Incontriamo Giampiero Mughini nella sua Monteverde. Giornalista, scrittore, conduttore televisivo e occasionalmente attore – come interprete di se stesso, in un cameo di Nanni Moretti – sta lavorando a una autobiografia in cui la ricerca del senso della vita sarà accompagnata dal racconto della relazione speciale che ha con i dipinti, le opere d’arte e i tantissimi libri dai quali vive circondato.

Come vede gli italiani travolti da questa crisi pandemica, che è anche crisi di identità culturale?
Usare il termine “italiani” nella sua accezione generalissima non ci aiuta a comprendere la realtà in cui stiamo vivendo. Ci sono varie e differentissime categorie di “italiani”.

Ovvero?
I tassisti, i titolari di ristoranti e alberghi e sale da ballo hanno vissuto questi due anni di lotta al Covid con tutt’altre conseguenze che non i dipendenti della pubblica amministrazione. Pochi giorni fa i sindacalisti della Cgil e della Uil hanno aizzato uno sciopero di “italiani” conto altri “italiani” (quali il sottoscritto) che dichiarano al fisco un reddito annuo di oltre 75mila euro e questo perché pagheremo 250 euro di tasse in meno l’anno prossimo.

Ce l’ha con la Cgil di Landini?
Faccio presente a quei simpaticoni che in quanto partita Iva ho appena pagato un acconto di svariate migliaia di euro che non ho ancora incassato. Sono un “italiano” che ha fatto un prestito gratis allo Stato per aiutarlo a pagare un reddito di cittadinanza ad altri “italiani” che non se la passano bene.

La politica ha delegato la funzione di guida delle istituzioni ad una personalità esterna ai partiti…
Per fortuna abbiamo recuperato una figura eccezionale, Mario Draghi, la cui autorevolezza è più alta di tutti i partiti messi assieme e che consente alla baracca italiana di stare in piedi. Così come l’aveva consentita un altro italiano d’eccezione, il presidente Sergio Mattarella.

Riusciranno a reinventarsi, i partiti?
Si metta il cuore in pace. I partiti novecenteschi non esistono più. Vuole chiamare partito quel Movimento 5Stelle che aveva raggranellato il 32 per cento dei consensi alle ultime elezioni? Era soltanto un assieme di sfaccendati che cliccava su un sistema computeristico inventato dal geniale Gianroberto Casaleggio. Così come non esiste più il Pci, quell’assieme granitico di sezioni di quartiere, comitato centrale, quotidiani e settimanali di partito che ne erano il corpo.

E non esistono più neanche i giornali di partito…
Oggi l’unico giornale italiano di partito è Il Fatto Quotidiano.

Come andò la vicenda della sua direzione del quotidiano Lotta Continua?
È tanto difficile capire il concetto di direttore responsabile? Avevo dato la mia firma per permettere loro di andare in stampa, perché da liberale trovavo giusto che quel gruppo potesse esprimersi.

Non ne condivise gli eccessi, né tantomeno gli errori…
Neppure lo leggevo, Lotta Continua. Per il resto non ho mai avuto alcun rapporto con loro, mai una volta sono stato nelle redazioni di quei loro giornali. Di tutti i groupuscules italiani era il più vitale, il più originale. Anche perché riuniva alcuni dei migliori talenti della mia generazione. Detto questo, porta il marchio di Lotta continua l’assassinio di Luigi Calabresi, il gesto che dà il via al terrorismo rosso in Italia.

Dagli eccessi della tensione di quegli anni alla scomparsa della passione ideale, oggi. Tecnocrati, economisti e burocrati non possono soppiantare la politica.
Non vedo perché usa in senso negativo le parole “tecnocrati” ed “economisti”. Ossia gente che sa di che cosa sta parlando. Avete forse nostalgia delle “ideologie”, di quei blocchi di verità enunciati una volta per tutti e fatti valere su ogni particolare della realtà?

Il populismo è il tentativo sciagurato di una parte della sinistra per rimettersi in carreggiata?
Il populismo è una fogna cui attingono un po’ tutti dato che di sistemi ideali atti a spiegare quel che sta succedendo nel terzo millennio purtroppo non ce n’è. Procediamo a tentoni. L’importante è fare meno danni possibili. Da questo punto di vista sono contentissimo che nella Lega emergano personaggi come Giancarlo Giorgetti o Massimiliano Fedriga.

Certo, se i politici veri sono scarsi, gli intellettuali capaci di dare stimoli alla politica non sono meno rari. Come mai, a suo avviso?
Anche qui siete vittime della nostalgia di un tempo, quello in cui erano dominanti figure di intellettuali umanisti quali Antonio Gramsci, Benedetto Croce o magari Norberto Bobbio. Un tempo che non esiste più. Nel confronto con gli intellettuali scientifici gli intellettuali umanisti non contano più nulla, ammesso che abbiano mai contato.

Contare non so, ma hanno esercitato una funzione di ispirazione e di guida, di riferimento nel bene o nel male.
Hanno contato per una lunga stagione del secondo dopoguerra perché erano in massa dalla parte del Pci, e uno che pubblicasse un libro che dava dei calci agli stinchi al Pci era perciò stesso condannato all’inferno. Oggi contano i medici che hanno apprestato il vaccino anti-Covid, gli ingegneri che hanno saputo creare i droni da combattimento, quelli che fanno fare al nostro computer degli exploit inauditi e così via. Quarant’anni fa Enzo Forcella scriveva che erano non più di 1500 i lettori di un editoriale di prima pagina di un giornale. Oggi siamo al punto che stanno soccombendo gli stessi giornali, altro che gli editorialisti.

E dal governo di unità nazionale emergono personalità nuove che in futuro, chissà, potrebbero esercitare una funzione di guida anche maggiore.
E infatti non avrei nulla, ad esempio, contro l’eventualità di una Marta Cartabia a capo del governo. Ovviamente non perché è una donna. Da quando avevo vent’anni, e le ragazze facevano tutto quello che facevamo noi maschi, non distinguo minimamente nella vita pubblica tra un uomo e una donna.

Torno sul punto: Gramsci diceva che è intellettuale colui che genera “pensiero novello”. Chi può definirsi per lei un intellettuale contemporaneo?
Ma come potete pensare che un qualcosa della topografia nostra odierna possa essere identificato da uno che scriveva a un tempo in cui non c’erano né la televisione, né i giornali a rotocalco, né il computer, né i telefonini, e anzi a dominare il campo erano dei giornali che oggi nessun men che trentenne legge? Proviamo a trovare parole nuove, a cercare di capirci qualcosa del gran pandemonio in cui viviamo.

Per L’Espresso l’ultimo intellettuale è Zerocalcare. Il direttore degli Uffizi dice che Chiara Ferragni è l’unica che può risollevare l’attenzione sulle visite ai musei. Sono compromessi necessari tra élite culturali e consumatori di massa?
Zerocalcare non è l’ultimo intellettuale e nemmeno il penultimo, ma è di certo un intellettuale/creatore di quelli che hanno un pubblico e che giocano la loro partita quanto a comunicare ed emozionare. Chiara Ferragni non è un’intellettuale ma non ha bisogno di esserlo: le basta sgranare gli occhi e tenere bene in vista le sue bellissime gambe, e milioni di nostri concittadini sono ai suoi piedi. Come la vogliamo mettere?

I libri e le opere d’arte sono oggetti “animati”, viventi. Parlano di chi li ha originati e anche di chi li possiede. Qual è il suo rapporto con loro?
Ho scritto un libro che uscirà a marzo dove racconto che “quel che resta della mia vita” è unicamente il rapporto con i miei libri e con le opere d’arte che amo. Vi parrò esagerato, ma purtroppo è così.

La tecnologia, gli ebook, il metaverso che ci consentirà di materializzare virtualmente una data opera d’arte nella nostra abitazione, potranno rimpiazzare l’originale?
Ma che fa, mi prende per scemo a farmi una tale domanda? Le delizie del “metaverso” le lascio ai vostri figli, dato che io non ne ho. Nei pochi anni che mi restano, di quelle delizie non mi nutrirò neppure un istante.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.