I misteri del caso Barr-Vecchione e delle omissioni di Giuseppe Conte non cessano di far parlare. Nell’inner circle dell’intelligence italiana c’è chi sente scricchiolare un’asse. I più sensibili percepiscono che si starebbe aprendo uno squarcio. La rivelazione delle dinamiche tra Vecchione e Conte, tra il dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti trumpiani e i vertici dei servizi italiani, finora rimaste al buio, potrebbero fornire una chiave insperata. Si stanno creando le condizioni per chiarire, uno a uno, diversi aspetti ancora oscuri. Con Il Riformista parla una fonte che deve rimanere coperta.

Nel maggio scorso Marco Mancini è ancora un brillante agente del Dis, l’agenzia che coordina Aisi e Aise, cioè i servizi segreti che si occupano rispettivamente dell’interno e degli esteri. Ha una lunga storia. Ha alle spalle una carriera nel Sismi (il servizio segreto militare predecessore dell’Aise) di cui diventa capo della Divisione controspionaggio, braccio destro del direttore Nicolò Pollari. E se entra nelle cronache per la vicenda Abu Omar, è per altro ad essere rispettato e temuto. È ostile ai russi. È convinto che quelli stiano tessendo la loro trama dentro l’ordito delle istituzioni. Che qua e là stiano persuadendo gli interlocutori politici e i decisori pubblici, con argomenti sonanti, delle loro ragioni. Va dunque fermato. E va fermato per tempo, quasi indovinando che di lì a nove mesi i russi provocheranno, con l’ingresso in Ucraina il 24 febbraio, una crisi di sistema senza precedenti.

Dalle verifiche che facciamo con ambienti del Copasir emerge che Marco Mancini mostrò dei messaggi ai membri del Comitato parlamentare sui servizi segreti, mettendo il suo cellulare a disposizione del sindacato ispettivo dei presenti. Dalla schermata si poteva evincere che Gennaro Vecchione conoscesse già il video che sarebbe poi apparso su Report in data successiva, ovvero nella puntata del 3 maggio scorso. Testimoniando così come lo stesso Vecchione fosse perfettamente a conoscenza del fatto che quel video “rubato” all’Autogrill stava per irrompere nelle case degli italiani. Provocando la caduta in disgrazia di Mancini, la fine della sua ascesa e della sua carriera. Torniamo a quella vicenda, alla trappola tesa a Mancini nel momento in cui il n.2 del Dis stava per esserne nominato a capo. Perché in quei giorni avviene qualcosa di particolare. Nella famigerata puntata di Report – ormai noto il meccanismo del “video recapitato da un anonimo, arrivato nella nostra redazione da chissà dove” – si fa intervenire una figura in controluce. E chi ci parla solleva una serie di interrogativi.

Si inquadra infatti uno che si qualifica come ex agente del Sismi che identifica Marco Mancini. «Questa estromissione di Mancini non è che sia stato un favore fatto ai russi, in cui Franco Gabrielli si è trovato ad essere un mero passaggio?», la domanda retorica. I dubbi sorgono: come mai i vertici del Dis invece di intervenire sui misteri delle due visite di Barr a Roma, nel giugno e nell’agosto 2019, che agli addetti ai lavori erano parse subito molto sui generis, si dedicano con tanta decisione all’incontro Renzi-Mancini? Facciamo un passo indietro: Marco Mancini doveva diventare capo dei servizi segreti con la esplicita benedizione di Luigi Di Maio. Dopo aver incontrato Renzi, finisce in una raffica di fango. Si compie una operazione di siluramento tramite Report, che punta i fari soprattutto contro Renzi, ma che in realtà colpisce e affonda solo l’interlocutore di Renzi. Quel Marco Mancini che risultava sgradito a qualcuno. E forse di più: intollerabile. Ma chi è il testimone di cui Report si serve per apporre il sigillo dell’autenticità all’identificazione di Mancini? Abbiamo interrogato qualche fonte. In studio il personaggio è travisato, non riconoscibile. Ma se c’è qualcuno che lo riconosce, quello non può che essere lo stesso Mancini. «C’è da chiedersi come sono arrivati a lui», ci dice una fonte che i servizi li frequenta, e non da oggi. «C’è da chiedersi se quell’agente – o ex agente – non fosse legato ai russi», aggiunge.

Il testimone misterioso che va in video, non riconoscibile, suscita un sospetto nella fonte che abbiamo consultato: lo fa per accertarsi che Mancini venga indubitabilmente messo all’indice. Nel libro Oligarchi, Jacopo Iacoboni scrive che «Aisi e Aise non hanno collaborato, nella vicenda dei russi». Lo scrive uno che le fonti le ha consultate. Adombrando una frattura risalente nel tempo che solo nel maggio 2021 ha portato all’auspicato allontanamento di Mancini. «Non c’è alcun disegno da parte di Gabrielli. Ed è una pratica che si è trovata davanti Elisabetta Belloni, come dossier da affrontare appena nominata. Non rimandabile», rivela la nostra fonte. E Report è stato solo uno strumento di cui altri si sono serviti, lo schermo sul quale proiettare un film scritto altrove. Giovanni Minoli intervista Gabrielli e glielo chiede: “Perché Mancini è stato invitato ad andarsene in pensione?” – “Non è stato invitato con riferimento a quella vicenda ma per tutta una serie di altre questioni che non è il caso di approfondire”, la risposta. Non c’è alcuna ragione di dubitare della sincerità di quelle parole. La rimozione di Mancini però da qualcuno è stata ispirata. E per qualche ragione ben diversa dall’aver incontrato il senatore Renzi all’Autogrill. «Mancini ha portato all’emersione di una rete di spioni russi in tutt’Europa. Non solo in Italia».

Il 30 marzo 2021 viene arrestato a Roma l’ufficiale della Marina militare Walter Biot, responsabile di aver trafugato una serie di documenti segreti Nato per rivenderli alla Russia. Un gran goal del nostro controspionaggio, consolidato dalle prove che hanno portato a una condanna . Peccato che per festeggiarlo, sessanta giorni dopo, si sia deciso di far saltare la testa di chi quelle operazioni le aveva volute e instradate da tempo. Al Dis chiamano Mancini. Lo convocano per comunicazioni urgenti. «La Belloni non se l’è sentita di affrontarlo per comunicargli che era giunto al capolinea. E ha dato l’incarico al suo povero vice, Bruno Valensise», raccontano le cronache. L’incontro tra i due era iniziato alle 11 del mattino ed è finito alle 17, altro che comunicazioni. Sei ore di faccia a faccia che – racconta chi ha avuto modo di origliare – si è svolto senza esclusione di colpi. Bruno Valensise era stato nominato vicedirettore vicario del Dis nel settembre 2019 dal governo guidato da Giuseppe Conte. Conte aveva optato per lui, risorsa interna di lunga esperienza, per coadiuvare il lavoro di Gennaro Vecchione.

Valensise era così diventato il tutor del neonominato capo dei servizi, l’uomo di fiducia del fiduciario di Conte. Lo accompagnava ovunque, negli appuntamenti. Era stato con Vecchione alla Link Campus University, e con lui aveva incontrato il ministro della Giustizia William Barr, partecipando all’agenda segreta di quel Ferragosto di cui si viene oggi a sapere. L’Attorney general tornerà in Italia anche il 27 agosto, data in cui, accompagnato da Durham, tornerà ad incontrare i vertici dei servizi: alla riunione oltre a Vecchione, partecipano anche i direttori di allora di Aise, Luciano Carta, e Aisi, Mario Parente. Gli americani tornarono a casa soddisfatti della trasferta romana, con la ciliegina sulla torta della cena nel sontuoso ristorante romano di piazza delle Coppelle. «Si è parlato in termini generici, con i soliti convenevoli», si è schernito il prefetto Vecchione.

Eppure il procuratore John Durham dichiarò di aver potuto estendere la sua inchiesta, grazie alle informazioni ottenute in quegli incontri. Un funzionario dell’ambasciata americana a Roma confermò al Daily Beast che quella di Barr era stata una visita inaspettata e che gli americani erano particolarmente interessati da ciò che i servizi segreti italiani sapevano sul conto di Joseph Mifsud, il misterioso docente maltese al centro del Russiagate americano. Un agente russo, per alcuni, dell’Fbi secondo altri. Doppiogiochista, sospettano i nostri servizi. L’uomo è scomparso nel nulla: si è volatilizzato senza lasciare traccia il 31 ottobre 2017. Sarebbe stato lui a gestire il traffico di informazioni riservate tra Putin e Trump. E forse a conoscere la rete degli informatori russi sui quali indagava Marco Mancini. Tanti i risvolti ancora oscuri, i misteri irrisolti che si dipanano intorno al Dis nel finale di stagione del governo Conte. Per iniziare a capirne qualcosa di più, le istituzioni avrebbero il boccino in mano, se volessero. Basterebbe ascoltare Marco Mancini al Copasir. Se solo volessero.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.