“In Italia 007 di Teheran infiltrati per controllare gli iraniani”, intervista a Samira Ardalani

“In Italia esiste un dispositivo di controllo e repressione del dissenso direttamente riconducibile al regime di Teheran”. La voce è quella di Samira Ardalani, cittadina italiana, figlia di esuli, oggi portavoce dei giovani residenti iraniani in Italia. Il suo racconto solleva una questione di sicurezza nazionale perché analizza metodi davvero poco ortodossi usati dal regime e coinvolge direttamente la diplomazia iraniana e il suo leader Khamenei.

Signora Ardalani da quando esiste questo dispositivo?
Ovviamente da sempre ma da una decina di anni utilizza il metodo delle infiltrazioni.

Qual è l’identikit del tipico infiltrato del regime e il suo obiettivo?
Niente velo e niente barbe, sono giovani che vestono all’occidentale. Hanno ampie disponibilità economiche, arrivano qui per formazione post laurea, aprono aziende di commercio o associazioni culturali per attirare altri connazionali. Tutto finanziato dal regime. Molti di loro gestiscono pagine social e blog con temi sempre lontani dalla politica: cucina, viaggi, estetica. Offrono consulenze per gli immigrati o gli studenti: vendono servizi e chiedono informazioni sensibili.

Quale scopo si prefigge questo dispositivo?
Il regime si è accorto di aver perso il controllo sulla diaspora e rischia di perderlo anche su chi va all’estero per lavoro e studio con un permesso di soggiorno. Il dispositivo serve a controllare e schedare, le informazioni vengono poi utilizzate anche contro i loro familiari in patria. E ci sono anche chiari tentativi di assoldare nuovi adepti. Con la scusa di fornire servizi spostano somme di denaro con modalità occulte.

Come avviene questo adescamento?
Soprattutto dall’inizio della rivolta non si presentano mai come aderenti al regime ma anzi come critici moderati. Fino al 16 settembre non parlavano di politica, improvvisamente da quella data diventano tutti esperti di meccanismi politici iraniani. Usano i social, entrano nelle dinamiche della comunità locale.

Influencer della propaganda di Teheran, giusto? Ma il regime è ormai davvero indifendibile non crede?
Esattamente, il regime ha perso la sua battaglia, appare a tutti la sua natura sanguinaria. L’obiettivo è mutato ed è duplice e convergente: seminare il dubbio che se cadono gli ayatollah la situazione sarà peggiore e allo stesso tempo sostenere che non c’è una leadership che possa avviare un cambio di regime. Questa seconda fase della propaganda ha come obiettivo l’Occidente, i suoi leader e l’opinione pubblica: far credere che non ci sia un fronte unito, agitare lo spettro di un vuoto di potere.

Di fake news dall’Iran ne sono arrivate non poche, a partire dall’annuncio, falso, della chiusura della “polizia morale”. Ma rimaniamo sul punto. In Iran le manifestazioni hanno una regia, c’è un’opposizione?
L’opposizione esiste eccome ma nessuno può numericamente contarla, questo lo diranno le elezioni libere. La certezza è che le proteste sono scoppiate in oltre 280 città, in tutte le 31 regioni: dire che in Iran non ci sono opposizioni organizzate si scontra con questi dati di fatto. L’organizzazione delle manifestazioni viene allestita in modo sempre uguale perché hanno imparato una tecnica. Chi protesta professa idee diverse ma ci sono nuclei di resistenza che creano le condizioni perché la rivolta rimanga accesa, perché porti le forze della repressione ad uno stress test che le disarticoli.

Ci può descrivere i nuclei di resistenza?
Sono gruppi di persone di ogni estrazione sociale e in ogni fascia d’eta, ultimamente sempre più giovani e donne ne fanno parte: organizzano e sostengono le tecniche di protesta. All’inizio erano composti da 2-3 persone, oggi si stanno numericamente espandendo. Per mettere sotto scacco il regime in una metropoli come Teheran serve coordinamento ma, ovvio, tutto questo non sarebbe potuto accadere senza popolo. Nel novembre 2019 ci furono 4500 morti in pochi giorni di protesta, un bollettino di guerra. Quella lezione durissima non si sta ripetendo.
Ritorniamo in Italia, al dispositivo che ci sta rivelando. Negli Usa nel 2020 un cittadino americano di origine iraniana è stato condannato per aver svolto attività di sorveglianza contro altri cittadini americani che appartenevano al Mek, il partito dei mojahedin. Siamo a questo punto anche da noi?
Partiamo dai numeri: in Italia ci sono circa 15 mila iraniani, quanti di loro sono stati schedati dal regime sul suolo italiano? Chi entra in questa rete per lavoro o studio fornisce dati sensibili, copia di documenti e ovviamente denaro per i servizi proposti. Questa è una schedatura, quanto è legittima? Le minacce a chi partecipa alle manifestazioni sono un metodo sistematizzato, non sono lupi solitari se non in minima parte.

Ma questo sistema di controllo ha collegamenti con il personale diplomatico iraniano in Italia?
Mi è stato riferito che fino a pochissimo tempo fa autorità diplomatiche convocavano periodicamente cittadini iraniani al consolato di Milano: noleggiavano dei bus per portarli lì e sottoporli ad interrogatori. Si trattava soprattutto di studenti. Le ricordo che nel 2020 un agente dei servizi segreti iraniani che viaggiava con un passaporto diplomatico è stato condannato perché stava organizzando una strage che sarebbe dovuta avvenire a Parigi nel corso di una manifestazione della resistenza iraniana.

Quindi le decine di manifestazioni che si svolgono in Italia vengono controllate da questo dispositivo?
Non è una sensazione, è una certezza che ciò avvenga. L’ultimo episodio a mia conoscenza è quello avvenuto a Bologna il 4 ottobre. Due persone vengono identificate dalla polizia perché stavano filmando i partecipanti iraniani.

Lei sa chi erano?
Uno dei due sarebbe, secondo il giornalista Pouria Zeraati, Alireza Ahadian, amministratore delegato dell’industria della ceramica della fondazione Mostazafin, di proprietà di Ali Khamenei, il leader del regime. Mi chiedo se sia una coincidenza che uno come lui ottenga il visto e si trovi a filmare una manifestazione contro il regime. Di solito questi elementi sono scelti tra i Pasdaran o i Basij (volontari paramilitari) e sono tra i più fedeli a Khamenei. Adesso capisce perché questa è una questione di sicurezza nazionale?