Si sono concluse le elezioni spagnole e, intanto a differenza nostra, la sera stessa a mezzanotte si conoscevano i risultati attraverso un sistema pienamente informatizzato e che in tempo reale ha dato, con velocità degli scrutini e possibilità di simulare le alleanze in Parlamento, un’idea chiara e compiuta di come fossero andate le consultazioni.

Passando alle cose più serie, il voto spagnolo regala sicuramente un’analisi politica interessante: ovvero che, per paura dell’avanzata dell’estrema destra, l’ipotesi di alleanza moderati più populisti, con i secondi a traino dei primi, non viene premiata dall’elettorato in questa fase storica.

Poco male, è sicuramente una bella doccia ghiacciata per chi come Giorgia Meloni sognava di egemonizzare anche la Politica europea con il governo delle destre.
Credo però che, in uno scenario dove tutti più o meno, seppur in modo diverso, hanno perso e difficilmente potranno governare, la notizia più importante che ci arriva dalla Spagna è che il Paese iberico registra una interessante correlazione: per la prima volta c’è stato un boom clamoroso del voto per posta, quasi il 94% degli aventi diritto al voto per corrispondenza ne ha fatto uso e ha partecipato quindi alle elezioni politiche, e contestualmente si è registrato un incremento dell’affluenza generale alle elezioni del 2% circa.

Sarà pur un timido segnale, ma è il segno dei tempi che cambiano e dei Paesi che, scegliendo di allargare le maglie della partecipazione, accettando le sfide poste dalla mobilità internazionale sempre più frequente tra i cittadini europei e della digitalizzazione della dimensione pubblica, decidono di abbracciare strumenti e mezzi sempre più innovativi e differenziati, riuscendo così a dare più opportunità per far esercitare il diritto di voto e quindi far aumentare anche il numero dei votanti complessivi.

Ne è un esempio l’Estonia, che quest’anno a marzo 2023 ha registrato anch’essa un aumento della partecipazione al voto e per la prima volta i votanti da remoto attraverso l’I-voting hanno superato quelli che hanno scelto di votare attraverso il tradizionale metodo cartaceo. Nel frattempo in Italia siamo ai Flintstones, con una delega al Governo approvata a fatica in parlamento per normare il voto fuorisede, solo per europee e referendum, con il governo che si è preso 18 mesi di tempo per legiferare, facendo sfumare di fatto la possibilità di garantire il diritto di voto a centinaia di migliaia di persone anche questa volta alle prossime Europee del 2024.

In sostanza: più gli Italiani si spostano con frequenza e facilità nel proprio continente, più i cittadini scelgono di riservare spazio e tempo alla propria dimensione privata e più spostano la propria dimensione pubblica sul digitale, più noi ci abbarbichiamo ad una preservazione barocca e vetusta dell’esercizio elettorale ancora fermo alle modalità del secolo scorso.

Sorrido pensando al fatto che, in Friuli Venezia Giulia pochi mesi fa, insieme ad Alessandro Maran candidato Presidente per il Terzo Polo, abbiamo parlato diffusamente dell’esigenza storica di rinnovare la nostra democrazia con il voto elettronico da remoto, il certificato elettorale digitale, il voto per corrispondenza e il voto fuorisede, con chi ci ascoltava prendendoci per marziani perché, semplicemente , sostenevamo che fosse l’unico modo per intercettare tutte le nuove esigenze del cittadino moderno, provare a riportarlo alle urne e non far lentamente affievolire e infine spegnere la fiammella della democrazia.

Ieri dall’Estonia, oggi dalla Spagna, arriva una lezione sì politica per Giorgia Meloni, ma soprattutto una lezione di sistema per il nostro Paese, che sempre più anziano e scettico rischia di rimanere prigioniero della paura per ciò che gli sembra sfuggire dal proprio controllo, anziché buttarsi a capofitto nella modernità e imparare a nuotarci dentro come unica chance per costruire un’Italia delle opportunità, anzitutto democratiche.

Non sappiamo ancora per quanto bisognerà lottare per arrivare a ciò, ma per rimanere in tema Ispanico, e parafrasando il poeta argentino Borges, possiamo dire che i Cavalieri combattono solo battaglie che rischiano di esser perse, perché in fondo sono le uniche che meritano veramente di essere combattute sempre, fino alla fine. Saranno in pochi a volersi battere per esse quando saranno ancora impopolari, seppur giuste, e per questo è compito nobile dargli voce, affinché abbiano la forza, infine, di arrivare all’obiettivo.

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Nato nel 1995, vivo a Trieste, laureato in Cooperazione internazionale. Consulente per le relazioni pubbliche e istituzionali, ho una tessera di partito in tasca da 11 anni. Faccio incontrare le persone e accadere le cose, vorrei lasciare il mondo meglio di come l'ho trovato. Appassionato di democrazia e istituzioni, di viaggi, musica indie e Spagna