Brucia il Paese dei Cedri
Inferno Libano, proteste contro governo a Beirut: scontri e lacrimogeni

Scontri nella notte a Beirut. Decine di manifestanti si sono radunati in serata per protestare nel centro della città, dopo la visita del presidente francese Emmanuel Macron, raccogliendosi nelle strade che portano alle sedi di governo e Parlamento. I dimostranti hanno bersagliato le forze di sicurezza con lanci di sassi e hanno dato fuoco a pneumatici, urlando la propria rabbia contro l’elite politica del Paese. Gli agenti hanno respinto il corteo disperdendo la folla con lanci di lacrimogeni. Le proteste giungono dopo l’esplosione del 4 agosto che ha devastato Beirut provocando oltre 157 morti e circa 5mila feriti, lasciando 300mila persone senza casa. Inoltre in una nota di Save The Children si legge che “nell’esplosione che ha colpito Beirut si stima che circa 100 mila bambini siano rimasti senza casa. Non sappiamo quanti minori sono stati uccisi, ma migliaia sono feriti e molti hanno perso le famiglie nel caos”.
LE PROTESTE – “Questa esplosione è l’inizio di una nuova era”, ha affermato Macron, che ha parlato nel corso della visita alla zona di Gemmayze danneggiata dall’esplosione, annunciando che lancerà una nuova iniziativa politica, che includerà riforme e cambiamento. “Il Libano ha bisogno di cambiamento e di un nuovo contratto politico”, ha dichiarato l’inquilino dell’Eliseo, sottolineando che “non sono qui per sostenere lo Stato o il governo” ma “sono qui per sostenere il popolo libanese”.
I residenti di Beirut hanno dato sfogo alla loro ira contro i leader libanesi durante la visita del presidente francese Emmanuel Macron, attribuendo loro la responsabilità dell’esplosione che ha devastato la capitale. La folla intorno a Macron gridava “rivoluzione” e “il popolo vuole la caduta del regime”, cioè gli slogan usati nelle massicce proteste dello scorso anno. Macron, dal canto suo, ha promesso di fare pressioni sui leader libanesi affinché facciano riforme. “Proporrò loro un nuovo patto politico”, ha detto l’inquilino dell’Eliseo, aggiungendo che “tornerò il primo settembre e, se non possono farlo, mi assumerò la mia responsabilità con voi”.
Dopo avere incontrato i leader politici, Macron ha detto di avere sentito “la rabbia nelle strade”. “Ci sono un subbuglio politico, morale, economico e una crisi finanziaria che dura da diversi mesi, diversi anni. Questo implica una forte responsabilità politica”, ha dichiarato il presidente francese, aggiungendo che le autorità libanesi “devono alle vittime e alle loro famiglie” un’indagine indipendente e trasparente sulla massiccia esplosione di Beirut.
L’ESPLOSIONE – Per molti libanesi la gigantesca esplosione di martedì è stata solo l’ultima tessera del mosaico dopo anni di corruzione e cattiva gestione da parte della elite politica al governo da decenni. Si ritiene che lo scoppio sia stato provocato da un incendio scoppiato dove c’erano 2.750 tonnellate di nitrato di ammonio, sostanza altamente esplosiva, che era stoccata lì da anni nonostante i ripetuti avvertimenti doganali. Per la detonazione, sedici membri del personale portuale sono stati arrestati. A riferirlo è l’agenzia di stampa statale libanese citando fonti della procura libanese e spiegando che si tratta di 16 impiegati del porto della capitale libanese.
La sostanza è un componente dei fertilizzanti, ma anche un potenziale esplosivo. Le 2.750 tonnellate, hanno spiegato le autorità, furono stoccate dopo il sequestro da una nave nel 2013. A innescare l’esplosione forse un incendio legato a fuochi artificiali. L’esplosione, che ha causato un enorme fungo di fumo e ha avuto forza pari a un terremoto di magnitudo 3.5, è stata la più potente mai registrata nella capitale. Una città piegata da una guerra civile (1975-1990), bombardata nei conflitti con Israele e colpita da periodici attacchi terroristici. Le indagini sono state avviate, mentre alcuni esperti fanno ipotesi inquietanti.
Tra loro c’è chi, come Robert Baer, ex agente operativo della Cia, crede che solo la presenza di armamenti potesse originare una situazione come questa. “Se si guarda alla palla di fuoco arancione è evidente, si è trattato di esplosivo militare“, ha detto a Cnn. Il presidente Usa Donald Trump aveva parlato di “attentato“, ma è stato smentito anche da fonti del Pentagono che hanno detto di “non aver idea” del perché l’abbia detto.
Una delle principali agenzie di sicurezza del Libano, la State security, aveva indagato l’anno scorso sulle scorte di nitrato di ammonio immagazzinate nel porto di Beirut e aveva riferito del pericolo costituito da quegli esplosivi al governo, alla procura e ad altre istituzioni. Lo riferisce ad Associated Press il capo del dipartimento libanese delle dogane, Badri Daher, precisando che lui e il suo predecessore avevano mandato in totale sei lettere ma non hanno mai ricevuto risposta. Daher conferma di avere personalmente mandato una lettera nel 2017 a un giudice in cui avvertiva dei “pericoli se i materiali restano dove sono, pericoli che potrebbero riguardare la sicurezza degli impiegati del porto”; riferisce che nella lettera chiedeva al giudice delle linee guida.
LE VITTIME – Tra le oltre 150 vittime delle due esplosioni avvenute ai Beirut martedì 4 agosto c’è anche una donna di origine italiana. Lo riferiscono fonti della Farnesina. Si tratta di Maria Pia Livandiotti, italo-libanese di 92 anni, nata nella capitale libanese nel 1928, e vedova Lutfallah Abi Sleiman, già medico di fiducia dell’ambasciata d’Italia in Libano. Dieci i connazionali feriti in modo lieve. A quanto si apprende dall’ambasciata, la 92enne è morta in casa, probabilmente a causa di un trauma cranico dovuto alla forza d’urto dell’esplosione. A trovare il corpo senza vita della donna è stato il figlio una volta rincasato.
Tra i morti c’è anche un australiano, tra i feriti ci sono cittadini del Bangladesh, un indonesiano e un militare italiano. Il governo ha dichiarato lo stato d’emergenza per due settimane, dando così ai militari pieni poteri. Il Paese rispetta tre giorni di lutto e il presidente Michel Aoun ha promesso che i responsabili subiranno “pesanti punizioni”. L’origine delle esplosioni, nel frattempo, resta incerta. Una delle ipotesi è la negligenza, mentre è emersa online una lettera ufficiale (per ora non confermata) secondo cui il capo del dipartimento doganale negli anni avvertì più volte sui rischi legati a una grande quantità di nitrato d’ammonio in un hangar del porto.
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