Per Eugenio Albamonte, pubblico ministero a Roma e Segretario di Area democratica per la giustizia, che la vittoria dei 101 a Palermo «possa essere indicativa del fatto che la magistratura in toto o una parte significativa di essa abbia abbracciato le posizioni dei 101 sul sorteggio» rappresenta «una lettura molto strumentale».
Palamara? « Non si può pensare di risolvere la crisi di credibilità della magistratura soltanto con le condanne di chi è stato più direttamente protagonista di alcuni fatti». E sulla proposta dell’Ucpi di vietare il distacco dei magistrati fuori ruolo al Ministero della Giustizia: «Scelta irrazionale. Non sarebbe però sbagliato dare più spazio anche agli avvocati e alla cultura universitaria». Per quanto concerne la nuova legge sull’ergastolo ostativo: nessun timore, «non si vuole menomare la lotta alla mafia». Alla proposta di Di Matteo replica: «Concentrare tutto in un solo Tribunale di Sorveglianza non vuol dire determinare anche in questo modo una sovraesposizione di questi magistrati?»

Delle proposte del Governo per Csm e ordinamento giudiziario neanche l’ombra. E il tempo scorre. Siete preoccupati?
Siamo estremamente preoccupati. Noi di Area siamo stati tra i primi a sottolineare circa sei mesi fa l’importanza di un intervento di riforma del Csm e della sua legge elettorale. Siamo convinti, e credo lo siano anche il Governo e le forze politiche, che l’attuale legge elettorale è corresponsabile della deriva clientelare che la magistratura ha avuto dal 2002 ad oggi. Tuttavia la sola riforma della legge elettorale non basta. Eppure è impossibile pensare che il Governo metta mano alla riforma complessiva del Consiglio che prenderebbe molto più tempo.

Che lettura dà dei nuovi assetti delle sezioni locali dell’Anm?
I risultati delle elezioni devono essere letti nel senso di una progressiva creazione all’interno della magistratura di due poli: uno progressista e uno conservatore. Questa non è una buona cosa, in quanto la magistratura sicuramente è portatrice di culture e sensibilità ben più ricche di quelle rappresentate da Area da una parte e da Magistratura Indipendente dall’altra. Ciò dipende dalla situazione di crisi che ha colpito soprattutto Unicost, che tuttavia sta mettendo in atto una seria operazione di rinnovamento. Dato questo quadro, è necessario che per le elezioni del Csm si metta in campo un sistema elettorale che non rafforzi la spinta alla polarizzazione ma che favorisca la rappresentanza di tutte le anime.

Ritiene giusto, come ipotizza qualcuno, che, prendendo atto della vittoria di Articolo 101 a Palermo, occorra sostenere l’idea del sorteggio per i membri del Csm?
Il fatto che siano riusciti a presentare una lista solo a Palermo mi dà l’idea che per il momento i 101 siano un gruppo che vive prevalentemente dell’impegno profuso da alcuni leader che sono rappresentati in Anm nazionale, e che riscuotono un consenso sulla base dell’affidamento che queste persone ottengono negli ambienti in cui operano più direttamente. Che questa affermazione molto settoriale possa essere indicativa del fatto che la magistratura in toto o una parte significativa di essa abbia abbracciato le posizioni dei 101 sul sorteggio mi sembra una lettura molto strumentale. Per il resto chi sostiene il sorteggio, a mio modesto avviso, non solo promuove un sistema incostituzionale ma appoggia una riforma destinata a privare il Consiglio di ogni autorevolezza, trasformandolo in un mero ufficio del personale dei magistrati.

Uno snodo cruciale della riforma dovrebbe essere quello degli incarichi semidirettivi e direttivi.
La legge Castelli del 2006 ha determinato una forte spinta carrierista, incontrando una disponibilità aperta di alcuni gruppi associativi a cavalcarla più di altri attraverso il clientelismo. All’interno di Area si sta ragionando su tre possibili interventi: ridurre il numero di questi incarichi, che al momento è sproporzionato rispetto alle esigenze; imporre al magistrato di condurre al termine l’incarico degli otto anni, spezzando quel circuito della carriera dirigenziale, nel quale l’aspirazione ad un incarico direttivo o semidirettivo è funzionale non tanto alla efficace gestione organizzativa di un ufficio o di una sezione, quanto alla costituzione di un titolo da spendere nel proprio curriculum professionale; prevedere che il magistrato non possa presentare domanda per un nuovo incarico direttivo o semidirettivo prima di aver completato il precedente ovvero dopo un certo termine (due, tre anni) dalla cessazione del precedente incarico.

Crede esista il rischio che la sanzione durissima nei confronti di Luca Palamara possa essere interpretata come una estinzione del problema da parte di una fetta della magistratura?
Bisogna che la magistratura vigili affinché ciò non avvenga. Un conto sono le sanzioni inflitte a Palamara e in misura minore ad altri. Un conto è la questione etica che investe tutta la magistratura: non si può pensare di risolvere la crisi di credibilità della magistratura soltanto con le condanne di chi è stato più direttamente protagonista di alcuni fatti. Perché è vero che c’era una offerta di clientela ma c’era anche una richiesta di clientelismo da parte del corpo della magistratura. Se non mettiamo in atto, come ci chiede il Capo dello Stato Mattarella, una profonda attività di ripensamento del nostro essere magistrati non potremo compiere un passo avanti tale da impedirci per il futuro di ritornare su quelle pratiche distorsive. Però rispetto a due anni fa al nostro interno una serie di prese di coscienza ci sono state: soprattutto l’Anm ma anche i gruppi tradizionali stanno cercando di dare delle risposte. Certamente non sono ancora sufficienti e definitive, tuttavia non è vero che la magistratura è rimasta immobile come sostengono diversi detrattori.

Il vice presidente del Csm Ermini ha detto: «la valutazione di professionalità dovrebbe prevedere controlli sulla qualità e sulla tenuta dei provvedimenti». Ha detto anche di credere che «la normativa sui fuori ruolo possa essere rivista, peraltro sarebbe opportuno ricorrere anche a figure diverse come gli avvocati nei diversi ruoli dell’amministrazione». È d’accordo?
Per quanto concerne il primo punto, una valutazione della performance giudiziaria dei provvedimenti come parametro di valutazione professionale del magistrato porta al paradosso che gli unici che avranno la valutazione positiva saranno quelli della Cassazione perché sono gli ultimi a giudicare. Inoltre non vorrei che questo tipo di valutazioni ci costringesse, per paura di essere smentiti, ad assumere delle decisioni un po’ burocratiche, che si fondano sul precedente. Sarebbe un ostacolo insormontabile all’evoluzione del diritto applicato. Con gravi danni per i cittadini e per l’avvocatura che promuove la tutela dei diritti. Per quanto riguarda i magistrati fuori ruolo, non sono favorevole alla lettura che del tema viene data dall’onorevole di Azione Costa, e dall’Unione Camere Penali. Sarebbe assurdo sostenere che al Miur non debbano andare i professori e al Ministero della Salute i medici. Estromettere i magistrati sarebbe un errore oltre che una scelta irrazionale. Ciò nonostante, visto che i protagonisti del processo e della giurisdizione non sono solo i magistrati, non sarebbe sbagliato dare più spazio all’interno del Ministero della Giustizia anche agli avvocati e alla cultura universitaria.

In questo particolare momento storico che rapporto c’è tra magistratura e politica? Ad esempio il presidente Caiazza ha tuonato: «Magistratura a pezzi, ma a fare le leggi è ancora lei».
A me sembra che le ultime riforme, prima fra tutte quella del processo penale, siano state scritte dagli avvocati e in relazione ad alcuni interessi della difesa. La norma sulla improcedibilità certamente non l’ha proposta la magistratura. Non solo la magistratura non detta legge ma, anzi, ci sono tutta una serie di iniziative che vogliono tentare in tutti i modi di ridimensionare sia il ruolo della magistratura requirente all’interno del processo sia quello istituzionale all’interno del Paese. Basti pensare al sorteggio per il Csm, al divieto di distacco dei magistrati fuori ruolo, alla nuova norma sui tabulati telefonici e presunzione di innocenza. A me sembra che gli scandali che hanno colpito la magistratura vengano utilizzati strumentalmente da una parte della politica non per eliminare le cause che li hanno determinati ma per mettere in atto delle riforme che nulla hanno a che vedere con essi.

A proposito del recepimento della direttiva europea sulla presunzione di innocenza: riuscirà a frenare gli eccessi di protagonismo di alcuni magistrati?
A me sembra che questa norma sia stata costruita pensando alle esternazioni che alcuni magistrati fanno soprattutto nei talk show, in cui spesso vengono espresse delle considerazioni che non fanno onore alla magistratura e danno un’idea della categoria investita di un qualche ruolo morale, come fustigatrice dei costumi, che dà giudizi sommari sui fatti del giorno, tradendo l’idea di ponderazione che la comunicazione di un magistrato dovrebbe sempre soddisfare. Tuttavia la nuova norma va ad incidere invece sulla comunicazione giudiziaria che rigorosamente deve essere data agli organi di informazione quando le vicende sono rilevanti. Non presentare l’indagato come colpevole è un principio di civiltà; limitare però il flusso delle notizie può costituire un problema generale per il Paese.

L’Europa, e di conseguenza il Governo, vi hanno chiesto di alzare i vostri standard di produttività per rispondere alle esigenze del Pnrr. Non c’è il rischio che si abbassi la qualità delle decisioni?
Una spinta alla iperproduttività, in un contesto di tipo culturale che presuppone una elaborazione intellettuale, è sempre dannosa, soprattutto quando si vuole aumentare la quantità a parità di risorse in una realtà come la nostra dove il contenzioso è sempre più complesso. Da questo punto di vista le risorse dell’Ufficio per il processo possono dare un contributo relativo: verranno sì introdotti laureati giovani e preparati ma potranno essere di aiuto per le vicende più semplici.

Il professor Giorgio Spangher, commentando la circostanza per cui il conto corrente di un ex premier è finito sulle pagine del Fatto Quotidiano, ha detto: «il problema non riguarda tanto la pubblicabilità o meno degli atti, ma la pertinenza delle acquisizioni al fascicolo. Mentre per le intercettazioni si è riusciti a far inserire nell’archivio riservato quelle irrilevanti ai fini delle indagini, il legislatore ancora non si è posto il tema dell’irrilevanza rispetto all’attività di acquisizione di materiale da perquisizione e sequestro. Questo episodio dunque deve indurre il legislatore a ripensare la norma».
I problemi tecnici sono esattamente quelli delineati dal professor Spangher. Io faccio il pubblico ministero e quando svolgo una attività di indagine sono obbligato a inserire nel fascicolo qualsiasi esito raggiungo. Alla fine delle indagine il fascicolo del pm è sottoposto alla discovery. Da qual momento in poi entra nella disponibilità di tutta una serie di soggetti. Quindi come vengono trattati gli atti dipende molto dall’attenzione e dalla eticità di tutti quelli che hanno in mano il fascicolo. Se non c’è una norma che in qualche momento del giudizio consenta, casomai nella forme del contraddittorio, di selezionare alcuni elementi, io non potrò che continuare a inserire tutto seguendo la legge.

Si sta discutendo molto di ergastolo ostativo. Qual è la posizione di Area su questo?
Noi siamo convinti che le linee espresse dalla Consulta costituiscano un principio centrale intorno al quale costruire una riflessione molto attenta. Non si tratta di abolire il carcere duro o menomare il contrasto alla mafia, ma di eliminare un automatismo. È importante che una volta che la legge venga recepita dal Parlamento l’amministrazione penitenziaria si doti di tutti quegli elementi sostanziali e non formali necessari per consentire al magistrato di sorveglianza di esprimere una valutazione compiuta che tenga conto del percorso umano fatto dal detenuto.

Però il consigliere Nino Di Matteo vuole centralizzare tutto al Tribunale di Sorveglianza di Roma, alterando la giurisdizione di prossimità. Sostiene che servirebbe ad evitare effetti pericolosi sotto il profilo della sicurezza dei giudici di sorveglianza chiamati a decidere.
Innanzitutto va assolutamente respinta la lettura di una magistratura di sorveglianza non professionalmente adeguata al suo compito. Poi il tema della concentrazione a Roma a me sembra una forzatura di sistema rispetto all’attuale. C’è effettivamente un principio di prossimità che deve essere salvaguardato, soprattutto se si vuole che il giudice di sorveglianza faccia una valutazione in concreto. Più ci si allontana dal detenuto più il rischio di errore aumenta. Poi, se c’è un pericolo di incolumità, concentrare tutto in un solo Tribunale di Sorveglianza non vuol dire determinare anche in questo modo una sovraesposizione di questi magistrati?