Le testimonianze dolorose
In carcere non c’è più tempo né spazio, con l’aumento delle pene per disobbedienza la resistenza passiva diventa violenza
Un grido di dolore, una richiesta d’aiuto lacerante, arriva da P.M., detenuto nel braccio C del carcere di Torino Lo Russo e Cutugno. La lettera è stata recapitata al tesoriere di Radicali Italiani, Filippo Blengino, dopo la visita dei Radicali Italiani al carcere di Torino del 18 agosto. Una lettera dolorosa, che parla di dignità e denuncia condizioni disumane.
“Caro Filippo, dopo la tua visita la situazione purtroppo non è cambiata. Senza l’indulto ci condanneranno a crepare come cani rinchiusi in queste celle, dove la sicurezza non esiste, celle bollenti, prive di ogni regola sanitaria, invase da cimici e scarafaggi, dove i diritti degli esseri umani vengono continuamente violati. Mi chiamo P.M. e sono detenuto presso il carcere di Torino ‘Lo Russo e Cutugno’, blocco C. Qui si muore, perché questa non è più una vita dignitosa e, per sfuggire a questa tortura, qualcuno di noi decide di farla finita. Entrati in questo girone dell’inferno, si perde ogni tipo di diritto e non esiste riabilitazione o rieducazione per correggere i comportamenti sbagliati; qui siamo carne da macello, privati della libertà e della dignità. La nostra punizione non può essere crudele, disumana e degradante. Chiediamo di essere salvati da uno Stato che ha deciso che la nostra punizione si traduca nella pena di morte celata! Un malato psichiatrico non è considerato una persona fragile, non gli viene riconosciuto il diritto alla salute. Siamo disperati, aiutateci!”.
Sempre a Torino, nel carcere “Le Vallette”, 57 detenute sono entrate in sciopero della fame per protestare contro le strutture fatiscenti e insalubri, dove è difficile gestire un’esistenza. Nella lettera inviata a Rita Bernardini scrivono che non c’è più tempo né spazio. Dopo il susseguirsi di suicidi, eventi critici, roghi, detenuti e agenti feriti, la costante crescita del sovraffollamento, al termine di un’estate rovente, queste 57 donne hanno deciso di portare avanti una protesta non violenta: uno sciopero della fame a staffetta, per richiamare l’attenzione del Parlamento e delle istituzioni sulla situazione di emergenza totale, richiedendo misure in grado di ridurre il sovraffollamento e la liberazione anticipata speciale di 75 giorni.
“A causa del sovraffollamento, questi magazzini di corpi stanno per esplodere. L’unico crimine che vediamo e che subisce tutta la comunità penitenziaria è l’indifferenza. Ci rivolgiamo al presidente Mattarella, in quanto garante del rispetto della Costituzione: convinca il governo a ridurre il numero dei reclusi, servono soluzioni logiche e umane”.
Di recente è arrivato l’ok della Camera all’aumento delle pene per disobbedienza all’interno di un carcere, compresa la “resistenza passiva”. Costituiscono atti di resistenza anche le condotte di resistenza passiva che impediscono il compimento degli atti dell’ufficio o del servizio necessari alla gestione dell’ordine e della sicurezza. In sostanza viene equiparata la resistenza passiva a condotta violenta. Che dire: “Non c’è più tempo né spazio”. Neanche per la resistenza passiva.
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