Un nuovo video aggiunge un tassello alla complicata vicenda del decesso di Wissem Ben Abdel Latif, il 26enne tunisino morto lo scorso 28 novembre nel reparto psichiatrico del San Camillo dopo essere stato legato al letto per giorni. Il nuovo filmato, pubblicato da Repubblica, è stato girato da un ragazzo che dice di essere stato “nel gruppo di Wissem”, “nel carcere di Ponte Galeria”.
L’uso della “medicina neurologica”
La testimonianza del giovane, che è ora in Francia dopo essere fuggito dal Cpr, non lascia spazio a interpretazioni: “Gli davano delle medicine neurologiche (…) gli ultimi sei giorni è stato portato in ospedale e ieri sera è morto. Da quello che ha detto l’avvocatessa gli avrebbero somministrato la medicina sbagliata. La medicina neurologica la usano per parecchi internati”, spiega il migrante connazionale di Abdel che ha ottenuto notizie di quanto accade nel Cpr da “un’avvocatessa”. Quest’ultima, spiega il protagonista del filmato, ha raccontato “che gli internati sono picchiati e violentati, persino il Corano è stato buttato per terra e calpestato, gli immigrati vengono insultati”. E ancora: “il cibo che prima era del tutto immangiabile ora è peggio, è scaduto”.
Il ragazzo quindi racconta che Abdel è stato portato fuori dal centro per sei giorni, all’insaputa dei compagni e dalla famiglia. Proprio a quest’ultima, il giovane fuggito in Francia rivolge un pensiero: “Wissem, poverino non ha fratelli (…) ha solo una sorella e non posso immaginare lo stato di sua madre (…) che trovi la pace”. E poi lancia un appello: “Speriamo che qualcuno riesca a fare arrivare la sua voce”.
I video denuncia di Abdel
Lo stesso Abdel, prima del decesso, ha denunciato le condizioni in cui vivono i migranti nel Centro per il rimpatrio di Ponte Galeria attraverso due video che sono stati inviati a un amico in Italia. Questi, probabilmente, gli sono costati il pestaggio da almeno un agente. Forse – raccontano almeno tre testimoni a Repubblica – perché è stato trovato con quel cellulare in mano.
Il primo video lo ha inviato il 14 ottobre raccontando all’amico conosciuto su Facebook di aver “viaggiato con tre agenti a bordo. Solo Dio sa cosa ci hanno fatto. Ci hanno tolto i telefonini, tutto. Abbiamo fame, siamo in uno stato che solo Dio lo sa, le nostre famiglie non hanno nessuna notizia di noi. Ti supplico trovaci qualcuno. Un avvocato, qualcuno per aiutarci”. E’ l’appello del giovane 26enne, lanciato prima della sua morte.
“Abbiamo iniziato uno sciopero della fame. Non mangiamo nulla”, ha spiegato Abdel nel secondo video. Il primo ottobre era salito a bordo di un gommone per raggiungere la Sicilia con altri 68 tunisini. Poi è stato portato a Roma. “Non siamo stati ammanettati nel nostro Paese per esserlo qui. Dove sono i diritti dell’uomo? Non capiamo? È tutto una bugia”.
Abdel ha poi denunciato: “Sto rischiando per farvi vedere la verità. Sto rischiando. Sto vivendo una cosa che voglio far vedere. Dio sa. Questa è la mia testimonianza. Siamo decisi a proseguire lo sciopero. Non vogliamo il rimpatrio. Siamo pronti a morire. Possono portare via i nostri cadaveri”.
Per questi video, girati di nascosto con il cellulare salvato dal sequestro all’ingresso del Cpr, Abdel sarebbe stato pestato dagli agenti. L’amico in Italia era riuscito a trovare un avvocato a Genova e aveva messo il migrante in contatto con lei. Abdel sarebbe stato pestato dentro al Cpr tra il 18 e il 23 novembre. Poi il ricovero in ospedale e successivamente la morte.