L'inchiesta sulla strage
Intervista a Claudio Martelli: “Strage di Capaci, dopo 30 anni di depistaggi ricominciamo daccapo?”

«Falcone era odiato e temuto. I suoi nemici erano tanti e non solo in Italia. Ma piano con le teorie che diventano depistaggi, per fare certe accuse ci vogliono fonti e prove». Incontriamo Claudio Martelli, già ministro della Giustizia e amico personale di Giovanni Falcone, mentre arriva in libreria con Hoepli un suo testo “di studio e ragionamento”, come lo definisce l’autore: Vita e persecuzione di Giovanni Falcone. Nel libro Martelli mette in luce una serie di aspetti inediti. Insiste sulla trasformazione della mafia, delle varie mafie, a partire da Cosa Nostra siciliana, in “mafia universale”: un hub del crimine organizzato, un centro di smistamento degli affari sporchi che aveva a che fare anche con la mafia russa.
E non solo. Falcone disse a Martelli di aver ricevuto una serie di richieste di collaborazione da Mosca. «Da direttore del Ministero della Giustizia era stato contattato da Valentin Stepankov, Procuratore generale di Mosca, che desiderava una collaborazione giudiziaria da svolgere attraverso una serie di rogatorie», ci dice Martelli.
Quali erano i filoni?
Sostanzialmente due. I finanziamenti del Pcus al Pci era il primo. Perché la procura generale di Mosca voleva capire se nel crollo generale dell’Unione Sovietica quei flussi avevano preso altre strade. E poi c’era il tema della mafia russa che aveva messo gli occhi sull’Italia e iniziato un dialogo con Cosa Nostra. L’interesse della giustizia russa guardava già all’insorgere di oligarchi dai contorni opachi e dai modi risoluti, che agivano con l’eliminazione fisica dell’avversario, che in quel momento era chi indagava.
Mancavano i russi, tra i nemici di Falcone. Perché invece Report tira in ballo Stefano Delle Chiaie e il terrorismo nero.
Il Procuratore De Luca è una persona seria e la sua iniziativa anche: è volta a capire quali siano state le fonti di Report. Mi sembra legittimo appurarle, posto che si parla di una pagina di storia così dolorosa e importante. Non starei a stracciarmi le vesti, come si precipita a fare qualcuno, perché si vuole capire se ci sono materiali importanti o se è fuffa.
Il suo giudizio su questa ipotesi qual è?
Le dico quello che so: viene citato un pentito, Lo Cicero, che a detta di De Luca non ha mai parlato di Avanguardia Nazionale. E dunque è legittimo chiedersi quale sia la vera fonte, per poter considerare valida l’ipotesi. Come si fa a schierarsi pro o contro una inchiesta giornalistica se non si sa su cosa si fonda? C’è già stato un processo che ha provato come vi siano stati trent’anni di depistaggi. Vogliamo ricominciare da capo?
E allora andiamo avanti. A che conclusioni arriva con questo suo libro, “Vita e persecuzione di Giovanni Falcone”?
Sia quelli che hanno difeso il comportamento di Scalfaro e di Conso nel 1993, relativamente alla revoca di un certo numero di 41bis, sia quelli che l’hanno contestata, tutti hanno sempre trascurato alcune questioni fondamentali. Innanzitutto, chiarisco che la scelta della revoca del 41bis era legittima. Ma questo non significa che fosse anche politicamente inopportuna. Non si può dire che con quella scelta sono cessate le stragi. Un conto è dire che quelle scelte non possono essere giudicate penalmente colpevoli, perché erano scelte politiche. E in quanto tali legittime. Conto diverso è dire che fossero anche giuste e opportune dal punto di vista politico. La mia tesi è che quella scelta fu un errore catastrofico.
Ma lei di cosa sta parlando, dei Ros o di Conso?
Lo stesso generale Mori ha dichiarato al processo di Firenze di aver trattato con Ciancimino per ottenere le confidenze utili alle sue indagini. Lo fanno tutti coloro che indagano, si muovono in una zona grigia nella quale avviene uno scambio: informazioni in cambio di vaghe promesse. Non è certo la Trattativa Stato-Mafia che Ingroia ha trasformato in un romanzo inesistente.
Al centro del suo libro c’è il 1993, anno cruciale. Torbido, convulso. Cosa accadde?
Parto dai fatti. Dalla revoca da parte di Conso di un certo numero di procedimenti con il 41bis. A maggio ne revoca 140. A ottobre 350. Chi lo giustifica, dice che era una scelta non solo legittima ma giusta, perché grazie a questa decisione si sono fermate le stragi. Non si può essere d’accordo.
Perché non è d’accordo?
Perché le stragi ricominciano. Gliele devo elencare? I dati sono inconfutabili. Dall’assassinio di Borsellino, 19 luglio 1992, fino all’attentato a Maurizio Costanzo, che segna la ripresa delle stragi nel 14 maggio del 1993, passano quasi dieci mesi. Sono i dieci mesi della guerra dello Stato contro Cosa Nostra. Vengono catturati quasi mille latitanti e sono quasi novecento quelli che decidono di collaborare con lo Stato. Dunque Cosa Nostra è alle corde. Perché si decide allora di revocare il 41bis? Quali stragi se non ce n’erano state più?”
Quale risposta si dà Martelli?
Mi sono interrogato a lungo. Riavvolgiamo il film. Dopo la prima revoca del 41bis avviene l’attentato a Costanzo, evitato per un soffio, in via Fauro a Roma. Nella notte tra il 26 e il 27 maggio l’attentato ai Georgofili, con cinque morti e 48 feriti. E poi c’è quell’episodio del blackout a Palazzo Chigi. Il 21 luglio mettono fuori uso le linee telefoniche della Presidenza del Consiglio che non riesce a comunicare più con l’esterno. Quasi fosse stato messo esso stesso in “isolamento”. Segue l’attentato a Milano, alla galleria d’arte moderna di via Palestro. Un’altra strage. E danni al patrimonio artistico. Il 28 luglio due autobombe colpiscono San Giovanni in Laterano e san Giorgio al Velabro.
Ha tentato di decifrare il senso e la sequenza di quei bersagli?
Palazzo Chigi è il governo. Alcuni hanno sottolineato che i nomi dei Santi colpiti erano quelli di Giovanni Spadolini e di Giorgio Napolitano, presidenti di Camera e Senato. La chiesa. La televisione con Costanzo. E il patrimonio artistico. C’è chi suppone che il segnale era indirizzato a Antonio Subranni, il capo del Ros. Una nota degli analisti della Dia sostenne che il blackout a Palazzo Chigi “mirasse a dissuadere il governo dal mantenere per i boss il regime di perdurante durezza. I capi di Cosa Nostra hanno l’esigenza di riaffermare il proprio ruolo attraverso la progettazione e l’esecuzione di attentati volti ad aprire una tacita trattativa”.
Cosa si intendeva per tacita?
Compare qui per la prima volta la parola “trattativa”. Ma tacita vuol dire silenziosa? Coperta? Implicita? Prova a decifrare in questo senso gli attentati la neonata Dia, con il prefetto Gianni De Gennaro. Era lo storico alter ego di Falcone nella Polizia. Stento a credere che il suo intento fosse quello di suggerire allo Stato di accettare la trattativa con cui i capi di Cosa Nostra volevano restaurare il loro potere. Rifletto: a Riina delle revoche del 41bis interessava poco, perché sapeva che a lui non lo avrebbero mai revocato. A lui al massimo poteva interessare una attenuazione del 41bis, una riforma. Non la sospensione, o l’abrogazione che per lui era impensabile.
All’epoca circolavano le due ipotesi. Attenuare il 41bis, oltre a quella di revocarlo per alcuni?
Sì, ma ai boss interessava solo l’attenuazione. Ma il punto è un altro: la trattativa in qualche modo c’è stata. Senza bisogno di parlarsi. Ma Conso o chi lo guidava sbaglia indirizzo. Concede delle revoche che non interessano né a Riina né al suo cerchio magico, ai Bagarella, i Graviano, i Brusca. E invece gli autori delle stragi sono proprio loro. E a loro delle revoche non interessa niente. Dunque, lo Stato sbaglia interlocutori, per fermare le stragi si sarebbe dovuto parlare con Riina e non con i Ciancimino o altri che non avevano alcuna autorità in materia.
Un errore provato?
La prova provata di questo errore è che Cosa Nostra, dopo l’ultima mandata di revoche del 41bis dell’ottobre ’93, concepisce il più efferato dei suoi attentati. Piazza una bomba a orologeria in prossimità del parcheggio della camionetta dei Carabinieri all’uscita dello Stadio Olimpico a Roma, con il timer puntato a un’ora che sembra quella della fine della partita, quando sfollano i tifosi, per uccidere il più ampio numero di persone. Il timer non funzionò, e fu un altro miracolo che evitò la strage. E anche questo dimostra che i capi di Cosa Nostra non avevano alcuna riconoscenza per le revoche.
In sintesi?
È stato sbagliato mettere in discussione il 41bis. Da quel momento la mafia capisce che lo Stato è più fragile: Falcone è morto, Martelli si è dimesso, Scotti è stato estromesso. ‘Proviamo a dargli un altro colpetto, si sente dire Riina in una intercettazione. Se i capi di Cosa Nostra capiscono che c’è una fragilità, azzannano. Ma l’aspirazione dei boss era quella di chiedere una attenuazione, non la revoca. Sbagliando strada e inducendo la mafia a premere sull’acceleratore. O peggio, sul grilletto.
Chi si fa pecora, il lupo se lo mangia.
Fu un colossale errore politico. E tutto accadeva mentre Mani Pulite metteva in ginocchio governi e Parlamento.
C’era chi soffiava su quel vento per aiutare le istituzioni a vacillare?
Mani Pulite ha utilizzato contro i partiti di governo misure eccezionali, andando al di là della legge. Quelle misure erano state forgiate per contrastare la mafia, e invece vennero rivolte contro esponenti della politica, mettendo in atto una gravissima serie di abusi. A partire dalla carcerazione preventiva. Ci ricordiamo tutti la famosa frase di Di Pietro, ‘O parli o fondo la chiave’.
Quello della carcerazione preventiva è un tema attuale. Si va al referendum tra pochi giorni.
Io voterò Sì a tutti e cinque i quesiti. Senza ombra di dubbio. Ma è calato un grande silenziatore.
Celebrano Falcone e invitano a disertare le urne, una contraddizione enorme.
Falcone era un magistrato garantista, che ha sempre rispettato tutti i diritti degli imputati, inclusi quelli per mafia. Voleva la separazione delle carriere tra Pm e giudici e si sarebbe opposto anche oggi all’abuso della carcerazione preventiva come a un Csm in balia delle correnti.
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