"Ambiente svenduto"
Ilva, richieste choc del Pm: 28 anni ai Riva, 5 a Nichi Vendola

“Una città svenduta alla grande industria”, sembra un editoriale politico quello del pm di Taranto che ha chiuso ieri la lunga requisitoria del maxi Processo Ilva Ambiente svenduto. Dure le richieste di condanne, per i 47 imputati a vario titolo accusati di reati ambientali per fatti precedenti al 2012. Per Fabio e Nicola Riva, già assolti in via definitiva da tutti gli altri reati, legati a questo processo, da altri tribunali, la richiesta è di 28 e 25 anni. Come per il responsabile relazioni istituzionali Archinà e l’ex direttore dello stabilimento Capogrosso. Pesanti le richieste per tutti i dirigenti della fabbrica. Non mancano i politici, come tutte le inchieste che vogliono ottenere clamore mediatico: 5 anni per Vendola, 8 mesi per Fratoianni all’epoca assessore regionale, 8 mesi per Donato Pentassuglia attuale assessore regionale all’agricoltura della giunta Emiliano.
Quattro anni per il Presidente della Provincia dell’epoca Gianni Florido. Lui, come Riva e Archinà, fu arrestato preventivamente nella foga liberatoria di quei giorni. Con gli striscioni fuori dal carcere che ne invocavano la morte. Solo quando la giunta provinciale diede le dimissioni, facendo decadere il mandato, fu concessa la scarcerazione. La volontà popolare sovvertita per custodia cautelare. Da allora la sua carriera politica è stata completamente interrotta. Come pure quella di Nichi Vendola, che oltre a essere governatore della Puglia, era leader indiscusso della sinistra e guidava un partito che si chiamava Sinistra Ecologia e Libertà. Mentre il partito dei Verdi (quelli di Bonelli per capirci) è stato tra i più duri accusatori di Vendola dentro e fuori il processo.
L’accusa per Vendola è di concussione aggravata in concorso, in quanto, secondo la tesi degli inquirenti, avrebbe esercitato pressioni sull’allora direttore generale di Arpa Puglia, Giorgio Assennato, per far “ammorbidire” la posizione della stessa Agenzia nei confronti delle emissioni nocive prodotte dall’Ilva. Assennato, il professore che mise tecnicamente in piedi Arpa Puglia, quello che installò le centraline ambientali, le stesse grazie alle cui analisi dei dati sono stati rilevati gli sforamenti incriminati. Uno scienziato che nelle stesse intercettazioni era accusato di essere un nemico della fabbrica. E che invece si è ritrovato non solo imputato, ma per cui oggi il pm chiede un anno di pena.
Ma la sorte peggiore è quella che oggi tocca a Bruno Ferrante, l’ex prefetto di Milano, per cui il pm ha chiesto una condanna a 18 anni.
Un uomo delle istituzioni che in nome della sua onorabilità fu chiamato a presiedere Ilva il 15 luglio 2012, esattamente 15 giorni prima del sequestro dell’area a caldo degli impianti. La stessa procura lo nominò custode giudiziario, ma il mandato durò solo due mesi. Il maxiprocesso è andato avanti ininterrottamente dal 2016 al ritmo di tre udienze fiume alla settimana da 8 ore ciascuna, senza pause e senza interruzioni. Con collegi difensivi immolati per la causa. A niente sono valse le richieste espresse da alcuni di loro, tra tutti il presidente delle Camere penali Giandomenico Caiazza che nel processo difende l’ex responsabile relazioni esterne Girolamo Archinà, di sostituire la Presidenza per incompatibilità. Sin dagli inizi del processo fu infatti fatta notare la vicinanza ad associazioni ambientaliste della città, financo ad alcuni cortei.
Nonostante molte intercettazioni sono state rilevate mal trascritte dai periti, molte testimonianze smentite e soprattutto diversi teste hanno smontato le prove dell’accusa, financo la maxiperizia del gip, la richiesta dei pm è stata travolgente. Degna di un processo che sin dal 2012, come scritto sui manifesti, aveva lo scopo di liberare la città di Taranto. Nella certezza che la giustizia non la fanno i pm, e che la sentenza non accoglierà tutte le richieste, siamo ancora al primo grado.
Mentre la fabbrica è ancora lì e i problemi in questi 10 anni sono solo aumentati. Mentre il procuratore capo dell’epoca, cui il Csm rifiutò la richiesta di posticipo del pensionamento, passò sfortunatamente alla politica candidandosi a sindaco di Taranto. Mentre le carriere umane e politiche degli imputati, non tutte, sono state disintegrate ancor prima della sentenza. E ancora una volta si vuole affidare la politica, industriale e non solo, del Paese, a Tar e Procure.
© Riproduzione riservata