I. è un’ex detenuta che ha vissuto il carcere tre volte, ha scontato fino all’ultimo giorno le pene che le sono state inflitte, senza trovare alibi o giustificazioni. In una di queste con lei c’era anche il suo bambino. Una situazione difficile, la maternità in carcere, vissuta tra mille paure che le impedivano di lasciarlo anche solo per un istante. Non si fidava di nessuno ma un giorno ha conosciuto quello che definisce “il mio angelo”, un Magistrato di Sorveglianza che le ha dato fiducia e speranza nel futuro. La storia di I. racconta quanto possa essere importante il lavoro di un Magistrato di Sorveglianza e quanto questo possa davvero cambiare la vita delle persone detenute, per un carcere e una pena che non siano una punizione e basta. I. si sente parte della comunità di Sbarre di Zucchero e ha deciso di condividere con tutti la sua storia. Riportiamo di seguito la sua lettera.

Ho deciso di scrivere perchè ero amica (quasi sorella siamese) di Donatela, che porterò sempre nel cuore e perchè sono una donna che ha cominciato a conoscere il carcere sin dalla minore età e nel raccontarvi la mia vita non ho alcuna intenzione di giustificarmi o trovarmi degli alibi, ho scontato ogni pena mi sia stata inflitta, dalla prima all’ultima, tanto più che ho sempre vissuto la mia vita dentro e quella fuori nella normalità; ma dopo quanto successo a Donatela ammetto che il pensiero di entrare in carcere mi fa più paura.

Sono stata detenuta 3 volte, con condanne a 2 anni, 2 anni e 8 mesi ed infine a 3 anni, ho sempre scontato fino all’ultimo giorno le mie pene, non mi sono mai lamentata di niente, ho frequentato corsi e lavorato, senza dare troppe confidenze, finiti i miei compiti tornavo in cella a scrivere ed a vivermi il resto delle mie giornate con le compagne di cella che già conoscevo. Questo accadeva quando eravamo in regime di celle chiuse.

In una successiva detenzione trovai il regime di celle aperte e lì si che ho avuto modo di vivere un carcere diverso, perché col regime aperto il rapporto con le agenti penitenziarie ti faceva vivere meglio, perché quando uscivi o in saletta o in corridoio a far comunella già non andava bene, e oltre alla scuola fatta e rifatta, sui racconti non c’era altro. I momenti belli sono stati quelli condivisi con le altre ragazze perché si instaura amicizia e si condivide la giornata dentro, dimenticandosi la vita fuori, solo così si riesce ad andare avanti e se vuoi riempire le giornate allora vai al lavoro, e lavori 8 ore al giorno per 300 euro al mese, naturalmente è una scelta di questo carcere, non mi viene d’aggiungere altro. Posso solo ringraziare le ragazze che lo hanno condiviso con me e mi hanno fatto passare i giorni.

Nel 2011, con un blitz subito dalla mia famiglia, mi sono ritrovata di nuovo in carcere ma, avendo un bimbo di 7 mesi, sono uscita da Montorio dopo 7 mesi di detenzione per accedere ai domiciliari, dove trascorro 2 anni senza commettere infrazioni. Ma una volta avuti il secondo grado e la Cassazione mi ritrovo con una decina di anni di cumulo che non sapevo nemmeno da dove arrivassero. Preparo così la valigia per me e per il mio piccolino, e veniamo portati in carcere; lì il mio bambino non lo lasciavo mai, lo tenevo sempre in braccio, mai l’ho lasciato portare fuori dalle volontarie perché avevo paura che non me lo avrebbero più riportato. Poi un giorno come tanti le mie compagne del nido mi chiesero di andare con loro perché ci sarebbe stato il Magistrato di Sorveglianza ma io ero molto chiusa, non capivo dove stavo col cervello anche se non prendevo nulla dall’infermeria, nemmeno per il mal di testa e non mi fidavo di nessuno.

Vado comunque a conoscere questo Magistrato di Sorveglianza, senza alcune illusione o speranza e invece, come dissi al mio avvocato, incontrai un “angelo”. Dall’incontro con lui sono cambiate molte cose, dentro e fuori di me, la speranza ritrovata, la legge dalla parte giusta. Ricordo la prima camera di consiglio per poter tornare a casa, in detenzione domiciliare, col parere favorevole del pm, ma chi c’era allora, una donna col rossetto rosso che mai dimenticherò, faceva segno di NO con la testa. Dopo aver passato mesi in carcere, quando ho avuto l’udienza col mio “angelo” siamo usciti in detenzione, 5 anni residui, fatti tutti lavorando, seguita dall’UEPE, mi occupavo di disabili anziani nelle case di cura, sempre per pochi soldi, con un progetto, ma l’importante era avere mio figlio con me e potermi prendere cura di lui. I mesi trascorsi dopo aver conosciuto quel giudice sono stati giorni nuovi e, indipendentemente dal lavoro che fa, è una persona che non uscirà mai dal mio cuore, e lui lo sa, perché ogni volta che lo vedo sembro una bambina che corre ad abbracciarlo.

Ecco a voi la mia esperienza, vi ringrazio per ogni cosa che scrivete perché ci fate sentire meno sole.

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