Parla l'ex sottosegretario agli esteri
Intervista a Ivan Scalfarotto: “Conte premier senza visione, naviga a vista”
Scalfarotto, già deputato Pd e poi di Italia Viva, è un precursore della crisi: lui dal governo si voleva dimettere il mese dopo essere stato nominato Sottosegretario agli Esteri. E la lettera di addio alla Farnesina l’ha scritta a fine febbraio scorso e l’avrebbe fatta mettere agli atti di Palazzo Chigi se Matteo Renzi non gliela avesse congelata, con l’idea di mettere alla prova l’esecutivo prima di tirare i remi in barca. Inutilmente. Immobile la Farnesina, inesitati i dossier più caldi, tacitata la diplomazia italiana nei tavoli negoziali internazionali e paralizzata la macchina delle esportazioni, la preoccupazione dell’establishment grillina è stata solo quella di imbullonarsi nella sala del trono. A Scalfarotto, Conte e Di Maio hanno riservato il trattamento di sufficienza tenuto con l’alleato riottoso: gli avevano negato le deleghe fino all’ultimo, accogliendolo alla Farnesina senza assegnargli un incarico. Mentre Conte esaltava «la squadra dei ministri migliori del mondo», dietro le quinte relegava il Sottosegretario agli Esteri ai limiti del mobbing. Il calo verticale dell’export italiano nel 2020, se si guarda oltre all’alibi del Covid, trova riscontro nella narcosi in cui gli Esteri sono precipitati. A tutto vantaggio di Russia e Cina, a far parlare i volumi d’affari.
E adesso, Scalfarotto, che succede?
Dipende dal Presidente del Consiglio. Siamo in attesa di capire cosa lui vorrà fare. In questi mesi noi di Italia Viva, ma anche il Pd, abbiamo chiesto al Governo un cambio di passo, un’accelerazione, una maggior determinazione nel risolvere i troppi dossier fermi. Conte non ha ascoltato, non ha agito, malgrado il tempo e la gravità delle cose che stanno accadendo. Diciamo che si muove un po’ al di fuori degli schemi della prevedibilità. Si sta rivelando impredictable, come dicono gli inglesi.
Conte direbbe la stessa cosa di Italia Viva.
Non siamo impredictable: diciamo da mesi e mesi la stessa cosa, invochiamo un cambio di passo, gridiamo che è tardi per reagire rispetto a una crisi economica e sociale feroce. Lui traccheggia. Naviga a vista, prende le decisioni sempre il giorno prima: si capisce che non viene dalla politica, non ha strategia, non ha visione. È il Padre provinciale dei Promessi Sposi: quello che raccomanda sempre di sopire, di aspettare. Ha sempre pronto un tavolo di esperti, una task force dedicata. Ma non ha mai una risposta, una soluzione, una scadenza certa.
Per esempio quando?
Bisognava riaprire le scuole il 7 gennaio. Se ne è discusso nella notte tra il 4 e il 5. Io sono rimasto incredulo. Un altro esempio? A marzo via libera ai licenziamenti. Siamo a metà gennaio e non c’è uno straccio di idea nel governo di come fare. Non esiste una programmazione su niente. Si segue la logica della sorpresa all’ultimo secondo, l’effetto wow che si impara quando anziché studiare politica si è fatta pratica al Grande Fratello.
Il Paese, in buona parte, non sembra aver capito queste vostre ragioni.
È stata una scelta difficile e dolorosa. Ne abbiamo parlato tanto e deciso in modo collegiale. C’è però una narrazione narcotica da rovesciare: con la pandemia bisogna imbrigliare la politica. Contenere le mosse. E’ vero il contrario, nei momenti di crisi bisogna fare più di quanto si farebbe normalmente. Però capisco che le persone abbiano oggi bisogno di certezze, di sicurezza, e che abbiano paura delle incognite. Una classe dirigente che si rispetti non approfitta della paura per rimanere immobile. Deve dare il meglio. Fin qui abbiamo visto il peggio.
Com’è stata la sua esperienza alla Farnesina?
Nessun fatto personale: alla Farnesina sono state prese delle decisioni che non erano dannose per me, erano dannose per il Paese. Io sono andato lì per occuparmi del Commercio internazionale. La scelta di questo governo è stata di dividere in tre quella delega, spacchettandola e depotenziandola in tre tronconi che l’hanno resa farraginosa: la classica decisione presa per ragioni di allocazione di potere piuttosto che per una strategia vincente sui mercati in cui dovremmo invece correre e competere.
L’Italia ha perso prestigio internazionale, ai suoi occhi?
Il Commissario Gentiloni, alla vigilia della predisposizione del Pnrr, rilascia una intervista in cui dice al governo: “Attenzione, non date per scontati questi soldi”. Significa che siamo osservati speciali perfino da lui, perfino in Europa. Il governo non ha utilizzato per il Pnrr per un piano strategico di lungo corso, si è limitato a fare una lista di progetti che non hanno una visione, provando a farli approvare nottetempo e senza discussione. Un modo di fare inaccettabile.
Se questo è il giudizio, come fa la riunione dei parlamentari IV a lasciare aperta la strada del Conte ter?
Non ne facciamo una pregiudiziale personale. Se Conte prende atto di quanto rileviamo (e che anche il Pd gli fa rilevare), assume un impegno nuovo e diverso, cambia stile e ricalibra il governo, niente è escluso. Lasciamo al presidente della Repubblica campo libero. Vogliamo essere chiari su un punto: non andremo mai in maggioranza con Borghi e Bagnai. E detta tra noi: è esclusa la possibilità di elezioni anticipate, che non ci saranno.
Un governo tecnico, istituzionale, è auspicabile e possibile?
È tutto possibile se ci si muove nell’interesse del Paese, con le regole della democrazia e nel rispetto della politica.
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