Siviglia, Hannover, Barcellona. Basterebbero questi tre esempi per capire quanto sia facile che ovunque, in Europa, l’area destinata a grandi eventi finisca nell’incuria e nell’abbandono. Lo stesso rischio che ha corso l’area da un milione di metri quadri (100 ettari) tra Milano e Rho, che nel 2015 ha ospitato Expo. Un rischio evitato, e che anzi è stato trasformato in una grande opportunità di sviluppo, in una realtà di progresso. Come? Ne abbiamo parlato con Igor De Biasio, amministratore delegato di Arexpo, società pubblico-privata nata, appunto, per gestire il “dopo”, garantendo un futuro certo a quella superficie e assicurando una riconversione e una rigenerazione urbana che spesso non sono la norma.

Dottor De Biasio, com’è nata l’esperienza di Arexpo?
Le modalità con cui viene utilizzata la superficie di un grande evento mondiale possono fare da volano a un grande sviluppo economico, oppure fungere da elemento distruttore di quell’area stessa. Dopo Expo 2015, un evento che aveva portato a Milano oltre venti milioni di visitatori da tutto il mondo, posizionando la città nel palcoscenico mondiale, il tema vero era proprio questo: come utilizzare nel post-Expo l’area-Expo. Quando Arexpo pubblicò il primo bando per vendere l’area, andò deserto: d’altra parte, nessuno spende 300 milioni per una superficie su cui non c’è certezza delle possibilità di investimento, oltretutto in mancanza di un chiaro sviluppo urbanistico e amministrativo. Mancava il classico ROI, il Return On Investment.

Quindi c’è stato anche un cambio nella filosofia e nella proposta da parte vostra?
Esatto. Da venditrice di quell’area, Arexpo si reinventa attuatore di sviluppo di rigenerazione urbana, cercando anche dei bechmark, delle buone pratiche nel mondo. L’idea su cui abbiamo puntato è stata quella di trasformare l’area in un distretto dell’innovazione, dove si faccia ricerca su campi e settori verticali nei quali il territorio è già forte – scienze della vita e tecnologia, che per Milano e la Lombardia sono i settori di punta: brevetti, start up, aziende, multinazionali presenti garantiscono dal 33% al 50% del fatturato italiano. Dunque si è scelto di porre queste due direttrici alla base del nostro percorso.

È questa la ragione per cui avete deciso di puntare anche su Human Technopole?
Proprio così. Abbiamo dato vita al Centro di ricerca su genomica e scienze della vita più importante d’Italia. Con Regione Lombardia, Comune di Milano e Università Statale si è deciso di spostare la sede dell’Università dal centro della città a MIND. Con un lavoro di sistema si è fatto sì che il Gruppo San Donato spostasse l’Ospedale Galeazzi a MIND.

Ecco, questo è un dato ulteriore di grande impatto: il lavoro fianco a fianco del pubblico e del privato.
MIND è il primo progetto italiano federale, nel senso che tutti i livelli amministrativi italiani – Comune, Provincia, Regione e Governo – sono soci di Arexpo e sono tutti coinvolti nelle procedure e orgogliosamente entusiasti. Ciò ha fatto sì che questo progetto potesse correre. A tutti i livelli, e con tutti i colori politici, si è lavorato facendo davvero sistema, per far sì che lì potessero esserci tutte queste eccellenze pubbliche, che fanno da leva per la creazione della parte privata, gestita – elemento di particolare innovazione – attraverso una partnership pubblico-privata: Arexpo ha venduto il terreno alle ancore pubbliche (la Statale, il Galeazzi, Human Technopole hanno acquistato il loro lotto di superficie). Metà dell’area, cioè 500mila metri quadri, è stata gestita con una partnership pubblico-privata. Una gara, con una concessione di 99 anni, che ha visto partecipare cinque concorrenti, con un concetto di fondo straordinario: Arexpo resta attuatore, accollandosi tutta la parte amministrativa e burocratica. Il privato pensa a sviluppare il progetto in maniera congrua, mentre la parte pubblica si fa responsabile dell’attuazione del programma.

Questo è il segreto? Sgravare il privato della parte burocratico-amministrativa?
È un elemento, ma c’è bisogno di un mix di fattori. Per realizzare un distretto dell’innovazione che funzioni devi anche avere le ancore pubbliche e devi costruire quel distretto su delle verticali industriali che rappresentino delle peculiarità territoriali. Inoltre, bisogna essere in grado di portare dei soggetti pubblici d’eccellenza, con cui i privati possono fare ricerca in “modalità filiera”. Le imprese cercano giovani talenti, e scelgono di venire in MIND anche perché possono selezionare tra ventimila studenti della Statale.

Torna prepotentemente il concetto di rete.
Torna il concetto di rete, esattamente. HT ha appena installato delle attrezzature che esistono in pochissime unità al mondo. È un valore se le usano loro, ma anche se le utilizzano le altre realtà di MIND, o addirittura tutte le realtà italiane interessate. In quel caso, sono riuscite a costruire una rete e a fare squadra.

In tutto questo, qual è il rapporto di MIND con il territorio?
Più della metà dell’area sarà dedicata a parchi verdi e blu, e c’è un’attenzione a costruire un luogo che non sia utilizzabile solo negli orari e nei giorni di lavoro, ma anche dopo e anche nel fine settimana. Diventerà un’area di cui le famiglie fruiranno. Ci saranno eventi, con un teatro, percorsi benessere. Un luogo dove settanta-ottantamila persone vivranno tutti i giorni.

Nell’anno del Covid, nessuna delle aziende si è ritirata dal progetto, ciò a testimonianza della validità di quest’ultimo. Forse l’elemento più delicato di tutto questo discorso è la replicabilità del modello. Lei ritiene sia possibile ripetere l’esperienza di MIND in giro per l’Italia?
Tutti questi fattori non sono inapplicabili. Adattandoli al contesto di riferimento, si possono replicare. Al Sud, al Centro, ma anche al Nord, ci sono delle filiere molto forti su cui poter investire. Chiaramente non c’è certezza di successo, è un progetto che richiede uno sforzo enorme da parte di tutti.

Facciamo un esempio molto semplice. Volendo realizzare un’esperienza simile a Bagnoli, quali sono i tre elementi che Igor De Biasio considera imprescindibili?
Non ho la soluzione per Bagnoli, e comunque mi è parso di capire che in questi anni si sia parlato molto e fatto poco. Per legge regionale, il mio lavoro non può andare al di fuori del perimetro della Lombardia, per cui non posso essere attore del rilancio di Bagnoli. Ma se Regione, Comune fossero interessati a capire il modello Arexpo, volentieri dedico il mio tempo per esportare questa esperienza. Di sicuro, però, bisogna puntare sulle eccellenze del territorio, attrarre ancore pubbliche e dotarsi di una piattaforma come Arexpo in grado di costruire una partnership pubblico-privata di successo. Questi sono i tre elementi imprescindibili. Il privato ha capitali ma il pubblico ha visione. L’esperienza di Apple a Napoli Est, con tutte le difficoltà di inserimento nel tessuto, dimostra comunque che il territorio è in grado di attrarre capitali da fuori.

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Esperto di social media, mi occupo da anni di costruzione di web tv e produzione di format