L'offensiva del Kursk
L’insofferenza dei russi per Putin dopo l’incursione ucraina: “Noi amiamo la nostra patria, Vladimir Vladimirovic, ma tu ami il tuo popolo?”
L’operazione militare ucraina oltre la frontiera russa di invasione dell’oblast di Kursk iniziò il 6 agosto scorso, capovolgendo la percezione dei russi sulla guerra. O, come si dice, la sua narrazione. E odiano il loro governo più che la guerra, odiano i “crucru” (gli ucraini che, da cugini, si sono fatti mercenari della Nato, a sua volta percepita come una creatura del male) e odiano ogni giorno di più lui, Vladimir Vladimirovic, incapace di difendere le frontiere e di far accorrere il suo invincibile esercito dotato di droni iraniani e munizioni nordcoreane. Questa parte invasa della Russia è disperata – e si sente – ed è abbandonata. Ma non per questo nutre sentimenti positivi per gli ucraini, brutta gente, sembravano parenti e si sono trasformati in traditori, guarda solo che uniformi vestono.
Per la prima volta Putin è detestato dal popolo che lo ha sempre rispettato e spesso amato. Ma a oltre quaranta giorni dall’invasione ucraina in Russia, non è riuscito nemmeno far funzionare una rete di soccorsi per portare altrove gente che non sapeva nulla e che un brutto giorno, come nelle favole, ha visto uscire dalla foresta un mostro di uomini e macchine a fauci spalancate, da dove comincia la frontiera. I soldati ucraini arrivano con ergonomici e modernissimi equipaggiamenti di foggia straniera, hanno riserve di munizioni e fanno volare droni sopra la loro testa per intercettare aerei russi. Agiscono alla luce delle telecamere e sembra che non stuprino e non uccidano i prigionieri, ma li bendino e gli leghino i polsi secondo le convenzioni internazionali. Poi li scambiano con prigionieri ucraini. Non si vedono cortei, ma moltitudini spaesate e donne che gridano, una per tutti: “Vladimir Vladimirovic, perché non fai vedere in televisione ciò che accade? Perché non vieni tu qui da noi?”. È una donna in testa alla folla con un grande fazzoletto rosa annodato sulla testa. Accanto, un popolo di anziani, bambini, ragazze con un neonato in braccio, tutti cercando acqua e chiedendone agli invasori ucraini che ne hanno una scorta sempre rifornita.
La gente non ce l’ha con la guerra in sé: le guerre succedono. E se a Vladimir Vladimirovic piace farne una, avrà le sue ragioni. “Ma prima di vincerla deve salvare la sua gente prigioniera di briganti vestiti come americani e che ci hanno abbattuto le case a cannonate. Ma quando noi ti telefoniamo al Cremlino, Vladimir Vladimirovic, non ci rispondi mai, ma ci risponde una musica patriottica. Noi amiamo la nostra patria, Vladimir Vladimirovic, ma tu ami il tuo popolo?”. Tutto è su internet e in particolare su YouTube, ora oscurato ai russi. Si possono ascoltare messaggi vocali notturni sui molti canali accessibili, spesso in inglese. YouTube è stato oscurato due giorni dopo l’inizio della controffensiva ucraina nell’oblast di Kursk e, solo durante quei due giorni, la Russia ha potuto avere un’idea della distruzione, dell’incredulità e della disperazione. Queste persone ignorano tutto ciò che stanno passando oltre i boschi e le valli le altre donne, quelle ucraine, una popolazione che si è assottigliata di quattro milioni di emigrati.
Nell’oblast russo invaso dagli ucraini, chi non ha trovato rifugio presso parenti o non ha la macchina si trascina fra le stazioni di servizio, senza benzina né servizi igienici, mendicando un passaggio e dell’acqua. Nessuno dei russi intervistati ha la più pallida idea del fatto che l’“Operazione militare speciale” si è trasformata in un’invasione totale con bombardamenti sulle città e le centrali elettriche usando bombe da una tonnellata guidate con esattezza millimetrica: quando in Ucraina è colpito un ospedale pediatrico oncologico o un ristorante affollato si può essere sicuri che non c’è stato alcun errore. I civili russi non ne sanno nulla e – messe a tacere le frange che avversavano la guerra – considerano la guerra un accidente ricorrente della vita umana, ora con questa novità degli ucraini trasformati in nemici del “ross myr”, del mondo russo, ipnotizzati dalla propaganda occidentale. I russi non provano sentimenti simili a quelli di molti americani durante la guerra nel Vietnam, quando nelle metropoli le manifestazioni inalberavano ritratti del nemico, il presidente vietnamita Ho-Chi Min.
L’unica notizia informale che ricevono i russi dal fronte sono le bare con i corpi dei loro ragazzi, mariti, fidanzati, fratelli, padri. L’Istituto di studi sulla guerra in Gran Bretagna calcola che fra russi e ucraini circa un milione di giovani siano morti o gravemente mutilati. Putin è riuscito ieri a far passare alla Duma una leva per altri 180.000 uomini, per lo più non russi ma asiatici, cui si sommano truppe a contratto e galeotti. Milioni di russi che vivevano ignari di quel che succede poco più in là si sono visti le case sgretolarsi sotto il tiro dei mortai, hanno estratto i morti nelle macerie mentre le feroci truppe cecene scappavano alla vista degli ucraini e restavano, disperati, i coscritti appena usciti di scuola. Molti sono morti, tutti gli altri prigionieri. Ho guardato con rabbia e orrore centinaia di video provenienti da Kursk ogni notte per guardare la tragedia – identica a quella dei loro vocini ucraini – di questa gente russa dalle abitudini così normali e identiche alle nostre, che vive ai margini di una città fra le più martoriate dai tedeschi.
Chi ha un’automobile fugge portando via tutte le masserizie, ma chi non ce l’ha spera che arrivi l’esercito, la protezione civile, gli ospedali da campo e i pullman militari che li portino fuori. Ma Putin tace e parla solo di “provocatzija”, senza dare notizie delle vittime. Ciò ricorda il primo exploit internazionale del giovane presidente Putin quando il sottomarino K141 Kursk (lo stesso nome della città oggi circondata dagli ucraini) affondò nel 2003 portandosi l’equipaggio sui fondali del mare baltico. Il mondo fu allora impressionato dal silenzio e dal rifiuto di Putin ad accettare soccorsi stranieri. Disse che i marinai conoscono i loro rischi e – nello stupore universale – i media russi non parlarono più del Kursk il sottomarino, affondato con più di cento marinai. Oggi gli stessi media tacciono su Kursk, l’oblast dei russi in vana e disperata attesa di soccorsi.
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