Il carcere per una donna può essere un’esperienza davvero difficile non solo emotivamente ma anche strutturalmente. M. racconta di essere entrata in carcere a 23 anni. Era poco più che una ragazzina, sola e impaurita. Era tossicodipendente e quando è entrata in carcere poco dopo è andata in astinenza. Anche lei, come altre donne che hanno vissuto il carcere, racconta che la salvezza sono state le compagne che l’hanno tranquillizzata e accolta in quel momento particolarmente drammatico. Restare all’improvviso senza niente, ne soldi ne vestiti fino al primo colloquio, smarrita e con la possibilità di potersi lavare un giorno sì e uno no, stare chiuse in cella, anche in tre persone, senza poter fare alcun tipo di attività ha reso la vita di M. un vero inferno. Lei, ragazza fragile, precipitata nel vortice della droga, aveva bisogno di un poso diverso da quell’inferno per cambiare. Dopo oltre un anno di detenzione in carcere è entrata nella comunità di San Patrignano. “Ora posso dire di aver cambiato vita, se fossi rimasta in carcere sicuramente sarei peggiorata ma ora posso dire di avercela fatta”, scrive. Riportiamo di seguito la lettera di M. a Sbarre di Zucchero.

A Novembre 2017 entro in carcere, era la mia prima detenzione e dopo una notte di maltrattamenti da parte delle forze dell’ordine finalmente riesco a sdraiarmi nello scomodo letto di quella piccola cella. Ero abbastanza spaventata, avevo solo 23 anni, ero in astinenza e ovviamente il metadone l’avrei ricevuto solo dopo l’ok del Sert che arriva alle 4 di pomeriggio. Sono stata accolta dalle altre ragazze inizialmente, anche perché fino al primo colloquio non hai soldi, vestiti o altro. Passavo le giornate con le ragazze conosciute li dentro che mi spiegavano come funziona il “sistema” lì dentro.

Ricordo bene il coordinatore del carcere femminile, un uomo alto e prepotente, non mi spaventa dire come era perché era cattivo e a parere mio odiava le donne e secondo me un uomo che coordina un carcere femminile non è giusto. Se chiedevi di essere messa in cella con un amica anche per poter passare questo periodo di reclusione in una maniera più leggere ti faceva penare le pene dell’inferno prima di darti l’ok. Abbiamo passato 3 mesi a regime chiuso, in piena estate, alcune in 3 in cella senza poter uscire, se ci lanciavamo del caffè o dello zucchero da cella in cella venivamo richiamate o c’era la possibilità che se non ti veniva lanciato bene se lo prendeva l’agente e non te lo dava più. Venivamo trattate come bestie, come se le guardie avessero schifo di noi. Il femminile non ha la doccia in cella e potevamo lavarci un giorno si un giorno no, in estate se ti intrufolavi nelle docce nel giorno in cui non toccava a te venivi richiamata, ma noi andavamo uguale!

Sono stata in carcere poco più di un anno, le giornate erano tutte uguali, ma cercavamo di farcele passare nella maniera migliore, tra amiche, a ascoltare la musica, cantare a squarciagola, farci i capelli, caffè e tante risate, pianti, litigate, insomma si cercava di fare sembrare tutto normalità ma poi entravano le guardie alla quale dava fastidio se cantavi, ridevi e ovviamente ti facevano smettere. Penso che il carcere per le donne sia straziante, in quel carcere non c’erano corsi, scuola, attività, sono ben poche quelle per donne. Le guardie sono sempre incazzate e incattivite, erano poche quelle con un cuore… dopo un anno sono entrata in comunità a San Patrignano dove ho finito di scontare la mia condanna e ho fatto 3 anni e mezzo lì anziché in carcere e ora posso dire di aver cambiato vita, se fossi rimasta in carcere sicuramente sarei peggiorata ma ora posso dire di avercela fatta. Lavoro, pago l’ affitto, le bollette, vado in palestra e la domenica al lago, ho una vita normale ed è la prova che chiunque può farcela.

a cura di Rossella Grasso

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