Chi ha qualche capello bianco ritorni con la mente al 1984, chi non li ha vissuti provi ad immaginare. Scioperi in tutta Italia per la scala mobile, l’adeguamento degli stipendi al tasso di inflazione che il governo Craxi ha appena abolito. Immaginate che al numero 2 del telecomando ci fosse non il secondo canale della Rai, ma un canale televisivo autogestito non tanto dai sindacati, quanto dalle frange più estreme e violente dei lavoratori.
Quale sarebbe stato l’esito di quello scontro se a guidarlo nella comunicazione non fossero stati il PCI, i sindacati ed i loro media, ma gruppi di violenti, pronti a devastare tutto? Quanto quello scontro sarebbe sfociato in politica e non piuttosto in violenza urbana, in teppismo, in scontri con la polizia, feriti e morti, facendo ripiombare l’Italia nell’incubo terrorismo, fenomeno che da alcuni anni era stato non certamente sconfitto, ma quanto meno ridimensionato?
Il paragone ci serve per capire concretamente cosa sta accadendo in Francia. Perché una delle chiavi di lettura della vicenda delle violenze di piazza di questi giorni va cercata anche nell’impatto enorme che alcuni social media hanno avuto, esattamente come la televisione fece sì perdere ai sindacati il referendum sulla scala mobile, ma evitò anche un esito violento di quella contestazione.
Snapchat, Tiktok, Telegram e Twitter.
Più o meno in quest’ordine, i filmati e le fotografie delle violenze di queste cinque lunghissime notti francesi sono esplosi su questi social network, facendo milioni di visualizzazioni e fornendo a chi voleva unirsi l’andamento in tempo reale dei saccheggi, delle violenze, degli scontri con la polizia. Veniva fornita anche la localizzazione in tempo reale, visto che su Snapchat c’è una mappa (la Snapmap) con la localizzazione aggiornata ora dopo ora degli scontri: così, accanto ad innocui eventi musicali o sportivi, su molte città francesi vedevi il rosso acceso di più utenti attivi e gli snap, i minivideo più cliccati con tanto di etichette: “Distruzioni a Nanterre” o “Rivolta a Marsiglia”, per citarne due. Ed a fare numeri consistenti erano proprio i social network con l’algoritmo più aperto (Snapchat e TikTok in testa), cioè non legato alle bolle di prossimità, ai followers, come invece sono Instagram e Facebook. Sullo sfondo di tutto questo, non va neppure sottovalutato il ruolo destabilizzante della Russia, che nelle settimane scorse proprio in Francia è stata accusata di interferire con attività di disinformazione organizzate, dopo una inchiesta del quotidiano Le Monde.
A denunciare il ruolo di questi social media è stato lo stesso presidente Macron ed il ministro dell’Interno Gérald Darmanin: quest’ultimo ha pure convocato in riunione venerdì scorso i responsabili delle piattaforme, pretendendo una loro collaborazione, senza però ottenere risultati significativi specie da Tiktok (che ricordiamolo, è di proprietà cinese: quasi sicuramente non è un caso).
Certo, disperazione, invidia sociale e povertà culturale delle banlieu non sono particolarmente alimentate dai social network più di quanto già non lo fossero dalla televisione degli anni ‘80. I saccheggi che abbiamo visto nei negozi di molti marchi ci raccontano di una generazione che vuole ma non può, quindi pretende con la forza, esattamente come succede in alcuni videogiochi violenti: e quanto su questo c’entri la rabbia per la morte di un diciassettenne a Nanterre ho qualche dubbio. D’altro canto va ricordato che i social network sono stati fondamentali e continuano ad esserlo per eventi che noi occidentali abbiamo applaudito, come la primavera araba o le proteste in Iran. Ma in una democrazia, nonostante siano garantite la libertà di espressione e di manifestare, ma proprio perché è uno stato di diritto con regole trasparenti che devono riguardare tutti i media, non solo quelli meno moderni, pensare di limitare i social network quando incitano alla violenza, all’odio, alla rivolta, non credo solo sia ammissibile: in vicende come queste, credo proprio sia una necessità.