Resistenze culturali, vuoti normativi, costi eccessivi. Addentrarsi nella complessa materia delle indagini difensive conduce in una selva di difficoltà, incongruenze, ostacoli. Difendersi nell’ambito di un’indagine o di un processo penale è cosa tutt’altro che semplice. E il merito delle vicende c’entra poco, nel senso che le problematiche sono trasversali a ogni tipo di accusa, a ogni tipologia di inchiesta o di procedimento penale. E si moltiplicano se si considera che i processi sono eccessivamente lunghi, che nel circa 60% dei casi si tratta di processi nei quali ci si avvale di un difensore di ufficio, che la parità tra accusa e difesa è sì prevista dalla Costituzione ma di fatto non è garantita e da un anno c’è anche una sentenza della Cassazione a rimarcare quella che appare come una incongruenza: la consulenza del pm ha più valenza probatoria della consulenza della difesa. Perché? Le parti del processo non dovrebbero essere su un piano di parità?

«A distanza di oltre vent’anni dall’inserimento della disciplina in materia di investigazioni difensive, esistono ancora irriducibili sacche di resistenza che si ostinano a non riconoscere il “nuovo” ruolo e le “nuove” facoltà attribuite alla difesa e strettamente correlate al rito accusatorio», osserva l’avvocato Marco Campora, presidente della Camera penale di Napoli. «Una gelosia dei saperi e dei poteri – aggiunge Campora – e una nostalgia per un passato affatto glorioso che incredibilmente continua ad avere, si auspica sempre meno, proseliti». La questione riguarda il rapporto e i limiti che esistono tra poteri dell’autorità giudiziaria inquirente e poteri della difesa. «La magistratura – afferma il presidente dei penalisti napoletani – troppo spesso continua ad avere una certa resistenza rispetto agli esiti delle investigazioni difensive.

Basti pensare che la Corte di Cassazione, con sentenza del 29 maggio 2020 e con una motivazione illogica ed eccentrica, ha affermato che la consulenza del pm “anche se costituisce il prodotto di una indagine di parte” è “assistita da una sostanziale priorità” rispetto alla consulenza depositata dalla difesa». «Ciò – spiega l’avvocato Campora, evidenziando passaggi della sentenza della Suprema Corte – perché il consulente del pm è come tale ausiliario di un organo giurisdizionale che “sia pure nell’ambito della dialettica processuale non è portatore di interessi di parte”. E qui – osserva il penalista – si rinviene una gigantesca violazione del giusto processo e la lapalissiana dimostrazione che tuttora si stenti a riconoscere la parità tra accusa e difesa preferendo rimanere ancorati a logiche più aderenti a un modello di processo inquisitorio». Considerando che le inchieste e i processi si avvalgono sempre più frequentemente di strumenti investigativi tecnici, di intercettazioni e captazioni che possono essere analizzati ed evidentemente contestati dalla difesa solo attraverso consulenze altrettanto tecniche, è chiaro che attribuire una valenza probatoria diversa alle consulenze delle due parti processuali significa sbilanciare il processo a priori. È uno dei nodi da sciogliere se davvero si vuole parlare di giusto processo. Non l’unico nodo.

«Un altro aspetto che preoccupa e non poco – osserva il presidente della Camera penale di Napoli – è che il processo penale, così come è strutturato, richiede sicuramente dei costi elevati per l’imputato. Le indagini difensive, sempre più necessarie atteso l’elevato tecnicismo di tantissime inchieste, comportano rilevanti aggravi di spesa e ciò comporta in alcuni casi un vero e proprio ostacolo per il cittadino a difendersi». «Nel nostro Paese – continua  Campora – il numero dei processi trattati con il difensore d’ufficio è elevatissimo. La crisi economica post-Covid prevedibilmente aumenterà il numero degli imputati assistiti dal difensore d’ufficio ed è evidente che per il difensore d’ufficio sarà difficile, se non impossibile, ricorrere, in ragione anche degli elevati costi, a strumenti per la raccolta di prove a favore. E a subirne le conseguenze sarà, come sempre, il cittadino».

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Napoletana, laureata in Economia e con un master in Marketing e Comunicazione, è giornalista professionista dal 2007. Per Il Riformista si occupa di giustizia ed economia. Esperta di cronaca nera e giudiziaria ha lavorato nella redazione del quotidiano Cronache di Napoli per poi collaborare con testate nazionali (Il Mattino, Il Sole 24 Ore) e agenzie di stampa (TMNews, Askanews).