Ci sono donne sommerse dal bisogno di uno sguardo, e dunque eccomi, vivo, dovrò pur essere preziosa se accendo i tuoi pensieri e rianimo il tuo desiderio. Ci sono donne che nascondono dentro di loro le bambine che furono, e a volte tornano succubi delle fragilità, e a volte s’impongono come una madre balena, proteggendo le piccole sé e schermandole da chi vorrebbe arpionarle. Anna, la protagonista del nuovo romanzo di Michela Marzano, Sto ancora aspettando che qualcuno mi chieda scusa (Rizzoli) è una di loro. È lei, con la sua storia, ma è anche noi, è me, dato che almeno in un unico momento della vita, capita a tutti, e non solo a tutte, di essere Anna.

Nel suo caso, è una donna che vive a Parigi, lavora in radio e insegna giornalismo. Il dibattito che tesse con gli allievi, e che in passato ha già battuto, quando però erano altri tempi e quando il tema del consenso aveva sfumature diverse e diversi erano gli schieramenti, si concentra sull’eredità del #MeToo. Argomento scivoloso, tanto che in questo ricamo, che da una parte tratteggia la storia di Anna fin dall’infanzia e fin dal giorno in cui, bambina, fu vittima di un abuso, e dall’altra ci mostra l’adulta che è, la prosa di Marzano si riempie di domande.

Cos’è il consenso in un atto sessuale? E basta il consenso per legittimare? Ha senso non risalire al contesto? È giusto sorvolare sui rapporti di forza? Domande che erompono da un passato recente della scena globale, in mezzo a quella crepa che il movimento femminista, nelle sue sfaccettature, ha allargato nel discorso comune a suon di tweet. Sembra passata un’epoca. Ora le aule universitarie sono puntellate da cartelli con su scritto: “Consentire non vuol dire cedere!” Oppure: “Sei vittima di molestie? Vienici a trovare”.

Nel romanzo, l’autrice si muove sulla scia della cronaca che la protagonista offre come spunto per le sue lezioni, con tanto di testimonianze processuali, interviste, dichiarazioni, smentite, contraddittori e cinguettii, in mezzo ai quali si articola il ragionamento della giornalista e dei suoi allievi. Due generazioni a confronto: lei, loro. Due appartenenze di genere: maschi, femmine. Volendo andare oltre con l’intersezionalità, due classi sociali: ricchi, poveri. La complessità aumenta nel proliferare dei punti di vista, così come rincarano – finalmente! – le sfumature che si celano dietro ogni storia di presunto o di avvenuto abuso.

È qui che risiede la misura di questo romanzo, nelle possibili venature che corrono dal bianco al nero. Ciò non significa rintracciare una linea valida per chiunque nella tentazione di fare ordine – e non è un caso l’esergo di Brecht: “Dove al posto giusto non c’è niente, c’è ordine” – dato che l’obiettivo non può essere sbarazzarsi del disordine. Nessuno deve negare alle vittime il proprio trauma, ma allo stesso tempo ognuno provi a raccogliere la laboriosità degli istinti umani, dei meccanismi di predazione o degli schemi di difesa, per riposizionare parole come “violenza”, “potere”, “vittima” e “consenso” nel frastagliato universo delle relazioni umane. Lo dice con chiarezza l’antropologa Francoise Héritier: ogni rapporto con l’altro si situa nella frontiera fra il lecito e l’illecito.

Sarà questo il margine di cui Anna andrà alla dolorosa ricerca. Facendo emergere le zone buie del suo passato, le ambiguità intercorse con la madre, e guardando con amore e con sospetto il suo compagno. “Lui è diverso. È quello che ho pensato sin dall’inizio della nostra storia: non è pericoloso, non è come quei maschi che ti portano a letto e spariscono, vogliono primeggiare e ti schiacciano, ti cancellano, ti svuotano”.

È innegabile il fatto che il dramma degli abusi è la fragilità di chi, la violenza, l’ha subita da bambino. Eppure, quante volte bisogna morire per perdere la voglia di poter rinascere? Lo sforzo sarà quello di imparare, da capo, la fiducia. Pur sapendo che le persone a cui si accorda questo privilegio potranno tradirci. Avere fiducia. Ancora. E dovesse poi sopraggiungere un tradimento, l’adulto che siamo diventati saprà schermare col suo peso il bambino che fu. E salvarsi.

Annalisa De Simone

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