Il Governo sta perdendo del tutto la sua già ridotta credibilità e reputazione nei confronti degli italiani, dell’Europa e dei mercati finanziari. La gestione dei casi Ilva, Legge di Bilancio e Alitalia sono i migliori esempi di questa débâcle. Sulla vicenda Ilva, ad esempio, ritroviamo tutti insieme i tratti caratteristici del governo giallorosso a trazione grillina: balletti, retromarce continue e ascolto tardivo delle parti sociali. L’avvento del governo giallorosso poi ha creato una schizofrenia inaccettabile. L’Esecutivo, infatti, un giorno dice che è per il Green New Deal, usato come slogan per caratterizzare la politica economica contenuta nella manovra, e l’altro di battersi come un leone per tenere aperta l’Ilva, che di Green ha evidentemente ben poco. Con tutti gli effetti che si sono visti. La vicenda del tira e molla sul famoso scudo penale per Arcelor Mittal, infatti, ha influenzato enormemente, complice l’andamento dei mercati, la decisione della nuova proprietà di abbandonare il sito di Taranto.

Il balletto sullo scudo è del tutto analogo a quello al quale abbiamo assistito sulla Legge di Bilancio. Il governo prima minaccia a parole, poi mette nero su bianco norme inattuabili e controproducenti e, infine, fa una bella marcia indietro, rimangiandosi tutto quanto detto in precedenza. Quella dell’Ilva è una gara nata male, eredità degli ultimi governi di sinistra, che avevano deciso di dare priorità al mantenimento dei livelli occupazionali e al piano industriale. A distanza di poco più di un anno (il contratto d’affitto con obbligo d’acquisto è stato firmato a settembre 2018), ci ritroviamo invece con una richiesta di ben 5.000 esuberi su un totale di 9.000 dipendenti. Le parti sociali (sindacati e imprese) andavano ascoltate sin dall’inizio. Convocarli all’ultimo minuto in maniera raffazzonata, come sta facendo l’attuale governo, serve a poco. Eppure, dei segnali di difficoltà c’erano stati, considerando che è dal maggio 2018 che il settore auto, principale cliente dell’Ilva, dà segnali evidenti di debolezza, sia sul fronte domestico che globale. Siamo stati i primi a denunciarlo. Così come siamo stati i primi a sostenere che uno dei motivi principali per cui una multinazionale come Arcelor Mittal potesse avere interesse nell’acquisto dell’Ilva era impossessarsi della sua quota di mercato, non certo per esigenze di aumentare la produzione, in un momento in cui il settore era in forte crisi.

Il governo gialloverde, invece, stimava una crescita addirittura pari al +1,5% annuo. A giugno, poi, l’azienda aveva stimato perdite per 600 milioni annui e un calo di quasi il 30% della produzione. Nemmeno l’avvicendamento al vertice di Arcelor Mittal ha convinto il governo a cambiare rotta. E così, siamo arrivati alla situazione che è sotto gli occhi di tutti: Arcelor Mittal abbandona l’affare e i cocci sono tutti dei lavoratori, dell’indotto e dell’Italia. Ora il governo sarà costretto a finanziare una pesante Cassa Integrazione Straordinaria per i lavoratori di Taranto, a ripristinare in fretta e furia lo scudo penale e magari, per ovvie ragioni di contenimento dei costi, a ritardare il piano di risanamento ambientale. Un fallimento su tutti i fronti. Così come un fallimento è quello della vicenda Alitalia, che continua a perdere soldi (degli italiani), mentre le compagnie estere hanno fatto sapere che senza una ristrutturazione pesante della società non sono interessate a entrare nel progetto. E anche in questo caso, il governo va avanti per la sua strada. In attesa del nuovo, tardivo dietro front.