Una misura su dieci risulta emessa in un procedimento che ha avuto poi come esito l’assoluzione o il proscioglimento. Un innocente ogni tre finisce in carcere. Chi paga per le ingiuste detenzioni? Lo Stato qualche volta (a Napoli nel 24% dei casi, a fronte di una media nazionale del 33%), i magistrati mai. Dalla relazione annuale sulle misure cautelari, presentata l’altro giorno in Parlamento, emerge il divario tra i dati sulle ingiuste detenzioni e quelli relativi ai risarcimenti riconosciuti dalle Corti di Appello e alle azioni disciplinari intraprese e concluse nei confronti dei magistrati.

Ebbene, dalla relazione emerge che nel 2021 i pagamenti per riparazioni per ingiusta detenzione hanno raggiunto la cifra di 24.506.190 euro (erano quasi 37 milioni nel 2020). Questa somma fa riferimento a un totale di 565 ordinanze. A Napoli si sono contate 72 ordinanze per una spesa di due milioni e mezzo di euro (2.517.100 per l’esattezza). Il dato è in lieve calo rispetto al 2020 (101 ordinanze per una spesa di tre milioni e 100mila euro sempre con riferimento al distretto giudiziario napoletano) ma descrive una situazione di malagiustizia comunque ancora diffusa. Basti pensare che con 72 ordinanze in un anno Napoli è in cima alla classifica delle città italiane, seconda dopo Reggio Calabria. Bisogna anche considerare che, se a Napoli la percentuale delle richieste di risarcimento accolte è pari al 24%, il numero dei casi di innocenti in cella che si verificano sono molti molti di più. La tabella contenuta nella relazione annuale sulle misure cautelari, nel tracciare una panoramica dei risarcimenti accordati e pagati, quindi parliamo di quei risarcimenti che rientrano nel 24% accolti, evidenzia anche un altro fatto: gli esborsi di maggiore entità riguardano provvedimenti dell’area meridionale e i pagamenti più consistenti sono stati emessi dalla Corte di Appello di Reggio Calabria seguita da quella di Napoli.

Di fronte a tanti arresti infondati, a tanti innocenti in carcere, a tante vite devastate da inchieste che si sono rivelate poi flop finendo con assoluzioni o proscioglimenti, di fronte a tutto questo a farne le spese sono sempre e solo i cittadini. Nella relazione si sottolinea come la richiesta e l’applicazione di misure cautelari si basino su emergenze istruttorie ancora instabili e, comunque, suscettibili di essere modificate o smentite in sede dibattimentale, e si specifica che «il riconoscimento del diritto alla riparazione per ingiusta detenzione – cosi come, del resto, del diritto alla riparazione dell’errore giudiziario di cui all’art. 643 c.p.p. – non possa essere ritenuto, di per sé, indice di sussistenza di responsabilità disciplinare a carico dei magistrati che abbiano richiesto, applicato e confermato il provvedimento restrittivo risultato ingiusto». Un paletto che diventa un muro, sicché nessun magistrato risulta responsabile per l’arresto di un innocente. Nei tre anni a cavallo tra il 2019 e il 2021, a fronte di centinaia di ingiuste detenzione ogni anno, le azioni disciplinari a carico di magistrati sono state in totale 50 in tutta Italia e, tra assoluzioni e procedimenti in corso, nessuna si è conclusa con una sanzione.

Nel 2021, in particolare, sono state soltanto 5, di cui 3 promosse dal procuratore generale della Corte di cassazione e 2 dal ministro della Giustizia, e si sono risolte due in un’assoluzione, una in un non doversi procedere e due sono ancora in corso. Il dato, che pure è tra quelli contenuti nella relazione annuale sulle misure cautelari presentato al Parlamento dal ministero della Giustizia, è riferito – si badi – alle sole scarcerazioni intervenute oltre i termini di legge, senza prendere quindi in considerazione tutti gli altri casi, che sono poi quelli più gravi. Giudice non condanna giudice, viene da pensare. Eppure le storie degli innocenti in carcere parlano di indagini frettolose, di indizi mal valutati, di intercettazioni male interpretate, di un uso eccessivo della carcerazione preventiva tanto, in molti casi, da far parlare di abuso o di anticipazione della condanna, e di processi lunghissimi che finiscono per essere una pena accessoria. Tutto normale?

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Napoletana, laureata in Economia e con un master in Marketing e Comunicazione, è giornalista professionista dal 2007. Per Il Riformista si occupa di giustizia ed economia. Esperta di cronaca nera e giudiziaria ha lavorato nella redazione del quotidiano Cronache di Napoli per poi collaborare con testate nazionali (Il Mattino, Il Sole 24 Ore) e agenzie di stampa (TMNews, Askanews).