Il governo e le riforme
Intervista a Ettore Rosato: “Il partito di Draghi vale più del 20%, per Conte non c’è posto”
Un’alleanza dei riformisti attorno all’”agenda Draghi”. Non solo è possibile ma è praticabile. Il Pd? «Deve scegliere tra un rapporto con le forze riformiste e quello con un Movimento 5 Stelle in caduta libera, anche nella versione ‘contiana’». A sostenerlo è Ettore Rosato, Vice presidente della Camera dei deputati, coordinatore nazionale di Italia Viva.
Il voto delle amministrative, soprattutto nelle grandi città, ha messo in evidenza la sconfitta del centrodestra e il tracollo dei 5 Stelle. Come leggere questi due dati in prospettiva delle elezioni legislative?
Intanto come due buone notizie. Il centrodestra, peraltro, si è suicidato con la scelta di candidati non all’altezza del governo di città importanti. A questo ci si aggiunge una politica che continua a fare più di un occhiolino ai venti antieuropei e populisti, cosa che non è più in sintonia con il Paese. Per i 5 Stelle si tratta, a mio giudizio, di una tappa versa l’estinzione, o almeno del M5S che abbiamo conosciuto. Probabilmente resterà un partitino di Conte.
Nei giorni scorsi, questo giornale ha titolato l’apertura di prima pagina: “Progetto di fronte riformista contro sovranisti e 5Stelle”. Un’idea lanciata da Renato Brunetta, esponente di rilievo di Forza Italia. È una opzione praticabile e per Italia Viva a quali condizioni?
Per noi la collaborazione con Forza Italia è naturale. E il lavoro da mettere in campo è quello di unire tutte le forze riformiste e moderate. Ma moderate nei toni non nei contenuti. E capaci di interpretare quel bisogno di cambiamento che l’Italia ha intravisto nel lavoro di Draghi. Gli attori in campo a poter fare questo percorso sono tanti. L’unica cosa che servirà è molta umiltà e poco protagonismo.
Afferma Berlusconi, cito testualmente: «Il centro non è equidistante. Sta con il centrodestra». E allora?
Queste dichiarazioni sono sicuramente un po’ viziate dalla corsa al Quirinale. Fino a quando non verrà eletto il Capo dello Stato bisognerà armarsi di santa pazienza e guardare con fiducia in avanti.
Lei in precedenza ha affermato che servirà molta umiltà e poco protagonismo. Ma il “virus” di un protagonismo esasperato, di una personalizzazione estrema non ha da tempo attecchito nel centrosinistra? Ed esiste un efficace “antidoto” per debellarlo?
Io penso che ci voglia una capacità, oltre che una volontà politica, di mettere insieme una pluralità di forze che hanno al proprio interno molta gente di qualità, alcune leadership. Questo si può fare solo se non si calca la mano del protagonismo ma lavorando per costruire una squadra.
Dentro questo scenario, c’è un problema che accomuna tutte le forze politiche di ogni coloritura e collocazione parlamentare: la marea astensionista. Alle recenti elezioni amministrative, al primo turno un elettore su due ha disertato le urne, e ai ballottaggi ha votato un po’ più del 40%. Non è un campanello d’allarme per la tenuta stessa del nostro sistema democratico?
Assolutamente sì. E io penso che la mancanza di chi possa rappresentare anche quel consenso che la politica di Draghi sta raccogliendo, è un incentivo all’astensionismo. Oggi i sondaggi, che valgono quanto valgono, danno con una mera sommatoria delle forze che si potrebbero mettere insieme, oltre il 20%. Io credo che lo spazio elettorale sia questo ed anche più ampio.
A proposito di questo. In tanti, nel dibattito politico, fanno riferimento all’”agenda Draghi”. Ma ognuno sembra tirarla dove e come faccia più comodo. Come se fosse un’agenda à la carte. Per Italia Viva cosa significa “agenda Draghi” e quali ne sono i punti fondamentali?
L’agenda Draghi non va “tirata”, va letta. È stata approvata e si chiama Pnrr. Il nostro programma è quello, fino al 2026 e oltre. Il che significa creare condizioni di maggior competitività per le aziende, un welfare più moderno e capillare, sanità più efficiente e moderna, investimenti in infrastrutture, rilancio vero del Mezzogiorno.
In questo ultimo scorcio di legislatura, oltre alla messa in attuazione di importanti progetti strutturali indicati dal Pnrr, c’è un tema che riguarda il funzionamento stesso del nostro sistema democratico e rappresentativo. Mi riferisco ad una nuova legge elettorale, resa ancora più stringente dopo il referendum che ha confermato il taglio dei parlamentari. Lei di leggi elettorali è un esperto. Azzardi una previsione: andremo a votare con una nuova legge elettorale o ci si limiterà a ridisegnare le circoscrizioni?
Fare le leggi elettorali è più difficile di quanto sembri. Soprattutto se si vogliono fare con una caratteristica indispensabile che io ravvedo, e cioè con una larga maggioranza. Io confido che ci sia su questo un percorso serio, ma dico la verità: un progetto come quello che io penso vada messo in campo, funziona con tutte le leggi elettorali, compresa l’esistente. Mi lasci aggiungere, per tornare al campo riformista, che in esso faccio fatica a collocare Conte. Nessun pregiudizio di natura personale, ma la valutazione che facciamo della sua esperienza è fallimentare e riproporla oggi, in chiave di alleanza, vorrebbe dire aggiungere fallimento a fallimento.
A proposito di giustizialismo. Non ritiene che tra i cardini di un riformismo vero debba esserci una decisa presa di distanze dal giustizialismo?
Assolutamente sì. E aggiungo che tra gli interlocutori che ritrovo nel delineare un campo riformista ritrovo queste caratteristiche.
L’agenda Draghi e il Pnrr fanno anche riferimento alla riforma della Giustizia. Secondo Italia Viva in cosa si dovrebbe inverare una riforma complessiva di questo comparto fondamentale di uno Stato di diritto?
La strada iniziata è quella giusta. Ma quando penso che per arrivare fino in fondo a riforme più profonde, di qualità, bisogna farlo senza il Movimento 5 Stelle, quello della Giustizia è uno dei terreni su cui hanno mostrato in maniera ancor più marcata rispetto ad altri, la loro faziosità e la loro pericolosità.
Guardando agli ultimi trent’anni e al ruolo esercitato dalla magistratura e al rapporto con politica, non ritiene che a sinistra l’idea che esista una “via giudiziaria al socialismo” faccia fatica a essere abbandonata?
C’è un pezzo del Pd, e non un pezzo piccolo, che è corso dietro ai 5Stelle e che continua a farlo anche su questi temi.
Sempre per restare su questo tema. Se lei dovesse indicare una priorità da porre in cima all’agenda di un governo riformatore, nel campo della Giustizia, quale sceglierebbe?
Riforma del Csm e criteri e modalità per la valutazione dei magistrati. Farebbero emergere tante qualità che in quel mondo ci sono.
La fine naturale della legislatura cade nel marzo del 2023. Prima, però, c’è in calendario l’elezione del nuovo Capo dello Stato, a febbraio dell’anno prossimo. Molti nel dibattito politico sovrappongono o intrecciano questi due momenti. Già si sono aperte le grandi manovre per il Quirinale. Voi di IV come la vedete?
In maniera molto laica. È inutile discuterne oggi. Se ne discuterà a gennaio. Tutto il resto è molto prematuro. Certo, dipende molto da quello che intende fare Mario Draghi. A mio giudizio, in questa legislatura non c’è spazio per un quarto Governo.
Il Partito democratico ha ottenuto indubbiamente risultati importanti con l’elezione a sindaco dei propri candidati nelle cinque grandi città andate al voto. Le chiedo: il Pd di Enrico Letta è diverso da quello che aveva delineato il suo predecessore alla guida dei dem, Nicola Zingaretti, oppure c’è una sostanziale continuità, al di là del modo di essere dei due?
Io vedo una assoluta continuità. Ma con questo non intendo dare un giudizio di merito. Dico semplicemente che non è cambiato nulla sulle questioni principali. Aggiungo che il Pd dovrà scegliere se essere riformista o essere alleato dei 5Stelle. Le due cose non sono compatibili. Lo abbiamo visto in oltre un anno di governo insieme. Nelle politiche giustizialiste che hanno portato avanti con una cocciuta coerenza, nella linea dettata ogni giorno da Il Fatto quotidiano più che dal Parlamento, nelle assurdità nelle scelte su welfare ed economia. Io i No Tav, il No Ceta e il “No” a qualsiasi altra cosa, me li ricordo bene. Qualcosa hanno subito. E oggi festeggiano il gas e vanno in alta velocità pure loro, ma restano un ostacolo allo sviluppo del Paese.
Alzando lo sguardo oltre i confini nazionali e all’Europa. L’uscita di scena di Angela Merkel e le pesanti difficoltà che incontra in Francia Emmanuel Macron in vista delle presidenziali del 2022, danno una chance in chiave europea all’Italia e all’attuale presidente del Consiglio?
Più che una chance è un dato di fatto. Ormai il leader più influente in Europa, riconosciuto, è Mario Draghi. E questo è un enorme vantaggio per l’Italia. La Germania è stato un grande Paese anche perché ha avuto una grande leader come Angela Merkel. L’Italia deve cogliere questa grande occasione che ha davanti.de giovannangeli
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