Esiste anche in Francia una gauche che vorrebbe imitare l’ideologia woke americana. Questa spinta illiberale Oltralpe è partita, così come negli Stati Uniti, dalle università. E a differenza dell’Italia si sta espandendo, se pur il fenomeno sia senz’altro contenuto rispetto al mondo anglosassone. Perché il Paese dell’illuminismo, del patriottismo di De Gaulle, dello Stato forte e centralizzatore, non è facilmente espugnabile. E reagisce.

I francesi e la difesa della loro identità sono una cosa sola: è francese Charlie Hebdo, è francese Samuel Paty, il martire della libertà ucciso dai terroristi mentre teneva una lezione sulla libertà di espressione. In Francia, si sa, la lingua è parte essenziale di questa identità. Un esempio per tutti? In francese la parola computer non esiste. Lo chiamano ordinateur. La Commissione per l’arricchimento della lingua francese, voluta da Charles De Gaulle per evitare di importare termini stranieri e per crearne di francesi ad hoc, sforna nuovi termini ogni qual volta ce ne sia bisogno. Per dire fake news, loro dicono infox.

La polemica scoppiata in Italia sulla proposta di Fratelli d’Italia di imporre l’uso esclusivo dell’italiano alle pubbliche amministrazioni- alquanto goffa nei modi in cui è stata proposta – in Francia non sarebbe mai esplosa: semplicemente perché quella legge c’è da sempre. La difesa della lingua è, per la Francia, una questione seria. Lo è sia che a insidiarla sia l’inglese, sia che lo sia il politicamente corretto. (E comunque, anche per quello, hanno trovato un termine tutto loro: il diversity editor a Parigi si chiama démineur éditorial).

Tanto seria che sul tema, nel 2017, il Primo Ministro del Governo di Emmanuel Macron, Édouard Philippe, ha adottato una delibera che proibisce l’uso della cosiddetta “scrittura inclusiva”. L’allora ministro della gioventù e dell’educazione nazionale, Jean-Michel Blanquer, ha scritto quindi sulla stessa falsariga ai rettori, e fondato addirittura un’Accademia di resistenza alla cancel culture. Nonostante ciò, le università ideologizzate si sono sentite libere in alcuni casi di ignorare il Governo. Questo perché non esiste una vera e propria legge che vieti di utilizzare questo nuovo linguaggio. Come racconta Le Figaro, l’università di Grenoble ha adottato di recente infatti una delibera scritta utilizzando la “scrittura inclusiva”. E allora ci ha pensato la giustizia.

Sul ricorso di un professore, il tribunale amministrativo di Grenoble ha annullato la delibera perché “incomprensibile”. Ed è in questo la genialità di questa storia: perché in fondo il primo problema di questo presunto linguaggio inclusivo è che non si capisce nulla. E la legge prima di tutto deve essere chiara per tutti. Esiste poi un aspetto più profondo che chiama in causa l’essenza stessa della lingua. Una lingua non è un semplice strumento di comunicazione. In ogni parola, nella sua etimologia, vi è una storia, un racconto.

La parola pecuniario viene da pecunia, che in latino significa denaro. Che a sua volta, viene da pecus, gregge. Ed è una macchina del tempo che riporta indietro ai tempi dei primi romani, quando la ricchezza era costituita dal gregge. La lingua insomma, racconta la storia e la società. Quel filone ideologico che vuole modificarla e introdurre il genere neutro, con l’utilizzo di asterischi e schwa con un effetto spesso ridicolo, lo fa con questa consapevolezza. Il problema però è che non è imponendo forzatamente un linguaggio che si legittima come nel caso di specie il genere neutro: questi sono passaggi che- se avvengono- sono culturali e storici. E richiedono tempo. L’alternativa è stata imporli. Con risultati oltre che aberranti e dolorosi, praticamente nulli. E questo ce lo insegna quella stessa storia che i nuovi intolleranti vorrebbero cancellare.