Il neoliberismo non è soltanto un modello economico, ma il paradigma che ha ridefinito l’organizzazione sociale e politica degli ultimi decenni. Nato come un’evoluzione del liberalismo classico, ma al contempo incompatibile con esso – e come avrebbe potuto un liberale come Mill apprezzare un sistema che dissolve il ruolo dello Stato e subordina la libertà individuale alla logica del profitto? – ha imposto il mercato come principio regolatore della società, riducendo l’intervento pubblico e affidando il destino collettivo alla concorrenza e alla massimizzazione dei rendimenti.

Persone misurate in produttività

In teoria, avrebbe dovuto garantire crescita, efficienza e benessere diffuso; in pratica, ha prodotto disuguaglianze strutturali, precarizzazione del lavoro e un’accelerazione della crisi ambientale. La promessa neoliberista di prosperità si è tradotta in un mondo in cui il valore delle persone è misurato in termini di produttività, la sanità e l’istruzione sono sempre più privatizzate e il potere si concentra in poche mani, spesso al di fuori del controllo democratico. Se il mercato fosse davvero il meccanismo di autoregolazione perfetto che Hayek e Friedman immaginavano, non ci troveremmo oggi di fronte a una crisi sociale ed economica senza precedenti. Il neoliberismo ha dissolto il legame tra economia e giustizia, riducendo gli individui a semplici ingranaggi di un sistema che premia pochi e marginalizza molti. I dati confermano questa tendenza.

L’abisso tra ricchi e poveri in Italia

In Italia il 5% delle famiglie più ricche detiene circa il 46% della ricchezza netta totale, mentre il 50% più povero possiede meno dell’8%. Negli ultimi 14 anni, la quota di ricchezza del 10% più abbiente è aumentata di oltre 7 punti percentuali, mentre quella del 50% più povero è diminuita di quasi un punto. Numeri che evidenziano come il neoliberismo abbia accentuato la concentrazione della ricchezza, ampliando il divario sociale e minando la coesione delle società democratiche.

Il mercato non deve essere dominio

Il problema non è il libero mercato in sé, ma la sua assolutizzazione. Quando la concorrenza non è regolata, diventa dominio; quando la crescita è l’unico obiettivo, erode il tessuto sociale; quando la ricchezza si concentra senza redistribuzione, la libertà economica si trasforma in privilegio per pochi. Il neoliberismo ha esaurito la sua funzione storica e va superato. Ma come? I concetti più adatti a coniugare libertà economica e giustizia sociale sono il socialismo liberale e il liberalismo sociale, due facce della stessa medaglia. Il mercato deve esistere, ma sotto regole che ne impediscano il dominio da parte delle grandi corporazioni. Lo Stato deve garantire diritti fondamentali come sanità, istruzione e sicurezza sociale, senza soffocare l’innovazione e la crescita. Un welfare adattivo e politiche fiscali progressiste possono riequilibrare le opportunità senza penalizzare l’impresa, mentre una regolamentazione efficace dell’economia digitale impedirebbe l’egemonia delle big tech.

Il XXI secolo non può essere la ripetizione ossessiva di un modello fallimentare. La vera sfida non è scegliere tra Stato e mercato, ma costruire un sistema che protegga i diritti senza soffocare le libertà, che valorizzi l’individuo senza abbandonarlo alle forze impersonali dell’economia. Il socialismo liberale offre questa possibilità: una sintesi tra equità e crescita, tra innovazione e solidarietà. La domanda non è se il neoliberismo possa essere riformato, ma se siamo pronti a lasciarcelo alle spalle.

Edoardo Greblo, Luca Taddio

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