Tondelli è stato e resta uno dei più straordinari scrittori italiani
In lode di Pier Vittorio Tondelli: innovatore, scout e scopritore di talenti altrui
Malinconico ma affilato, pensoso ma divertente, Tondelli è stato anima inquieta, molto contadino in questo, ed esploratore sagace e curioso, molto contadino trasferito nel cuore borbottante di rutilante metropoli in questo altro.
Postmoderno, soprattutto in letteratura, è categoria-mondo che sovente finisce con il gorgheggiare tra i confini della più nebbiosa fuffa: imperscrutabile, impermeabile, incomprensibile, il post-modernismo letterario, come genere e categoria, ha inghiottito nella sua notte nera autori disparati, e spesso disperati, le cui radicali differenze han sempre portato a chiedersi in cosa consistesse la presunta radice comune.
Tra tutti loro, in Italia c’è un nome accomunato spesso al post-modernismo, crudele letto di Procuste che sminuzza e ritaglia la sua stordente poesia e la sua dolorosa, divertita, camaleontica prosa, così inventiva e nuova. Pier Vittorio Tondelli. Nato il 14 settembre 1955, figlio d’Emilia, e del DAMS di Bologna prima che questo divenisse, come il post-modernismo, un trademark buono per ogni sperimentazione, per quanto noiosa e serializzata.
Tondelli è stato e resta uno dei più straordinari scrittori italiani, e non sono qui a redigere perniciose classifiche o gerarchie; sono solo a prendere atto della importanza che questo ragazzo, nato nel solco di un cattolicesimo problematico e rurale, dalla spiccatissima sensibilità e dall’altrettanto spiccata grandezza intellettuale, innovatore, scout e scopritore di talenti altrui, con generosità spesso sconosciuta ad altri autori, ha rivestito nell’asfittico panorama culturale italiano.
Tondelli ‘postmoderno’ lo è stato fatto divenire. La raccolta di saggi, articoli, pensieri, scritti su giovani, amore, musica, racconti esistenziali a ruota libera, viaggi, derive, sconfitte, esaltazioni d’amore e frantumi di solitudine si porta dietro proprio quell’aggettivo, ‘Un weekend postmoderno’, narrazione sontuosa e critica su ciò che sono stati gli anni ottanta.
E Tondelli postmoderno lo è stato in questo suo volteggiare sulle categorie e far poesia dei linguaggi, dei dialetti, dei codici espressivi, delle tribù metropolitane, componendo racconti e romanzi e articoli di vertiginosa profondità, pur permanendo sul lato epidermico di una complessità irrisolta. Malinconico ma affilato, pensoso ma divertente, Tondelli è stato anima inquieta, molto contadino in questo, ed esploratore sagace e curioso, molto contadino trasferito nel cuore borbottante di rutilante metropoli in questo altro.
‘Altri libertini’, il suo primo romanzo, sollevò uno scandalo. Era l’epoca in cui pretori dal forte senso morale perdevano, e facevano perdere, tempo sequestrando i libri, e fu così pure per quel volumetto dalla spumeggiante prosa stratificata e geologicamente liberatoria e pornografica.
In ‘Pao Pao’, il suo secondo romanzo, ci si specchia chiunque abbia preso freddo e si sia macinato le ossa nella noia della naja, perché al di là delle pulsioni sessuali, della frenesia, del senso esistenziale scontrato frontalmente con l’ingranaggio burocratico della caserma e dei suoi linguaggi sclerotizzati, quel romanzo resta uno straordinario affresco di sensibilità interiore.
Tondelli è stato colui il quale, forse unico, ha saputo trasporre in narrativa la lezione disperata di Barthes sulla condizione dell’innamorato. Tutti i suoi romanzi sono romanzi di un amore chiuso, drammaticamente incompreso, di una solitudine lancinante e di partenze notturne, di annientamenti, eppure di una gioia color rubino che brilla sotto il lume rosso di un tramonto, come nella splendida copertina di ‘Camere separate’, edizione Bompiani.
‘Camere separate’, proprio, è il postmoderno riflettere e riflettersi di un senso perduto di annientamento emotivo, un trittico rituale di riflessione sulla scrittura e sull’essere, con una aura ombrosa di malinconia a cesellare e raccogliere il tutto.
Malinconia che traspare in maniera illuminata da ‘Un weekend postmoderno’, ove Tondelli scrive ‘sono partito perché mi sentivo un essere che nascondeva dentro di sé una perdita, una scomparsa nella quale si rispecchiava il proprio, personale, annientamento. Volevo vivere, essere in mezzo agli altri, ma come attraverso un letargo invisibile. Comunque sono partito, di notte, in treno, verso il nord’.
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