Il professore avvocato Tullio Padovani, Accademico dei Lincei, fa parte del collegio difensivo di Giuseppe Mussari, l’ex presidente di Mps, assolto qualche giorno fa dalla Corte di Appello di Milano. A partire da questa vicenda, tracciamo le distorsioni che riguardano in primis il potere di accusa nel nostro Paese.

“Questo è il disvelamento di come si esercita il terribile potere di accusa in Italia, dove, per fortuna, esiste ancora un giudice, immigrato da Berlino”. Così lei e i suoi colleghi Francesco Marenghi e Fabio Pisillo avete commentato la sentenza. Cosa intendevate dire?
Il potere di accusa, come ha sostenuto il grande magistrato francese Antoine Garapon, è “anomico e terribile”. Esso sfugge alle maglie della legalità proprio mentre è alla ricerca della legalità. Il potere di accusa può muovere da qualsiasi impulso. Il nostro codice dice che il pm procede alla ricerca della notizia di reato, non la riceve soltanto. In questa attività comincia a sviluppare i poteri di accusa che si rivolgono in mille direzioni – interrogatori, perquisizioni, sequestri – per diventare sempre più invasivo. Ad un certo punto la notizia deve essere pubblicata sul giornale: basta una perquisizione, atto non soggetto a divieto di pubblicazione, specialmente se compiuta alle prime luci dell’alba, col fragore di molte auto a sirene lanciate che si precipitano sotto la casa del malcapitato, e il gioco è fatto. L’indagato viene sbattuto sui giornali e la sua reputazione viene rovinata. Così il potere di accusa si è manifestato in forma devastante. Ma questo potere si giustifica invocando che è la legge che impone di perseguire ogni reato.

Però poi c’è il vaglio del Gip.
Sulla figura del Gip si potrebbe scrivere un romanzo non a lieto fine. Si prospetta una garanzia tanto lussureggiante quanto inconsistente. Ovviamente ci sono giudici impeccabili e pm scrupolosi. Ad esempio Carlo Nordio: quando faceva il pm poteva essere un modello per chiunque. Per questo non ha fatto carriera: gode di una stima che non è proporzionata alla dimensione professionale che un uomo come lui avrebbe dovuto assumere. Quindi le eccezioni ci sono, ma è il sistema che alla fine prevale. Ricordo un episodio lontano.

Prego.
Era appena entrato in vigore il Codice Vassalli che sembrava lasciare poco spazio al pm. Mi trovai ad un convegno sul lago di Garda, durante il quale molti magistrati lamentavano queste restrizioni alle funzioni del pm. Un alto magistrato, mio carissimo amico, mi disse: «Tullio, i miei colleghi non hanno capito nulla, non hanno capito che questo è in realtà il codice dei pubblici ministeri». Da allora miriade di processi, grandi o piccoli che siano stati, hanno testimoniato di come ci si debba inorridire nel vedere come quel potere dell’accusa sia stato esercitato.

Avete anche aggiunto: «L’avvocato Mussari non è più quel che era quando questa vicenda è iniziata, e nessuno gli restituirà nulla. Su questo, forse, dovremmo tutti riflettere».
L’avvocato Mussari impersona plasticamente e drammaticamente la figura del soggetto a cui io mi riferisco con una massima che sono solito ripetere ai miei assistiti innocenti, i quali versano in situazioni processuali prevedibilmente lunghe, logoranti, devastanti con una prospettiva secondo me certa di uscirne, ma dopo molti anni di patimenti: «Se tutto va bene lei è rovinato». Questo si realizza in Italia: dopo essere stati stritolati nel tritacarne giudiziario se ne esce annullati, senza alcuna consistenza, con una vita distrutta insieme ai rapporti familiari e professionali. Io ho una casistica per tutte le cose che affermo: la moglie ti abbandona, i figli ti rifiutano, un mio cliente è persino diventato barbone prima di essere assolto.

Chi si assume la responsabilità di questo?
Nessuno. A fronte di questo immenso potere non esiste alcuna responsabilità. Tra l’altro il nostro è un Paese che miniaturizza l’idea di errore giudiziario. Esso è considerato tale solo quando produce una condanna ingiusta rispetto alla quale c’è da risarcire una detenzione. Ma a mio parere siamo in presenza di un errore giudiziario ogni volta che si subisce un processo per poi essere assolto. I cittadini dovrebbero essere tenuti indenni, quantomeno sul piano delle conseguenze economiche. L’imputato dovrebbe essere immediatamente risarcito, perché sottoposto ingiustamente a processo. Anche se non sarò andato in carcere, la mia vita è stata rovinata. E nessuno neanche chiede scusa.

A proposito di responsabilità, l’Anm non condivide affatto la parte di riforma del Csm e dell’ordinamento giudiziario in cui si prevede di valutare il magistrato anche in base agli esiti.
Constato che esiste una massima eterna: chi ha un potere su cui non grava una corrispondente responsabilità non è mai disposto ad accettarla, perché significherebbe rinunciare a una fetta di quel potere e alla serenità di non dover render conto delle proprie azioni. Invece potere e responsabilità dovrebbero andare a braccetto, essere due facce della stessa medaglia. Altrimenti quel potere si trasforma in una sovranità assoluta.

Soprattutto quando quel potere può privare della libertà personale.
In questo caso la tecnica per deresponsabilizzarsi è ripartire il potere. Ad esempio, il pm sosterrà che ha fatto la richiesta di arresto, ma è il giudice che ha poi spedito la persona in galera. L’articolo 1 della Costituzione (“L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”) alla luce di quello che ci siamo detti fino ad ora va riletto così: L’Italia è una Repubblica giudiziaria, fondata sull’esercizio dell’azione penale. La sovranità appartiene ai pubblici ministeri, che la esercitano in modo discrezionale.

L’Anm lunedì prossimo sciopera, anche per questa questione del fascicolo di valutazione. Che pensa?
Lo sciopero è considerato un diritto intoccabile. In realtà il nostro sistema contempla ancora uno sciopero illegittimo. L’articolo 504 cp stabiliva che quando lo sciopero è commesso con lo scopo di costringere l’Autorità a dare o ad omettere un provvedimento, ovvero con lo scopo di influire sulle deliberazioni di essa, si applica una certa pena. La norma è stata sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale nel 1983. La sentenza 165 la dichiarò costituzionalmente illegittima, salvando però l’ipotesi che lo sciopero sia diretto a sovvertire l’ordinamento costituzionale, ovvero ad impedire od ostacolare il libero esercizio dei poteri legittimi nei quali si esprime la sovranità popolare. E allora mi chiedo: l’Anm non intende forse influenzare l’attività parlamentare? Non sta chiedendo appunto che il Parlamento cambi indirizzo? Non è forse il tentativo di ostacolare il libero esercizio dei poteri legittimi nei quali si esprime la sovranità popolare? Ovviamente sono consapevole che per applicare l’articolo 504, nella forma residua dopo il vaglio costituzionale, ci vogliono magistrati, e cioè quegli stessi magistrati pronti a scioperare.

Ultima domanda: cosa ne pensa della decisione della Corte Costituzionale di rinviare la decisione sull’ergastolo ostativo?
In Italia la regola numero uno è quella del rinvio, la panacea di tutti i mali. Invece la Corte costituzionale, riconoscendo che la norma era illegittima, avrebbe dovuto subito dichiararne l’incostituzionalità. E il Governo avrebbe potuto intervenire con un decreto legge per dettare una disciplina costituzionalmente corretta. La soluzione c’era. Il sistema ha invece partorito questa situazione paradossale per cui l’incostituzionalità resta sospesa: non riesco proprio a capirlo. Lo stupore mi ha colto fin dalla vicenda Cappato (tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, ndr): sono rimasto esterrefatto nel leggere del rinvio anche in quel caso. E poi, come sappiamo, il Parlamento non ha fatto nulla. E così accadrà in questo caso. L’8 novembre non credo proprio che avremo una legge approvata in via definitiva. Nessuno se ne vorrà assumere la responsabilità, soprattutto a ridosso delle elezioni.