I due meloni che agitava sul seno, alla vigilia del voto, rappresentano bene la Premier. Ci sono due Meloni, in effetti. Quella che ai tempi di Draghi era il capo dell’opposizione e quella di oggi al governo, per esempio. Una Meloni che ha costruito il suo successo sulla base della coerenza e che però, nella pratica, si rivela straordinariamente incoerente. Due Meloni, a guardare bene, c’erano anche all’opposizione: quella del 2012, quando Fratelli d’Italia venne fondata, era già diversa da quella del 2019. Due Meloni che si rincorrono in un processo evolutivo – o involutivo – incessante. La Meloni che parte dal Fronte della Gioventù di Colle Oppio e finisce a prendere il the a Cernobbio non è e non può essere la stessa persona. E infatti, in politica ormai da trent’anni pieni, nel nome della sbandierata coerenza ha detto tutto e il contrario di tutto. Ha preannunciato cambiamenti epocali che ha sconfessato puntualmente, nel tempo. Ne riportiamo qualche esempio.
Giovedì in Senato replicando all’intervento del leader di Italia Viva Matteo Renzi, Meloni ha dichiarato: «Le ho sentito dire che avrei detto che bisognava uscire dall’euro: non mi ricordo di aver detto che bisognava uscire dall’euro, mentre mi ricordo di aver detto che l’Italia poteva stare in Europa a testa alta ed è esattamente quello che stiamo facendo». Dato che non se lo ricorda, glielo ricordiamo noi: perché la presidente del Consiglio, fatti alla mano, dimostra di avere la memoria corta.

L’Euroscetticismo produce amnesia

Fratelli d’Italia è un partito nato alla fine del 2012 e la stessa Meloni lo aveva definito come un «movimento eurocritico, contrario a questa Europa che ci mette in croce». «O si rinegoziano i patti – aveva dichiarato la fondatrice di Fratelli d’Italia nel 2013 in un’intervista con Libero – o non stiamo nell’euro a costo di uccidere l’Italia». Il programma elettorale di Giorgia Meloni per le elezioni europee del 2014 non toccava piano la palla dell’euroscetticismo. Proponeva lo «scioglimento concordato dell’eurozona», ossia dell’insieme dei Paesi che utilizzano l’euro come moneta unica. Quello che sostengono Gianluigi Paragone o Marco Rizzo, per capirci. «L’euro e le sue regole si sono purtroppo rivelati un fattore di disgregazione dell’unità europea, anziché un elemento di rafforzamento della solidarietà tra i popoli d’Europa», sottolineava il programma sotto al quale campeggiava la firma dell’attuale premier. «Per queste ragioni, Fratelli d’Italia si impegna a farsi promotore nel prossimo Parlamento europeo di una risoluzione comune a tutti i gruppi “eurocritici”, per spingere la Commissione europea a procedere allo scioglimento concordato e controllato dell’eurozona».

Secondo il partito di Meloni, se quella strada non fosse stata perseguita dalle istituzioni europee, l’Italia avrebbe dovuto «avviare una procedura di recesso unilaterale dall’eurozona», ossia uscire dall’euro. La necessità di uscire dall’Euro veniva sottolineata da Meloni anche nel corso del congresso a Fiuggi, sempre nel 2014. “Ho sempre detto che bisognava uscire dall’Euro se non si rinegoziavano i patti. Il punto è che sono convinta ormai che sia del tutto inutile provare a convincere la sorda Germania a ragionare. Dunque penso che l’Italia debba dire chiaramente all’Europa “noi dobbiamo uscire dall’Euro”. All’Euro serve l’Italia molto più di quanto all’Italia serva l’Euro”, diceva, parlando ai suoi. Oggi si fanno spallucce? La Rai ha immortalato il momento. Ancora a due mesi dal voto, Meloni aveva dichiarato durante un comizio elettorale che l’Italia avrebbe dovuto dire «chiaramente» all’Europa: «Noi vogliamo uscire dall’euro: e se pensate che questo sia un problema per l’euro, allora convinceteci a rimanere». La leader di Fratelli d’Italia era in mood Nigel Farage, o Marine Le Pen, tanto da affidare vari post sui social network contro la moneta unica. Eccone alcuni dei principali.

«Marine Le Pen contro l’euro? Ha ragione», aveva scritto la presidente di Fratelli d’Italia su Twitter il 14 maggio 2014, riferendosi alla leader del partito francese di destra Rassemblement national. «Sull’euro abbiamo detto cento volte che SIAMO PER USCIRE», 24 aprile 2014. «Io non so come altro dirlo che siamo per uscire dall’euro», 24 aprile 2014. «Il 13 dicembre in piazza contro l’euro», 9 novembre 2014. «Alla Commissione Ue che dice che l’appartenenza all’euro è irrevocabile dico: niente è irrevocabile in democrazia. Soprattutto la schiavitù», 5 gennaio 2015. «Cos’altro dobbiamo aspettare? Liberiamoci dalla zavorra dell’euro e vediamo come se la cavano i tedeschi a competere con le imprese italiane ad armi pari», 9 settembre 2016. «L’euro è una moneta sbagliata destinata a implodere. Vogliamo lo scioglimento concordato e controllato dell’eurozona», 25 marzo 2017. Poi, come diceva la canzone, rimettiamoci la maglia, i tempi stanno per cambiare. Arrivano le elezioni europee del 2019 e l’uscita dall’Euro non è più consigliata dai sondaggisti. Nel programma la proposta di rinunciare alla moneta unica viene sostituita da Fratelli d’Italia con la richiesta di «misure compensative» per i Paesi svantaggiati dall’introduzione della moneta unica.

Motore, ciack, azione. Meloni e il cortometraggio dal benzinaio

Prima di rivolgersi alle Camere, Meloni si era data alle telecamere. Era il 6 maggio 2019 quando Giorgia Meloni girava quello che è passato alle cronache come “Spot del benzinaio”. La telecamera è stata montata internamente alla macchina della leader di Fdi e futura premier. «Mi fa 50 euro?», chiede al titolare di una pompa di benzina una Meloni automobilista. Tira fuori un po’ di banconote, già suddivise tra quelle da 20 e da 10. Già, perché l’attore vestito da benzinaio la ferma subito: «Mi dia solo 15». «Soltanto 15?», «Si perché le altre le prende il socio». «Il socio?», chiede Meloni. E in quella un altro attore, che si era intanto nascosto sotto al finestrino, compare saltando su come fosse a molla. Veste un completo con cravatta. E davanti alla telecamera piazza un borsone sul quale campeggia: “Fisco”.

Prende i soldi di Meloni e scompare rapidamente. Lei, che sulle prime aveva accennato un salto, spiega: «Avete capito? Quando voi fate 50 euro di benzina, 15 vanno al benzinaio per la benzina e 35 allo Stato. Vanno allo Stato tra Iva e accise, tasse alcune vecchissime… certe ce le abbiamo da quanno hanno inventato er motore a scoppio!». Una trama non finissima, così come poco si è impegnato chi ha scritto il copione. Ma tant’è.

Meloni a quel punto si ricorda di essere una politica impegnata e non una debuttante di Cinecittà e si fa più seria: «Chiediamo che non aumentino le accise sulla benzina ma non solo. Noi pretendiamo (dice gridando ad un volume di voce più da tenore che da soprano) che le accise sulla benzina vengano progressivamente abolite». Sappiamo poi come è andata a finire. Arrivata a Palazzo Chigi, deve aver cambiato macchina, benzinaio e anche il regista dei video. La benzina non è più un problema, non c’è più traccia dell’indignazione di quel 2019 ormai alle spalle. Anzi: le accise servono. Lo dice lei stessa, commentando la sua performance amatoriale: «Gira un video del 2019», avverte (beh sì, lo ha pubblicato e fatto circolare proprio lei). Meloni stessa mette le mani avanti: «Non a caso è un video del 2019 e non di questa ultima campagna elettorale». Come se il populismo funzionasse a corrente alternata: si può fare una promessa impossibile, ma solo negli anni diversi da quelli in cui si governa.

Quando si sa di perdere le elezioni, insomma. «Sarebbe un’ottima cosa tagliare le accise, ma il punto è che bisogna fare i conti con la realtà», dice. «Io non ho promesso in questa campagna di tagliare le accise», specifica. Era la promessa precedente, sottolinea la premier. C’è un tempo per ogni cosa, dice una saggia massima. E bisogna essere flessibili, adattarsi alle contingenze. Però poi non si parli di magnifica coerenza, di congruenza perfetta. Giorgia Meloni si adegua al momento. «Non si adagi troppo, poi finisce il tempo dei laudatores e prima o poi arriva un brusco risveglio», l’ha avvertita Renzi in aula. A chiedere il conto per le promesse tradite sarà chi il proprio conto lo deve pagare ogni giorno, dal supermercato al benzinaio (vero).

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.