Una ventata di sano garantismo pare avere investito in questo ultimo periodo la magistratura italiana. Dopo anni contrassegnati dalla ‘linea dura’ nei confronti delle toghe che incappavano in un procedimento penale o in uno disciplinare, l’approccio sembra essere radicalmente mutato.
Ovviamente questo cambio di passo non può che far piacere ed è segno evidente di una diversa sensibilità verso condotte che in altri tempi avrebbero determinato ben altre conseguenze.
Sembra essere passato un secolo dalla rimozione dalla magistratura di Luca Palamara, cacciato con ignominia, pur essendo incensurato, al termine di un turbo processo disciplinare durato appena un paio di settimane e dove il 90 per cento dei suoi testimoni non erano stati ammessi.
Un segnale di questo rinnovato approccio ispirato al miglior garantismo che avrebbe fatto sicuramente la felicità di Cesare Beccaria lo si riscontra nei confronti di Piercamillo Davigo, l’ex pm più famoso d’Italia e da sempre idolo dei manettari in servizio permanente effettivo.
Il magistrato, come si ricorderà, venne condannato lo scorso anno dal tribunale di Brescia ad un anno e tre mesi di prigione per il reato, molto grave, di rivelazione del segreto d’ufficio circa la diffusione dei verbali delle dichiarazioni dell’ex avvocato esterno dell’Eni Piero Amara a proposito della loggia Ungheria.
Secondo i giudici bresciani, Davigo con il suo comportamento avrebbe poi anche danneggiato l’allora collega del Csm e cofondatore della corrente Autonomia&indipendenza Sebastiano Ardita, ora procuratore aggiunto a Messina, che per questo motivo era stato risarcito con 20mila euro.

Davigo, andato in pensione come giudice ordinario ad ottobre del 2020 al compimento del settantesimo anno di età è rimasto in questi anni in servizio come giudice tributario, dove l’età pensionabile è invece fissata a settantacinque anni.
Nonostante la condanna ad un anno e tre mesi di prigione, Davigo non ha subito alcuna conseguenza, continuando così a svolgere il delicato ed importante compito di giudice fiscale.
Non risulta sul punto che sia stata aperta una pratica nei suoi confronti o che qualcuno gli abbia chiesto di fare un passo indietro.
Giustamente, secondo noi, la presidenza del Consiglio dei ministri, titolare dell’azione disciplinare nei confronti dei giudici tributari, non ha voluto procedere, lasciando Davigo a giudicare serenamente sulle tasse e sulle imposte.
Diverso scenario invece, solo qualche mese prima, per la consigliera di Stato Maria Grazia Vivarelli, anch’ella giudice tributario e condannata in primo grado per fatti, un abuso d’ufficio, che non riguardavano, però, la funzione di magistrato come Davigo, bensì quella di capo di gabinetto del presidente della Regione Sardegna Christian Solinas. Nel caso della magistrata amministrativa si è applicata la ‘linea dura’, con la sospensione dal servizio ed il ritiro del porto d’armi.

Ed a proposito di sospensioni, vale la pena sottolineare ancora una volta le sperequazioni determinate dalla legge Severino, norma approvata nel pieno del furore giustizialista all’indomani delle gesta del consigliere regionale del Lazio Franco Fiorito, detto Batman, e che quando un domani sarà – speriamo – modificata sarà comunque sempre troppo tardi.
Per un amministratore locale è sufficiente la condanna in primo grado per far scattare la sospensione. Sospensione che non scatta per il parlamentare per il quale la condanna deve essere passata in giudicato. Ben venga, dunque, il rispetto del principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza.
Tornando a Davigo, pur essendo egli condannato per un reato inserito fra quelli contro la Pubblica amministrazione, in questi mesi è stato spesso chiamato in Parlamento per fornire i suoi pareri a proposito della riforma di questi reati.

E nessun parlamentare si è mai sentito in imbarazzo: anzi, tutti lo hanno ascoltato con grande attenzione e prendendo appunti. C’è da auspicare che questo nuovo corso garantista valga un po’ per tutti e che si ponga fine alle micidiali black list per coloro che vengono solo sfiorati da una indagine.
Per concludere, dunque, sarebbe bello che nel 2024 tutti venissero trattati come Davigo, stimati e considerati anche in caso di condanna alla prigione.
L’ex pm di Mani pulite, va detto, da parte sua ha contribuito a questa svolta garantista decidendo, verosimilmente controvoglia, di fare appello alla sentenza di condanna. Davigo in passato aveva sempre affermato che gli appelli erano inutili e che servivano solo a prendere tempo e a foraggiare gli avvocati, e che non esistevano innocenti ma solo colpevoli che non erano stati scoperti.