A voler ironizzare si potrebbe dire che il PSI è fedele alla sua storia: si spacca. Ma c’è poco da sorridere, il quadro che restituisce l’ultima riunione della Direzione è, nel suo piccolo, drammatico. La mancata elezione di parlamentari socialisti ha infiammato gli animi dei dirigenti del piccolo partito dal grande passato. Le contestazioni al segretario, Enzo Maraio, hanno portato un folto gruppo di dirigenti – tra cui Riccardo Nencini e Oreste Pastorelli, Ugo Intini e Bobo Craxi – ad abbandonare i lavori in segno di protesta. Abbiamo chiesto a quest’ultimo di raccontarci la situazione.

Le elezioni sono andate male per il Pd, peggio per il Psi. Qual è la sua analisi della sconfitta?
Una lunga consuetudine al potere ha logorato il PD. Ne sono consapevoli loro per primi. Presi di infilata dalle destre e da Conte che hanno sgambettato Draghi, non hanno saputo dare vita ad una coalizione competitiva. Noi siamo finiti gambe all’aria assieme a loro, ma senza responsabilità diretta.

Nel PSI la tensione è alta. Sono stati fatti errori che potevano essere evitati?
Il Segretario Maraio ha condotto generosamente il Partito verso questa alleanza. Ha sottovalutato tuttavia il vecchio impulso antisocialista presente nella sinistra italiana, ha scontato un po’ di inesperienza. La sua eliminazione parlamentare ha offeso tutta la comunità socialista. Un torto inaccettabile.

E adesso quale percorso vede, per il suo partito?
Dopo l’autocritica – doverosa e necessaria – va valutato con serietà e responsabilità il danno che provoca una condizione extraparlamentare di un Partito che è stato fondamentale per la democrazia italiana e decisivo per la costruzione europea. Ho detto l’altro giorno che il socialismo italiano ha sette vite come i gatti. Quindi primum vivere.

Nel concreto, un congresso rifondativo?
Ho suggerito un appuntamento congressuale straordinario che coinvolga tutta la comunità socialista italiana. Penso e spero che questa prospettiva si possa fare largo.

Partecipereste al percorso rifondativo del centrosinistra, come soggetto federato di un nuovo Pd?
In un saloon dove si sta sparando entrano solo gli ubriachi. Noi dobbiamo avere rispetto per il travaglio e per la discussione aspra dei democratici, ma non possiamo farne parte. Piuttosto: rifletta – una parte di loro – su quanto utile sarebbe riunire i socialdemocratici di questo Paese. Ma non nel partito democratico.

E per lei personalmente, Craxi?
Cosa vuole? Ho vissuto più della metà nella vita nella diaspora e nella minorità in cui sono finiti i socialisti. La “belle époque” è un ricordo di giovinezza; il resto è stato solo tentativi riusciti o meno di ricostruzione socialista a cui non mi sono sottratto. A me interessa che la mia attività politica o intellettuale sia utile a qualcuno. Questa è la bussola che mi muove. C’è un campo vasto dove l’esperienza politica può trovare spazio. Nella difesa di un diritto e nella promozione di un’attività meritevole, nell’occuparmi di problemi del mondo, in particolare nel Nord Africa e nel Mediterraneo, e nella testimonianza politica e nella ricerca di nuove strade per l’avvenire della sinistra socialdemocratica a cui non mi sottrarrò.

Di Giorgia Meloni che giudizio dà? Con il governo di destra c’è un tema di pericolo per i diritti, per le libertà?
C’è un tema di inadeguatezza e di presunzione. Ma la gente l’ha scelta e va messa alla prova. Ho un sentimento contrastante che mi muove, perché da un lato sono ammirato dalla forza e dal coraggio di questa giovane donna. Dall’altro sono sorpreso dal fatto che non si renda conto che le idee che professa sono un trito richiamo a valori e programmi che riportano indietro e non avanti il nostro Paese. Io prima di Massimo Giannini l’ho scherzosamente soprannominata “Evita Melon”. Come la pasionaria argentina. Ma è una giovane reazionaria. Quasi un ossimoro.

 

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.