Intercettazioni a strascico e sentenza Cosimo Ferri, l’ultima parola al Parlamento

Mentre cresce l’attesa per capire se sul caso Open sarà data ragione ai Pm di Firenze o a Matteo Renzi, dopo tre mesi e mezzo dall’udienza del 4 aprile 2023 e ad oltre un anno e mezzo dalla delibera della Camera del 12 gennaio 2022, la Corte Costituzionale ha deciso che il Parlamento dovrà di nuovo deliberare per accertare se vi sia stato il rispetto da parte della gip di Perugia e della Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura delle guarentigie del giudice Cosimo Ferri, all’epoca dei fatti deputato di Italia Viva.

La Corte, dopo aver sostituito il relatore, il costituzionalista Franco Modugno, con il togato di Magistratura democratica Stefano Petitti, ha stabilito che le intercettazioni nei confronti di Ferri tramite il trojan inserito nel cellulare di Luca Palamara non fossero “indirette” bensì “casuali” e pertanto non possono ritenersi inutilizzabili, così come ritenuto invece dalla Camera. Per la Consulta, “la richiesta di autorizzazione avanzata dalla Sezione disciplinare richiede una nuova valutazione, da parte della stessa Camera, della sussistenza dei presupposti ai quali l’utilizzazione delle intercettazioni effettuate in un diverso procedimento è condizionata”. Richiamando il Parlamento al dovere di leale collaborazione, nelle 16 pagine di motivazione, la Consulta afferma anche che “l’ulteriore esercizio del potere di autorizzazione” dovrà svolgersi “in base ai paradigmi e alle regole della correttezza nei rapporti reciproci e del rispetto dell’altrui autonomia”, canone al quale “i poteri in conflitto si sono d’altronde finora attenuti”.

La pronuncia, quanto mai inaspettata, ‘salva’ magistrati e polizia giudiziaria ritenuti responsabili dalla Camera di aver volontariamente intercettato Ferri senza l’autorizzazione preventiva richiesta dall’articolo 68 Costituzione. Per giungere a questa decisione la Consulta ha tuttavia dovuto by passare il dato documentale rappresentato dal progressivo 187 del 7 maggio 2019 ore 23:19, classificato dalla stessa guardia di finanza “molto importante”, che è stato ascoltato alle ore 18:42 dell’8 maggio 2019 e quindi 5 ore e 25 minuti prima dell’incontro all’hotel Champagne che inizia il 9 maggio 2019 alle ore 00:07:29 dal quale risulta che Palamara e Ferri avevano stabilito di incontrarsi.

Nessun accenno in sentenza a questo elemento benché fosse ben evidenziato sia nella delibera della Camera sia nelle memorie e nelle discussioni svolte dal difensore di Ferri all’udienza del 4 aprile 2023 davanti alla Corte Costituzionale. Nessun accenno, inoltre, alla richiesta di astensione avanzata dal pubblico ministero di Perugia che procedeva alle indagini, dottoressa Gemma Miliani, dell’8 maggio 2019, quindi prima dell’incontro dell’hotel Champagne, nella quale la predetta segnalava al procuratore della Repubblica di Perugia Luigi De Ficchy che erano emersi “molteplici contatti telefonici tra un indagato e l’onorevole Ferri” e di “aver preso parte” al matrimonio di Ferri quale testimone di nozze della moglie “in quanto legata da un rapporto di amicizia”.

Petitti, storico esponente della sinistra giudiziaria e che ha anche ricoperto importanti cariche associative, ha affermato che “in quanto alla circostanza concernente la denunciata intensità dei contatti tra L. P. e l’on. Ferri, è ragionevole ritenere, al contrario di quanto asserito nella delibera impugnata, che la stessa non fosse particolarmente rilevante, non solo per la quantità, ma anche per l’oggetto delle comunicazioni, legato essenzialmente al loro ruolo nelle associazioni interne alla magistratura e privo di ogni connessione con ipotesi di reato”. Una affermazione che stride, dunque, con la decisione della pm umbra di ritenerle talmente rilevanti da comunicare i propri rapporti personali con Ferri al procuratore della Repubblica. A ciò si aggiunga che Petitti ha richiamato, per giustificare la propria decisione, le sentenze della Corte di Cassazione emesse nei confronti di Palamara il 15 gennaio 2020 e il 4 agosto 2021 quando ancora alle difese non erano state depositate né le smarcature delle intercettazioni che hanno consentito di rilevare il dato del progressivo 187 ascoltato 5 ore e 25 minuti prima dell’incontro, né la richiesta di astensione della Pm Miliani. L’ultima parola spetterà ora al Parlamento.