Intervista a Jean Paul Fitoussi: “Alle regionali batosta per Macron, ma non diamolo per finito”

«Quella subita dal governo in queste elezioni è stata più di una sconfitta. È stato un tracollo. Attenzione però a dare per spacciato Macron per le presidenziali del 2022: occorre fare i conti con un astensionismo senza precedenti e con l’assenza di veri leader. Per questo dico che Emmanuel Macron ha ancora una chance per restare all’Eliseo». A sostenerlo è uno dei più autorevoli intellettuali francesi: Jean Paul Fitoussi, professore emerito all`Institut d`Etudes Politiques di Parigi e alla Luiss di Roma.

È attualmente direttore di ricerca all`Observatoire francois des conjonctures economiques, istituto di ricerca economica e previsioni e membro del consiglio scientifico dell’Istituto “François Mitterrand”. Autore di numerose opere tra cui La misura sbagliata delle nostre vite. Perché il Pil non basta più per valutare benessere e progresso sociale (Etas 2010 e 2013), scritto con Joseph Stiglitz e Amartya Sen; Il teorema del lampione o come mettere fine alla sofferenza sociale (Einaudi 2013) e La neolingua dell’economia. Ovvero come dire a un malato che è in buona salute (Einaudi 2019). «Il voto – rimarca Fitoussi – dice che i giochi sono aperti, e questo è un bene per la democrazia».

Professor Fitoussi, le elezioni regionali e provinciali francesi hanno registrato la sonora sconfitta di En March di Emmanuel Macron e del Front National di Marine Le Pen. Sono loro i grandi perdenti di questa tornata elettorale?
I risultati dicono questo ma bisogna guardare le cose in prospettiva. Abitualmente le elezioni regionali non sono favorevoli al governo. Il governo le perde abitualmente. Stavolta, però, le ha perse in un modo drammatico. Quella di En March non è stata una battaglia persa. È stata una sconfitta totale, un tracollo. Il partito di Macron non ha nemmeno una regione. Ed è una sconfitta totale anche dalla parte di Marine Le Pen, visto che neanche il Front National ha conquistato una regione. Il problema che si pone è quale significato possiamo dare a questo risultato alla luce del fatto che il tasso di astensione è stato enorme, il 66%. Solamente un terzo dei francesi ha votato. Che fanno questi altri che hanno disertato le urne? Cosa pensano? Come si comporteranno nelle presidenziali?

La cosa più importante che viene fuori da queste elezioni è che non c’è la fatalità di un duello Macron/Le Pen. Si potrebbero realizzare altre ipotesi.
Tenendo presente il tasso altissimo di astensione, c’è comunque chi festeggia. È la destra neogollista. Con il 38% dei voti, Les Républicains e alleati sono la prima forza politica del Paese, e questo a un anno dal voto per l’Eliseo.
Sono la forza maggiore del Paese. Ma questa non è una novità. Perché la Francia è a destra. L’elettorato guarda a destra. Il governo di Macron fa una politica di destra. Forse la gente ne ha avuto abbastanza delle ambiguità che hanno connotato l’azione del governo e del Presidente. Se sei di destra lo devi mostrare chiaramente, coi fatti e non con alcune citazioni che solleticano una parte dell’elettorato. Questo risultato è molto interessante perché apre tante possibilità. Non è più un gioco chiuso. In politica è terribile avere un gioco chiuso, perché significa che la democrazia non funziona. La democrazia è dibattito, sono le idee nuove che fioriscono. Queste elezioni hanno dato un respiro politico. Sono emersi altri “papabili”, come Xavier Bertrand, che ha vinto nella regione di Lille. La Francia guarda in prevalenza a destra, ma in questo campo le carte si stanno rimescolando e non è più un duello Macron-Le Pen. L’offerta politica si allarga e una destra liberale, europeista può essere un argine vincente rispetto a una destra radicale e sovranista.

A proposito di respiro. Data per morta e sepolta, l’unione della gauche e degli ecologisti ha ottenuto il 34,5% delle preferenze. È un segnale di rinascita di una sinistra in Francia?
Il segnale della rinascita della destra è molto più forte. Quanto alla sinistra, è vera la cifra che lei ha rimarcato ma quel dato va letto politicamente perché pone molti problemi.

Perché?
Perché si tratta di un’alleanza tra la sinistra estrema, quella che viene chiamata la “sinistra islamista”…

Islamista?
Lei prenda gli ecologisti. Hanno proposto di destinare due milioni di euro per una moschea a Strasburgo, una moschea diretta da quelli che sono vicini ai Fratelli musulmani. È solo un esempio per dire che si tratta di una sinistra difficilmente inquadrabile in un sistema di alleanze. Poi c’è la sinistra normale, che sono i socialisti. Quella non esiste. Una parte del popolo francese è di sinistra, questo è sicuro. Una parte importante. E dunque vota a sinistra quando può. La sinistra avrebbe avuto molta più voce e seguito se avesse praticato una politica più intelligente di alleanze. Quello che si doveva fare era un’alleanza con La France Insoumise di Mélenchon, quello che hanno fatto a Parigi.

Guardando a ciò che avverrà tra un anno, cioè le elezioni presidenziali, la metto giù un po’ brutalmente: per Macron è “suonata la campana”?
No, perché c’è l’incognita che viene dall’astensione e poi non ci sono leader che hanno la sua dimensione. Macron ha ancora una chance.

A suo avviso su quali grandi temi si giocherà la partita presidenziale?
La sicurezza innanzitutto. E poi i temi sociali, perché Macron vuole continuare a fare le riforme, le sue. Prevedo che ci sarà un autunno socialmente molto caldo. Perché c’è la possibilità di mettere a fuoco la riforma delle pensioni e di riordinare, cancellandone gran parte, le indennità di disoccupazione. E questo farebbe bruciare la società.

Un autunno socialmente caldo non sembra essere solo una questione francese. Perché il malessere sociale è un tratto comune dell’Europa e dei Paesi che fanno parte dell’Ue. Allargando l’orizzonte, di cosa sente più il bisogno per una nuova stagione di crescita?
Di costruire nuovi diritti sociali, non di decostruire quelli già esistenti. Abbiamo bisogno di costruire dei diritti sociali che garantiscano un futuro di uguaglianza di genere, per gli uomini e le donne, dei diritti sociali che consentano effettivamente di fare aumentare la speranza di vita delle popolazioni, dei diritti sociali che permettano agli Stati di rivolgere maggiore attenzione all’istruzione dei loro giovani. Non è quello che sta succedendo, oggi, poiché si stanno invece riducendo i bilanci destinati all’istruzione. Abbiamo bisogno di accordare la massima attenzione alle preoccupazioni in materia di salute pubblica, cosa che, come lo abbiamo visto in numerosi paesi, è ben lungi dall’essere una realtà, al giorno d’oggi, un tempo drammaticamente segnato dalla pandemia. Lei mi chiede cosa c’è da salvare. La mia risposta è: il capitale intangibile.

Cosa è il “capitale intangibile”, professor Fitoussi?
È la democrazia. È l’adesione, da parte delle popolazioni, alla democrazia. C’è poi il capitale economico privato, quello pubblico, il capitale umano, il capitale sociale, che non misuriamo. Come pure il capitale naturale, che non misuriamo nemmeno. Qualcuno può dirmi che cosa valgono le politiche che tentano di ridurre una passività, il debito pubblico, del bilancio statale? Ebbene, la risposta è che tali politiche hanno l’effetto di indebolire la ricchezza della nazione. Lo abbiamo constatato, lo abbiamo sperimentato. Il risultato di tali politiche è stato quello di fare balzare il tasso di disoccupazione a un livello mai visto dagli anni ‘30. O perfino di avere superato il livello che avevamo raggiunto dopo gli anni 30. Ossia di ottenere una massiccia distruzione del capitale umano. Parlare di sociale rappresenta il punto di partenza per qualunque istituzione che si voglia dire vicina ai bisogni dei popoli. È proprio questo ciò di cui abbiamo bisogno: un’Europa che sia vicina alle persone più fragili, che garantisca la sopravvivenza e la protezione dei più bisognosi e questa istituzione e lo Stato sociale. Ci sono tanti settori dove c’è la necessità di investire e questo conduce all’espansione. Ma quando dico che c’è la necessità di investire, lo intendo con due obiettivi: il benessere della popolazione e la sostenibilità. Questo significa che noi lasciamo alle generazioni future una ricchezza almeno uguale a quella di cui abbiamo goduto. Se c’è stata un po’ di crescita, questa ha finito per favorire una fascia ristretta della società. E ciò ha finito per accrescere la rabbia di quanti non hanno ricevuto alcun dividendo da questa mini-crescita. Non si tratta di mettere in contrasto diritti civili e diritti sociali, ma quest’ultimi non possono essere considerati un retaggio del passato, perché a orientare le scelte restano in primo luogo le condizioni materiali per sé e i propri figli. Potrà sembrare poco poetico, ma è così. Ed è questo un discorso che vale per la Francia, come per l’Italia, la Gran Bretagna e, in prospettiva ravvicinata, anche per la Germania.