Che aspetta Nordio a mandare gli ispettori a Torino?
Intercettazioni illegali, il caso dell’ex parlamentare Esposito: ascoltato 500 volte dai pm senza autorizzazione
Sono tre i soggetti istituzionali che dovrebbero occuparsi con urgenza e rigore del caso dell’ex senatore del Pd Stefano Esposito. Il primo è il ministro Carlo Nordio, sensibile al tema delle intercettazioni, il quale dovrebbe dare ascolto all’interrogazione del deputato Matteo Orfini e immediatamente mandare un’ispezione al palazzo di giustizia di Torino, sia in procura che nell’ufficio del gip. E chiedere conto delle violazioni di legge e di una norma costituzionale nell’inchiesta in cui hanno intercettato 500 volte, per tre anni, un parlamentare senza l’autorizzazione del Senato e senza mai rispondere alle numerose sollecitazioni del difensore.
Il secondo è il procuratore generale presso la cassazione Luigi Salvato, il quale dovrebbe fare quel che non ha fatto il suo predecessore Giovanni Salvi, pur richiesto dal Senato, cioè avviare l’azione disciplinare nei confronti dei magistrati che hanno violato le leggi. La terza è la Corte Costituzionale, dopo che il Senato, il 30 giugno 2022, ha deliberato di proporre il conflitto tra poteri dello Stato. L’udienza per decidere sull’ammissibilità è fissata per il prossimo 8 marzo, poi ci sarà l’eventuale discussione sul merito. Ma intanto, e queste sono le incongruenze dei rapporti tra poteri dello Stato, c’è un processo non regolare per corruzione, turbativa d’asta e traffico di influenze che va avanti come se niente fosse. Oltre a tutto con l’infamante contorno dell’ambiente mafioso. Si chiama con poca fantasia “Concertopoli” perché il principale imputato, colui che veniva intercettato ogni giorno mentre parlava con il suo caro amico Stefano Esposito, è Giulio Muttoni, un imprenditore conosciuto soprattutto per la sua attività nel settore dell’intrattenimento musicale. La prossima udienza sarà il 27 aprile.
All’inizio fu inchiesta per criminalità organizzata. “Mafia al nord”, come piace titolare ai giornali. Poi diventò assalto all’ex senatore del Pd che più di altri si era esposto in favore della Tav in Val di Susa, tanto da scriverci un libro (“Tavsi”, con l’architetto Paolo Foietta e prefazione di Pierluigi Bersani) e da ricevere minacce di “bum bum” davanti a casa. Più che inchiesta di ‘ndrine e criminalità organizzata, questa è una storia di abuso di potere, di centinaia di intercettazioni di un parlamentare senza nessuna autorizzazione della Camera di appartenenza, e di un procuratore generale che ha voluto chiudere gli occhi davanti agli abusi. E di un Csm che di conseguenza è rimasto inerte. Così ora si attende il primo responso della Corte costituzionale e si spera che il ministro Nordio dia ascolto al deputato Matteo Orfini, firmatario di un’interrogazione cui non seguono le firme, come sarebbe stato doveroso, di tutto il gruppo del Pd, a partire dalla numero uno alla Camera, Debora Serracchiani.
Al Guardasigilli il parlamentare chiede “immediate iniziative ispettive” nei confronti degli uffici giudiziari torinesi. Mai, nella storia del Parlamento italiano, era successo che un suo membro fosse intercettato dalla magistratura per 500 volte senza autorizzazione. Ne dovranno rispondere il pm Gianfranco Colace, ma anche e soprattutto la gip Lucia Minutella la quale, dopo le ripetute sollecitazioni dell’avvocato Riccardo Peagno, difensore di Esposito, si era prima impegnata a pronunciarsi nel corso della discussione sul merito delle accuse, poi se ne era “dimenticata”. Il fatto era più clamoroso ancora del caso Renzi, perché 130 di quelle captazioni, telefonate e messaggi whatsapp, erano entrate del fascicolo processuale e poste a base dell’accusa. Era stato poi lo stesso Esposito, vista l’inerzia della magistratura, a rivolgersi al Senato. Dove aveva trovato un alleato insperato in quel Pietro Grasso che non era stato mai considerato un campione del garantismo.
Era stato lui a chiedere e ottenere dal voto della giunta e dell’aula anche la trasmissione degli atti al ministro di giustizia, al Csm e al pg della cassazione perché si avviasse l’azione disciplinare nei confronti dei magistrati torinesi. I quali con molta disinvoltura avevano continuato a indagare il senatore, violando anche la legge che consente la richiesta di autorizzazione anche a posteriori, purché la captazione del parlamentare sia stata casuale. Ma 500 casualità? Il percorso giudiziario dell’inchiesta è quanto mai contorto e spesso poco chiaro, perché arriva a processo con cinque diversi fascicoli e altrettante numerazioni sui registri. E perché ricalca la pretesa di certe fallimentari inchieste calabresi o siciliane di tenere insieme tutto, la mafia e la corruzione, la criminalità organizzata e gli organi dello Stato.
Il punto di partenza è un’indagine per il reato di associazione mafiosa contro ignoti, iniziata nel 2014 sulla base di intercettazioni. Ci sono due persone ascoltate in intercettazione ambientale, alla vigilia di un bando di gara (o forse addirittura a bando scaduto) per lavori di ristrutturazione del Museo di Reggio Calabria, quello dei bronzi di Riace. Dicono che “da giù”, cioè dalla Calabria, hanno ricevuto sollecitazioni per trovare al nord un’azienda che disponga delle prerogative necessarie per poter partecipare alla gara. Di lì, con strane triangolazioni e probabili casi di omonimia, gli investigatori arrivano a individuare l’imprenditore torinese Giulio Muttoni e la sua “Set Up Live”, che ha le carte in regola ed effettivamente vince la gara. I magistrati individuano lui e i suoi soci come coloro che si sarebbero messi a disposizione delle persone intercettate e legate alla criminalità organizzata.
Giulio Muttoni è amico strettissimo di Stefano Esposito, padrino di battesimo di una delle sue tre figlie. Legame antico e solido. Così polizia giudiziaria e carabinieri lo ascoltano per tre anni (tre anni!) al telefono e controllano i suoi messaggi whatsapp, benché dopo solo tre settimane abbiano già individuato Esposito come senatore. Lo sospettano di aver aiutato l’amico a superare un’interdittiva antimafia del prefetto di Milano in seguito all’aggiudicazione di un lotto di Expo 2015. Ma infine, un anno fa, la gup lo rinvia a giudizio per turbativa d’asta, corruzione e traffico di influenze illecite. 130 intercettazioni, delle 500 ottenute sempre senza alcuna autorizzazione del Senato, sono usate come indizi di colpevolezza alla base delle accuse. Le intercettazioni complessive sono 1.296, il processo pare costruito sostanzialmente su quelle. E sui giornali, naturalmente. Ecco un bel caso di scuola pronto per il ministro Nordio.
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