Lo chiamano già terremoto lagunare
Inchiesta Venezia, sindaco Brugnaro “attinto” e “tutelato” come Toti: l’opposizione già pensa a manifestazione in gondola
Arrestato l’assessore Boraso. Indagato il sindaco per la gestione del suo blind trust: «Esterrefatto». Nell’inchiesta coinvolte 18 persone a vario titolo Nelle carte «la promessa di 150 milioni».
Sicuramente è vero che, come dice il procuratore di Venezia Bruno Cherchi, l’informazione di garanzia inviata al sindaco di Venezia Luigi Brugnaro è stata emessa “a sua tutela”, come del resto prevede la legge. Ma sorprende il fatto che l’alto magistrato non si renda conto di che cosa significhi per il sindaco vedere la propria reputazione gettata in pasto all’opinione pubblica nel bel mezzo di un’operazione con la mobilitazione di 200 finanzieri, che hanno eseguito provvedimenti cautelari nei confronti di 18 persone, arrestato un assessore e sequestrato un patrimonio di un milione di euro.
Il terremoto lagunare
Lo chiamano già “terremoto” lagunare, e si candida a far concorrenza all’altro mare, quello a ovest del nord Italia che vede ancora agli arresti domiciliari il governatore Giovanni Toti. Nel “mirino”, per usare il linguaggio dei quotidiani amici delle procure, apparentemente un assessore di lungo corso, Renato Boraso, che al Comune di Venezia ha le deleghe alla mobilità e che è stato arrestato insieme a un imprenditore edile, Fabrizio Ormenese. Sono gli unici due a esser stati portati in carcere, dopo perquisizioni delle loro abitazioni e uffici. Ai domiciliari sono stati posti funzionari comunali e di partecipate pubbliche, tra cui l’azienda comunale dei trasporti Actv, il cui direttore generale Giovanni Seno risulta tra le persone indagate.
Brugnaro e i campioni del moralismo
Ma è chiaro che il cinghialone dell’inchiesta dell’est non è meno importante di quello dell’ovest, ed è il sindaco Luigi Brugnaro. Un imprenditore che, proprio come il giornalista Toti, è apprezzato come uomo del fare, persona proba e amministratore lungimirante. Oggi si dichiara “esterrefatto” per l’inchiesta a suo carico, sia pure con l’informazione di garanzia, inviata (e subito pubblicizzata) “a sua tutela”. “In cuor mio e in coscienza -ha detto subito il primo cittadino di Venezia- so di aver sempre svolto e di continuare a svolgere l’incarico di sindaco come un servizio alla comunità, gratuitamente, anteponendo sempre gli interessi pubblici”. Infatti nel 2017, dopo la sua elezione a primo cittadino di Venezia, Luigi Brugnaro aveva annunciato nel corso di una conferenza stampa quel che la sinistra aveva sempre chiesto agli imprenditori che entravano in politica e prima di tutto a Silvio Berlusconi, cioè la costituzione di un blind trust, un fondo cieco per la gestione del proprio patrimonio. Per evitare i conflitti di interesse. A Venezia in particolare si erano subito fatti vivi i campioni del moralismo sospettoso, l’ex magistrato Felice Casson e gli esponenti del Movimento cinque stelle. Brugnaro li aveva ringraziati. “Perché -aveva detto- studiando per oltre un anno la situazione, insieme al primo studio mondiale del settore, oltre a introdurre un ulteriore elemento di trasparenza, ho scoperto come ristrutturare e riorganizzare il mio gruppo di aziende”.
Brugnaro “attinto” a “sua tutela”
Sono passati sette anni, Luigi Brugnaro è stato rieletto nel 2020 con oltre il 54% al primo turno, e oggi, a quanto pare, un esposto, provenuto da chissà quale parte della laguna, lo ha destinato alle prime pagine dei giornali, non per le sue capacità, ma per un’informazione di garanzia “a sua tutela”. Beata ingenuità del procuratore Cherchi, che nella conferenza stampa di prammatica, ha detto che l’invio dell’informazione di garanzia al sindaco “forse poteva anche non essere necessario, però per trasparenza dell’attività della procura abbiamo ritenuto che fosse messo a conoscenza che stiamo valutando questo. Non c’è niente di segreto, per cui abbiamo ritenuto di poterlo fare, nonostante non sia stato attinto nemmeno da perquisizione”. Appunto, caro procuratore, non lo avete “attinto”, però avete lasciato intendere che la posizione del sindaco sia in qualche modo contigua a quella dell’assessore Boraso, accusato di autoriciclaggio, emissione di fatture per operazioni inesistenti e interventi in gare pubbliche, in cui secondo l’accusa sarebbero coinvolti anche una serie di pubblici funzionari.
L’area del Pili nel mirino
Si vedrà se e in che misura queste accuse reggeranno ai prossimi gradi di giudizio, ma le indagini sul sindaco Brugnaro riguardano tutt’altro. “Stiamo valutando -ha detto il procuratore Cherchi- la correttezza della gestione del blind trust del sindaco”. All’attenzione della magistratura, o meglio della Guardia di Finanza, che sta facendo la parte del leone in tutte queste inchieste politiche, le trattative di vendita all’imprenditore Chiat Kwong Ching, di Singapore, dell’area del “Pili”, una zona lagunare di proprietà dello stesso Brugnaro. Il sospetto è che nella sua veste di sindaco, il primo cittadino di Venezia abbia promesso, con la complicità del direttore generale del Comune, Morris Ceron e il vicecapo di gabinetto Derek Donadini, indagati, il raddoppio dell’indice di edificabilità e l’adozione di varianti sul terreno.
L’opposizione in gondola
In cambio del versamento di 150 milioni di euro. “Quella -dice Brugnaro- è un’area già edificabile da prima della mia amministrazione, e mai ho pensato, né messo in atto, alcuna azione amministrativa per un cambiamento delle cubature”. Saranno parole gridate al vento, o ci sarà qualche magistrato in procura che avrà tempo e curiosità di ascoltarle? Quel che è certo è che si stanno fregando le mani dalle parti delle opposizioni di sinistra in Comune, e magari anche quelli di Report, che alla vendita aveva dedicato una puntata. Nell’attesa di organizzare una manifestazione in gondola, oltretutto nella città del ministro Nordio, per chiedere le dimissioni di sindaco, assessore e funzionari vari del Comune e delle partecipate, Elly Schlein, Giuseppe Conte, Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli e gli esponenti liguri di Azione stanno marciando verso la presa del Palazzo d’inverno a Genova.
A Toti manette non troppo strette
Obiettivo quella piazza De Ferrari dove ha sede la Regione Liguria, dove c’è quella poltrona vuota che loro contano di riempire con la figura dell’ex guardasigilli Andrea Orlando (forse, ma non è sicuro), che si sta da tempo preparando all’evento. “Dimettiti” sarà la parola d’ordine, non molto coraggiosa se lanciata all’indirizzo di una persona detenuta, per quanto al domicilio. A Giovanni Toti nel frattempo la gip Paola Faggioni ha consentito l’incontro con il vicepremier Matteo Salvini, che dovrebbe avvenire nel prossimo fine settimana. Il ministro alle infrastrutture ha garantito che parlerà di lavoro e non di dimissioni, con il governatore. Che rimane un carcerato, pur con questo clima dei colloqui politici a domicilio introdotto, in modo innovativo, dalla magistratura genovese, in sintonia perfetta tra pm e gip. Che sembrano dire al prigioniero: ti manteniamo le manette ai polsi, però non stringiamo troppo.
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