«Bisogna cambiare le politiche universitarie e creare opportunità di lavoro anche al Sud. Solo così il fenomeno migratorio dei ragazzi del Mezzogiorno verso il Nord potrà essere arrestato o quantomeno non essere più solo a senso unico»: Gianfranco Viesti, politologo e professore di Economia all’università di Bari, commenta i dati sulla migrazione degli studenti del Meridione verso gli atenei del Nord. La Svimez ha stimato che, nel 2018, circa 158mila giovani hanno lasciato il Sud alla volta del Nord con conseguenze drammatiche sullo sviluppo economico e sociale del territorio: un calo del pil del 2,5% e una perdita importante di risorse umane tra il 2007 e il 2018.

Professore, come spiega questo fenomeno migratorio con numeri così importanti?
«Si tratta di fenomeni comulativi, nel senso che tendono spontaneamente ad accrescersi nel tempo. Il loro effetto tende ad aumentare progressivamente e quindi a privare crescentemente il Mezzogiorno di una fascia della popolazione ad alta scolarità».

Perché i giovani scelgono di andare al Nord?
«Sicuramente perché in quelle regioni c’è una possibilità più alta di trovare un’occupazione al termine degli studi, per cui si anticipa la mobilità. Non solo. Conta l’ampiezza dell’offerta formativa, la qualità reale o percepita di alcuni corsi di studia e infine conta la situazione della mobilità. In Campania la mobilità verso gli atenei della regione è ancora accettabile, in Sicilia è quasi impossibile e questo rappresenta una causa degli spostamenti verso il Nord».

Come dev’essere arginata la fuga dal Sud?
«Bisogna creare molte più occasioni di lavoro anche all’interno del Mezzogiorno. Qui, negli ultimi anni, sono non ci sono state occasioni di lavoro nel settore pubblico. Penso alla scuola o all’ambito sanitario. Questa componente ha inciso moltissimo sulla decisione dei giovani di spostarsi al Nord. Poi dovrebbero cambiare le politiche universitarie».

In che modo?
«Dovrebbero essere ridefinite perché, dal 2008 in poi, hanno creato una forte asimmetria di finanziamenti a danno delle università del Centro-Sud e del Nord periferico. Dunque sono le stesse politiche universitarie che, invece di offrire opportunità al Sud, tendono a favorire quelle del Nord. In questo modo il fenomeno della migrazione degli studenti è a senso unico, sarebbe invece opportuno creare degli spostamenti equi. La mobilità dei giovani è sempre un fattore positivo, ciò che è negativo è che le politiche pubbliche la incentivino solo in una direzione».

I giovani del Nord non si spostano verso il Sud a causa della qualità della vita?
«Principalmente per la qualità urbana e per la qualità dei servizi offerti agli studenti. Bisognerebbe intervenire sulle politiche universitarie e su quelle lavorative».

Sì, perché il problema non sta solo nel percorso universitario, ma anche nel fatto che poi i giovani restino a lavorare al Nord…
«Alcuni tornano al Sud dopo la laurea, altri invece partono dopo l’università. Ci sono ritorni e nuove uscite. In Campania, per esempio, sono più quelli che partono dopo la laurea che quelli che partono per studiare. Quindi, ripensare i servizi e creare opportunità di lavoro è fondamentale».

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Giornalista napoletana, classe 1992. Vive tra Napoli e Roma, si occupa di politica e giustizia con lo sguardo di chi crede che il garantismo sia il principio principe.