Per l’enciclopedia Treccani è l’avvocato più famoso d’Italia. Decano dei penalisti italiani, Franco Coppi – che per tutti è “il Professore” – in vita sua ne ha viste tante, assistendo anche Giulio Andreotti e Silvio Berlusconi, solo per citare due nomi. Raggiunto dal Riformista, attacca con ironia: «Ne ho viste tante, ma non avrei mai immaginato di finire io stesso ai domiciliari». Iperattivo, abituato a calcare le scene in tribunale, mal digerisce di dover stare chiuso in casa, nell’attesa che passi l’emergenza coronavirus. Classe 1938, lavora attivamente su alcuni dei casi recenti più spinosi, dall’omicidio del carabiniere Cerciello alle due ragazze investite in corso Francia a Roma.
Siamo tutti ai domiciliari, professore.
Mi dicono che ne avremo per un anno o forse più. Per questo studiano misure di lungo corso.
A gestire questa fase, un premier avvocato. Che opinione ha di Conte?
Se la sta cavando abbastanza bene, per uno che non aveva alcuna esperienza precedente in politica. Sta imparando il mestiere giorno per giorno. Ha avuto la fortuna e la sfortuna insieme di vivere questo momento particolarissimo, che comunque sarebbe stata una prima volta per chiunque. Detto questo, non ho mai avuto una predilezione per i politici dalla preparazione giuridica: i giuristi sono formali, l’uomo politico deve avere una elasticità diversa.
E dunque?
Giudizio sospeso, in attesa di poter valutare i risultati.
Veniamo alla riforma del processo penale.
Ecco, su questo un giudizio chiaro vorrei darlo: un disastro. Non si possono improvvisare le grandi riforme, altrimenti si ottengono risultati fallimentari. Chiunque assista a un’udienza si accorge che vengono ripetute le testimonianze e i documenti che tutti già conoscono, a eccezione del giudice, dai verbali investigativi del pm a quelli del dibattimento. Un meccanismo caotico, per di più aggravato dalla pretesa di ridurre la durata processuale complessiva, cosa che la riforma della prescrizione impedisce di fatto.
Tutta colpa del ministro Bonafede?
È un periodo in cui occorrerebbe un ministro della Giustizia con il coraggio di fare un bilancio attuale sul pianeta giustizia. Nuovo processo penale, prescrizione, gestione delle carceri: siamo alla débâcle. Il ministro che vorrei vedere oggi deve saper prendere di petto la situazione. Invece abbiamo trenta udienze per ciascun processo, e per questo ministro non c’è nessun problema.
Glielo ha mai detto?
Non ho mai avuto il piacere di conoscerlo e di parlargli.
La riforma della prescrizione porta il suo nome.
Questa di Bonafede è la peggiore riforma possibile. Renderà i processi eterni, senza fine. Aumenterà la discrezionalità dei processi tra quelli da trattare prima e quelli da trattare dopo. Bisogna rendersi conto che in un Paese dove arrivano a dibattimento tutti i processi, non si possono applicare regole aleatorie. Ma ho la sensazione che certi decisori di cultura giuridica ne abbiano poca.
Tra le ultime decisioni, la rimozione del capo del Dap che aveva mandato a casa due boss mafiosi.
Per me lo Stato forte si dimostra tale nell’amministrare la giustizia con equanimità, senza farsi trascinare dalle grida isteriche della piazza. Espressioni tipo “buttate le chiavi”, “marcire in carcere”, non devono appartenere a uno Stato di diritto, a una democrazia vera. A una persona anziana e malata deve essere accordata la detenzione domiciliare. I diritti fondamentali vanno garantiti. Non si deve ridurre la persona allo stato di cosa, altrimenti abbiamo dimenticato tutte le lezioni di Beccaria.
Quali soluzioni indicherebbe per l’emergenza carceraria?
Partire dalla base. Mandare a casa chi ha un residuo di pena inferiore a un anno. Ed è il momento di pensare a una vera amnistia. Sarebbe opportuno accordare una amnistia di particolare ampiezza, perché ci sono processi penali che hanno fatto patire già sin troppe sofferenze. E c’è un eccesso di custodia cautelare, troppa gente in attesa di giudizio, con tempi inammissibilmente prolungati.
E per il pianeta carcere?
Costruire carceri moderne, nuove, con la capacità di affrontare la popolazione carceraria. Oggi si vive in condizione disumana nelle carceri. E la popolazione carceraria corre il rischio di subire un supplemento di pena: se vanno evitati gli assembramenti, oggi tutte le celle delle prigioni sono fuorilegge. Qualcuno si assuma la responsabilità: cinque persone stipate in una cella piccola, non è dignitoso.
Magari anche usando i braccialetti elettronici.
È davvero imbarazzante, uno dei simboli di una giustizia imbrigliata. Ci sono, ci sarebbero. Ma non si usano, e si fatica ad averne. Parlo di casi che conosco: ho ottenuto l’ammissione di una persona ai domiciliari, ma è rimasta in carcere perché il braccialetto elettronico non si trova. Siamo davanti a una lesione quotidiana del diritto.
Lei ha capito che fine abbiano fatto?
Che fine abbiano fatto è un mistero. Deve esserci qualcosa dietro. Io so per certo che dal provvedimento alla disponibilità del braccialetto, passa troppo tempo.
Si scontrerebbe con i magistrati duri e puri alla Davigo.
Quando sento un magistrato dire che un imputato assolto è un delinquente che l’ha fatta franca, rabbrividisco: vuol dire che ha giudicato per anni con pregiudizio.
Perché secondo lei certe figure finiscono per piacere così tanto alla pancia del Paese?
Perché canalizzano la rabbia su capri espiatori facili da attaccare, non rendendo un gran servizio alla giustizia. Nella mia carriera mi sono sempre dedicato a far capire quali e quanti sono i rovesci della medaglia. Perché un giovane siciliano diventa mafioso, quali responsabilità ha la collettività. Se un giovane di 15 anni smette di andare a scuola e entra nelle file della malavita, bisogna andare alla radice, capire come avvengono certi processi. Invece siamo alla ricerca spasmodica del nemico, forti dell’idea che la colpa è sempre di qualcun altro.
Succede, se la classe dirigente è debole.
La politica ha grandi responsabilità. Investire nella cultura e nell’educazione, curare i giovani, accogliere la sofferenza: questo bisognerebbe fare, prima di pensare alla repressione e alla punizione. Più musei si fanno visitare, meno reati si compiono.
Se finalmente vi incontraste, cosa suggerirebbe al ministro Bonafede?
Metta mano a una revisione dei disastri cui assistiamo. Ci vuole un programma di riforma immediata, dei ritocchi presto attuabili. Metta insieme una commissione di saggi con pochi giuristi di fama per gli aggiustamenti immediati del processo penale.