veniamo ai virus.
Il virus non si può classificare tout court come essere vivente. A differenza degli esseri viventi propriamente detti, il virus nasce, ma non cresce, non ha organi interni, non si muove da solo, non svolge funzioni metaboliche, e quindi non si nutre e non respira, e non si riproduce autonomamente. Come lo definii altrove, è un pacchetto regalo -indesiderato- per cellule. Nella scatola, un guscio rigido di materiale proteico, è contenuto il suo patrimonio genetico, che viene introdotto in modo truffaldino nella cellula. La cellula a quel punto si comporta allo stesso modo dell’uccellino che si ritrova nel nido un pulcino di cuculo: come l’uccellino, ingannato, è indotto ad alimentare il cuculo, così la cellula è indotta a fungere da “ovulo” per il virus che la feconda. Tutta la macchina riproduttiva cellulare, originariamente predisposta per generare altre cellule, si mette a procreare tanti gemelli, figli del virus che l’ha infettata.
E, nello specifico, come fa il Coronavirus a ingannare la cellula e indurla ad “aprirgli la porta” e ad accoglierlo al suo interno? Con un inganno, appunto. Lo strumento che il Coronavirus usa per perpetrare l’inganno sono le spine che spuntano dalla sua superficie e che i biologi definiscono “spikes”, spine. Il sistema è simile a quello dei dispositivi elettronici che consentono l’accesso all’utente tramite il riconoscimento della sua impronta digitale. Alla cellula servono alcune sostanze nutrienti che si trovano nel flusso sanguigno e che la cellula riconosce dalla loro composizione chimica: Invece di pronunciare la parola d’ordine, la sostanza nutriente arriva in corrispondenza di una porzione della superficie cellulare preposta al riconoscimento di una certa molecola che deve essere fatta entrare. Questa molecola è contraddistinta da una particolare struttura chimica, proprio come fosse un’impronta digitale.
La cellula identifica l’impronta digitale della molecola e consente l’ingresso. Il Coronavirus ha creato un’impronta digitale contraffatta. Le spikes infatti simulano la struttura chimica di una molecola necessaria alla cellula. Il Coronavirus si avvicina alla cellula, espone una delle sue spine a quella parte della parete cellulare predisposta al riconoscimento e il gioco è fatto! Il sensore controlla l’identità attraverso l’esame dell’impronta digitale e viene turlupinato. La parete cellulare si apre e il gran nemico entra senza guerra, anzi accolto come un benefattore. Se solo Dante avesse conosciuto il Coronavirus, non avrebbe mai sostenuto che la “frode è dell’uom proprio male” (Inf. XI, 25)…
Ora abbiamo tutti gli elementi per capire la variante inglese del virus, il pericolo che rappresenta e rispondere alle domande e ai legittimi timori sullo sviluppo della pandemia e su possibili nuove ondate. L’arma segreta del Coronavirus sono quindi le spikes. La battaglia si combatte, da parte del virus, affinando il meccanismo delle spikes e, dalla nostra parte, cercando di disattivare le spikes. Anche in questo c’è un’analogia stringente con la guerra di intelligence: c’è chi cerca di affinare gli strumenti di intrusione e chi cerca di bloccarli, il primo per infiltrarsi, l’altro per impedire l’infiltrazione.
Il meccanismo delle spikes è efficiente, ma non è infallibile. In natura nulla è infallibile e tutto è perfettibile. Anche il predatore più abile e potente non ha affatto la certezza di riuscire a catturare la preda. Al contrario, generalmente, la preda riesce a sfuggire all’attacco. Il Coronavirus non fa eccezione. Le sue spikes sono proprio un bel meccanismo insidioso, ma si può fare di meglio.
Tuttavia un virus non può migliorare da solo le proprie armi, anzi è incapace di fare qualunque cosa, a parte parassitare le cellule. Però il caso può lavorare in suo favore. Generazione dopo generazione, i virus mutano, come le giraffe. Le mutazioni possono essere irrilevanti, dannose, o vantaggiose. Le mutazioni irrilevanti lasciano inalterate le caratteristiche del virus; le mutazioni dannose fanno sì che quel ceppo virale tenda a soccombere e scomparire; le mutazioni vantaggiose, che quel ceppo tenda a imporsi sui suoi cugini meno attrezzati nella lotta per la sopravvivenza.
La variante inglese è un ceppo del terzo tipo, che presenta una mutazione utile alla sua diffusione, consistente in una modifica delle sue spikes.
Dai primi studi condotti, sembra che le spikes della variante inglese abbiano infatti una capacità di infezione superiore. Sono state messe in vitro colture di cellule infettabili da Coronavirus, si sono introdotti sia il Coronavirus originario, che quello inglese, e quest’ultimo ha prevalso. Alla fine, nella coltura si sono trovati solo Coronavirus inglesi. Anche tra i virus c’è rivalità, perfino tra parenti! Domani vedremo cosa comporta la comparsa del ceppo inglese e la ripercussione sulla campagna vaccinale ormai alle porte.
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