Uno spiraglio, nulla più di una porta socchiusa nell’inchiesta genovese, da parte del Tribunale del Riesame nei confronti di Paolo Emilio Signorini, ex presidente del porto di Genova, detenuto nel carcere di Marassi dal 7 maggio. Respinta la richiesta di arresti domiciliari ma solo perché non è stata trovata un’abitazione “adeguata”. Lontano da Genova, per esempio. Ma il copione politico è confermato, solo se ti dimetti ti libero. Così Giovanni Toti, il “cattivo” dell’inchiesta, è ancora agli arresti, mentre il suo ex capo di gabinetto Matteo Cozzani è stato scarcerato dalla giudice Paola Faggioni. La quale ha messo nero su bianco le motivazioni della sua decisione, in controtendenza rispetto alle precedenti nei confronti degli altri indagati. Matteo Cozzani si è comportato bene, scrive nell’ordinanza. E soprattutto “…le intervenute formali dimissioni dall’incarico nel gabinetto del presidente della Regione Liguria costituiscono elementi favorevoli all’indagato che fanno ragionevolmente ritenere che le esigenze cautelari, sia pure ancora presenti, si siano ridimensionate”.

Libero dunque (e presto lo sarà anche per il troncone d’indagine spezzino), anche se solo di giorno, alle sette di sera a nanna fino alle 8 del mattino successivo e tre volte la settimana è pregato di presentarsi ai carabinieri per la firma. Trattamento da mafiosetto, quindi, come già scritto nell’atto di indagine che gli attribuisce quell’aggravante dell’articolo 416 bis per aver avuto a che fare, in qualche campagna elettorale, con i siciliani di Riesi trapiantati in Liguria e Lombardia cui avrebbe promesso un posto di lavoro e un cambio di casa popolare. Impegni mai mantenuti. Un gruppetto di siciliani così pericolosi, Venanzio Maurici e i fratelli Testa, nei cui confronti le misure cautelari non si sono spinte oltre l’obbligo di dimora o di firma e sono state in parte già attenuate. Ma ruota tutto intorno al cattivo del film, Giovanni Toti. Perché, se l’8 luglio il tribunale del riesame decidesse di revocare gli arresti domiciliari al governatore della Liguria, il senso politico dell’inchiesta si sgonfierebbe. E il caso dell’anno, la tangentopoli ligure, sarebbe finita lì. Non circola ottimismo al riguardo, nei corridoi del palazzo di giustizia di Genova.

Tra gli avvocati, quel tribunale composto da Massimo Cusatti, Marina Orsini e Marco Canepa viene definito come “severo”, un eufemismo che cela appena il timore di un allineamento alle tesi della procura, che poi sono identiche a quella della gip Faggioni. E il fatto stesso che ci sia stato un giorno in cui è stata fatta trapelare l’ipotesi di un salto nel buio verso un processo di rito immediato, con l’esclusione di un giudice d’l’udienza preliminare forse non gradito, lascia intendere quanto elevata sia la posta politica di questa inchiesta. È una scommessa che viene tenuta d’occhio anche negli ambienti del sindacato dei magistrati, con le proteste di Area e Unicost, per “il clima” intorno alle indagini. La verità è che le toghe liguri si sono trovate di fronte a un comportamento imprevisto di un pubblico amministratore che ha rivendicato la propria attività politica come legittima in ogni passo, compresi quelli ritenuti illegali dai magistrati. Ha persino osato l’inimmaginabile, non prendendo neppure per un attimo in considerazione l’ipotesi delle dimissioni. E addirittura ponendosi seduto a una sorta di tavolo di trattiva sindacale con gli inquirenti, quando ha detto che se il suo sistema di autofinanziamento elettorale, per quanto legale, non andava bene, non lo avrebbe fatto più, avrebbe cambiato metodo.

Ma la scommessa si è rivelata forte anche nello stesso mondo politico di cui Toti fa parte. E si è persino rafforzata in corso d’opera. Solida nella compagine di governo regionale, come dimostrato, e persino esibito con una conferenza stampa, dopo l’incontro con le parti più significative della sua giunta, il facente funzioni Alessandro Piana e gli assessori Giacomo Giampedrone e Marco Scajola. E poi soprattutto con il coté politico, affatto scontato, in un primo momento. L’incontro che si è svolto nella casa di Toti il 27 giugno, cui erano presenti il rappresentante della Lega, il sottosegretario Edoardo Rixi, Matteo Rosso di FdI e Carlo Bagnasco di Forza Italia, reduce dalla vittoria del centrodestra a Rapallo, è stato giudicato dai partecipanti “approfondito e costruttivo”. Frasi da rituale della politica, certamente. Ma anche una forza della politica che, per la prima volta nella storia trentennale del corpo a corpo con la magistratura, non si è inginocchiata intimorita di fronte alle carte delle procure. Confermata nella sua presa di posizione nell’incontro di ieri con i referenti nazionali di “Noi moderati”, Maurizio Lupi e Pino Bicchielli. Pare oggi sempre più difficile, per i giudici del tribunale del riesame di Genova che si riuniranno l’8 luglio e poi eventualmente quelli della cassazione, motivare, se non esplicitamente sul piano politico, le ragioni di un arresto che si protrae dal 7 maggio senza negare la pretesa, da parte della magistratura, di condizionare la vita politica del paese sostituendosi alla libera scelta dei cittadini elettori.

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.