Il caso della dirigente Miur
Indagata e messa alla gogna, Giovanna Boda in fin di vita: ma le accuse non tornano

Adesso a Roma sono tutti con lei. Giovanna Boda, la dirigente Miur che ha tentato di suicidarsi dopo essere finita in un improvviso shitstorming mediatico-giudiziario, lotta tra la vita e la morte. È in prognosi riservata dopo essersi lanciata nel vuoto, fuori dalla finestra del suo avvocato in Piazza della Libertà. È stata travolta dal combinato disposto tra le incursioni delle Fiamme Gialle e quelle dei cronisti intercettatori. Sconvolta, non ha retto all’impatto con lo choc.
Il personaggio è notissimo, Boda è entrata al Miur per concorso nel 1999, con Giovanni Berlinguer, ed è stata promossa poi da Beppe Fioroni, Maria Letizia Moratti, Francesco Profumo, Lucia Azzolina. Anche il nuovo ministro Patrizio Bianchi si è detto sconvolto per la notizia, e si è stretto subito intorno alla famiglia. Le accuse a suo carico sono per corruzione: avrebbe fatto leva sul suo ruolo di Capo del dipartimento per la programmazione e la gestione delle risorse umane, finanziarie e strumentali, grazie all’ultima decisiva promozione disposta dal ministro Lorenzo Fioramonti, secondo governo Conte. Le accuse sono tutte da provare, e per il momento risultano, a dire di chi la conosceva bene, del tutto inammissibili.
Nell’ordinanza che ha dato vita anche a tre perquisizioni (a casa, al Ministero e presso una soffitta di sua proprietà), si parla di una ipotesi corruttiva che vede coindagato Federico Bianchi di Castelbianco, editore dell’agenzia Dire. Bianchi si sarebbe aggiudicato due affidamenti da quasi 40.000 euro ciascuno, mentre la Boda avrebbe ottenuto una contropartita «con somme di denaro e utilità per sé e per terzi per complessivi 679.776,65 euro». I numeri non tornano, come è facile capire: a fronte di un vantaggio per ottantamila euro scarsi, l’imprenditore gliene avrebbe versati otto volte e mezzo tanti. Se per tutto c’è una prima volta, questa è dunque la prima volta che il concusso versa al concussore l’850% del suo ricavo. C’è però da tener conto dell’aggravante, sulla quale ci mette in guardia La Verità, che con un velenoso affondo l’altro ieri aveva rivelato i dettagli dell’indagine, mettendo a nudo le proprietà dell’indagata e pubblicando – anche se non rientravano nell’inchiesta – le sue intercettazioni per fissare un appuntamento di lavoro con Palamara, quando era al vertice Anm.
L’aggravante con cui sottolineava le accuse La Verità era quella di essere “renziana”: e l’accusa veniva reiterata evidenziando le telefonate con Maria Elena Boschi. Un certo accanimento mediatico e forse non solo mediatico si adombra a carico di questa asserita prossimità. «La conosco molto bene, è davvero incredibile tutta la vicenda. Non so se sia possibile dare un’etichetta a una stimata dirigente che ha assunto responsabilità ventennali», ci dice la deputata di Italia Viva, Silvia Fregolent. «Ma a maggior ragione, se fosse renziana è ora di farla finita con questa caccia alle streghe che tende a colpire, quasi a perseguitare chi è a vario titolo vicino a Italia Viva».
Al momento Giovanna Boda rimane in prognosi riservata, sotto sedazione. Operata due volte, i medici stanno facendo il possibile per salvarla. Si parla dello schiacciamento della colonna vertebrale e di un trauma cranico importante: la dirigente, mamma di una bambina di cinque anni, si è lanciata giù dal secondo piano. Si fa urgente una riflessione deontologica e normativa sulla diffusione delle intercettazioni e sulla diffusione dei nomi degli indagati. L’esposizione al pubblico ludibrio, condanna di lontana tradizione, è tornata oggi come inaccettabile pena accessoria.
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