In questi giorni Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto Mario Negri, e Fredy Suter, primario all’ospedale di Bergamo, hanno affermato a proposito del Covid: «Prima agisci, più hai successo nell’evitare il ricovero». E ancora: «Moltissimi italiani non ricevono assistenza domiciliare e si rivolgono al pronto soccorso». Remuzzi indica le fasi dell’infezione: per 2-3 giorni la malattia è in incubazione e si è pre-sintomatici; i 4-7 giorni successivi possono essere caratterizzati da sintomi e carica virale altissima. Può seguire un periodo di infiammazione eccessiva con sindrome respiratoria acuta e la “tempesta di citochine”.
A casa, secondo l’Aifa (fino a oggi) ci si deve limitare a prendere l’antipiretico. Invece, il “documento Remuzzi” prevede vitamina D, visita domiciliare e terapia con antinfiammatori, celecoxib, oppure nimesulide, subito. Si può anche ricorrere all’aspirina. Se la febbre persiste, desametasone. Si indicano indagini diagnostiche: emocromo, creatinina, glicemia, proteina C reattiva e transaminasi, oltre la radiografia del torace. Si può prescrivere cortisone, ossigeno e, se si sospetta una sovrapposizione batterica, antibiotico. Se l’esame del d-dimero è elevato, il medico può somministrare eparina. Se la saturazione dell’ossigeno nel sangue diminuisce, è indicato il ricovero in ospedale.
Che Remuzzi sia un fior di scienziato è fuori discussione. Che il documento da lui proposto negli scorsi mesi per la gestione domiciliare del Covid abbia delle solidissime basi scientifiche è altrettanto vero(simile). La mia specializzazione è Igiene e Medicina Preventiva, specifica per l’organizzazione sanitaria. E in Campania ho messo a disposizione una cornice organizzativa, invano proposta a Regione e Ministero della Salute,  in cui il “protocollo Remuzzi” dovrebbe essere inserito. Essa prevede un’apposita formazione per fare fronte ad alcuni punti del “documento Remuzzi”. Il cui primo punto critico rende necessaria una considerazione, da medico: non tutti i pazienti sono uguali. Pertanto il documento proposto dev’essere “sartorializzato” per ciascun paziente. Occorre identificare (è previsto) alcune indagini diagnostiche (analisi di laboratorio, ecografia toracica) da raccomandare ai medici che intendano applicare il “documento Remuzzi”. E allora cosa fare? Nell’organizzazione da me proposta è prevista l’acquisizione di quella che si chiama l’anamnesi, ovvero la storia clinica di ogni paziente, attualmente in possesso dei medici di medicina generale.

Il secondo punto critico è che i pazienti, in caso di recrudescenza della pandemia, sarebbero troppi per i posti letto in ospedale, ma anche per ogni singolo medico che usasse una vecchia tecnologia. E le visite domiciliari sarebbero rischiose per il medico. Dunque? Nella mia proposta è prevista la visita al domicilio di una squadra Usca (opportunamente potenziate), per attivare un’app di comunicazione bidirezionale e il rilevamento dei dati biometrici del paziente, così da stabilire una connessione “in continuo”, oltre a effettuare i rilievi “di base” delle condizioni del paziente, con apposita strumentazione in telemedicina. E, nel caso, attivare interventi medici diagnostici e di trattamento.

Il terzo e più grave punto critico del “documento Remuzzi” è la mancanza di un sistema di immagazzinamento dei dati dei pazienti e della conseguente conoscenza dell’efficacia del trattamento intrapreso. Ecco un altro rimedio: l’immagazzinamento dei dati del paziente e del suo follow up avviene grazie all’invio dei dati ad un database nel possesso del sistema sanitario che è la vera ricchezza del progetto. La ricchezza che ha consentito alla razza umana di progredire, cioè la comprensione dei fenomeni e lo scambio delle conoscenze. Infatti è possibile analizzare il database con un software (eventualmente) dotato di intelligenza artificiale per ogni paziente, confrontarlo con i trial clinici internazionali e produrre una “valutazione di efficacia del trattamento” utile per una miglior conoscenza dell’efficacia delle azioni intraprese.

Infine, il “documento Remuzzi” tiene conto solo della parte strettamente medica, ma il paziente è sempre da valutare nella sua interezza, psico-somatica e sociale e così il protocollo organizzativo da me proposto prevede anche il supporto psicologico ed eventualmente il supporto assistenziale per ogni paziente. Ora, sembra che il presidente Draghi abbia deciso di farsi consigliare del professor Remuzzi. Vorrei fare presente che questa pandemia è assolutamente ingestibile senza soluzioni tecnologiche complesse. Non mi pare che la gestione dell’anno ormai passato abbia dato grandi risultati. I 35mila morti della “prima ondata” potrebbero anche essere stati giustificabili, ma quelli della seconda ondata hanno evidenziato tutti i limiti di capacità dei gestori della sanità pubblica. E, senza voler mancare di rispetto al professor Remuzzi, sono a disposizione gratuitamente per implementare il progetto proposto già un anno fa. Adesso ci sarebbero molte migliaia di morti in meno.