L'intervista
Intervista a Jean-Paul Fitoussi: “Dopo le rivolte negli Usa, l’Europa pronta a esplodere”
«Quello americano è un vulcano in ebollizione. E lo è perché la rivolta sempre più estesa degli afroamericani è determinata da una serie di concause che vanno oltre la brutalità atroce di atti come quello di Minneapolis. Dietro la rabbia innescata dall’uccisione di George Floyd c’è un malessere sociale crescente, diventato insopportabile, di una parte della popolazione americana, i neri, che ha pagato pesantemente, in termini di morti e di ghettizzazione, le conseguenze della folle gestione di Trump dell’emergenza Covid-19. Una gestione irresponsabile, che ha portato allo scoperto, tragicamente, ciò che ha prodotto lo smantellamento di quella che resta, con tutti i suoi limiti, la più importante e progressiva riforma della presidenza Obama: l’assistenza pubblica nel campo della sanità. Al momento della sua elezione, Trump aveva promesso che uno dei suoi primi atti presidenziali sarebbe stato la “sepoltura” dell’Obamacare. È stato di parola. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti». A sostenerlo, in questa intervista al Riformista, è uno dei più autorevoli economisti ed intellettuali europei: Jean-Paul Fitoussi, Professore emerito all’Institut d’Etudes Politiques di Parigi e alla Luiss di Roma. È attualmente direttore di ricerca all’Observatoire francois des conjonctures economiques, istituto di ricerca economica e previsione, autore di numerosi saggi, l’ultimo dei quali è Il teorema del lampione. O come mettere fine alla sofferenza sociale (Einaudi).
Professor Fitoussi, l’America è attraversata da una rivolta degli afroamericani, ma non solo, che si estende a macchia d’olio e si radicalizza. Cosa c’è dietro questa rivolta a cinque mesi dalle elezioni presidenziali?
L’estensione, la profondità, la radicalità di questa rivolta è data da una combinazione di diversi elementi. C’è un problema “nero” che attraversa da sempre la storia degli Stati Uniti d’America e che non è stato risolto con la cooptazione dell’“aristocrazia” nera nell’establishment politico. Il secondo elemento è che quelli che sono stati più colpiti dal Coronavirus, in percentuali pazzesche, sono stati proprio gli afroamericani. E sempre gli afroamericani sono i più colpiti dalla crisi economica, dalla disoccupazione che la crisi pandemica ha moltiplicato. Questo “virus” sociale non solo non è stato debellato dalla presidenza Trump, ma al contrario è stato rafforzato, reso ancor più pervasivo. Ecco perché l’America è un vulcano in ebollizione. E un atto barbaro come quello commesso a Minneapolis ha ravvivato tutte le ferite del popolo nero. Mi lasci aggiungere che Trump non è un fenomeno isolato, ma s’incardina in una crisi di leadership che non riguarda solo l’America. Il problema essenziale, la grande “Questione” irrisolta è quella delle diseguaglianze. In una situazione di crisi la gente non ha più fiducia nei Governi. I partiti e i leader populisti cavalcano questo malessere sociale, lo usano come arma da rivolgere contro gli “establishment”. In questo, Trump è figlio dei tempi. Che certo non sono dei più felici”.
La minaccia di usare l’esercito contro i “ladroni della suburra”. Farsi immortalare con una Bibbia in mano attorniato da ministri, tutti bianchi. Come si può leggere politicamente la risposta di Donald Trump alla rivolta in corso?
La risposta è, a mio avviso, molto semplice: Trump ha scelto di rappresentare l’America bianca, infischiandosene altamente di provare ad essere il presidente di tutti. Negli Stati Uniti è avvenuto un cambiamento profondo, specie nell’ultimo decennio: i neri votano democratico, i bianchi votano repubblicano. Ma se l’80% del voto dei neri era ormai considerato un dato acquisito per i Democratici, il problema semmai era convincerli a votare in massa, quello che ha segnato le ultime elezioni in particolare, è che una gran parte del voto dei bianchi si è indirizzato verso Trump. Si è trattato, come qualcuno l’ha definita, della rivolta dei “piccoli bianchi”, quelli che non sono stati favoriti dalla globalizzazione, una sorta di gilet gialli americani, quelli che vivono tra le due coste, quelli che hanno subito il processo di deindustrializzazione e di desertificazione del territorio, delle città svuotate e socialmente distrutte come Detroit. Trump si gioca ancora questa carta: i bianchi contro i neri. E lo fa radicalizzando ancor più le sue posizioni, portando ad un punto limite la sua immagine di presidente Law and Order. Trump non è una riedizione di Donald Reagan o dei Bush, padre e figlio. Semmai il suo modello è la “lady di ferro” inglese: Margaret Thatcher, ogni atto della quale era preso in funzione e a favore della “sua Inghilterra”, anche se questo voleva dire una contrapposizione durissima, quasi “militare”, con i sindacati. I Democratici americani, ma assieme a loro anche i progressisti europei, dovrebbero seriamente interrogarsi sull’aver lasciato ad un miliardario sovranista la bandiera della critica ad una globalizzazione finanziaria che, per come è stata gestita o subita, ha incrementato le disuguaglianze sociali non solo tra i Nord e i Sud del mondo, ma all’interno stesso dell’Occidente industrializzato.
In un’intervista a Il Riformista, Furio Colombo ha affermato, per l’appunto, che quella di Trump è stata la vittoria dell’America dei bianchi contro l’America nera che aveva vissuto il suo momento di riscatto con la presidenza Obama. Si dice che l’ex presidente sia oggi il vero regista della campagna di Joe Biden, che fu peraltro suo vice alla Casa Bianca. Guardando con gli occhi dell’oggi, quale giudizio si sente di dare della presidenza Obama? Obama aveva suscitato entusiasmo evocando “Change” e “Hope” e affermando che “Yes, we can”. Ha rispettato in pieno queste promesse?
No, e non per sua colpa. Semplicemente, non ha potuto. Per Obama “Change” non significava ritocchi, aggiustatine, ma costruire infrastrutture, migliorare il sistema di Welfare e questo, insisto, gli è stato impedito. E lo stesso discorso vale per “Hope”, perché Il potere di un Presidente in America non è assoluto, e Obama non ha potuto agire sul terreno cruciale: la lotta alla diseguaglianza. Se gli impediscono di riformare, e non solo “ritoccare”, il sistema di welfare, allora il cambiamento è minato. Obama ci ha provato in tutti i modi, e alcuni risultati importanti li ha ottenuti: l’“Obamacare”, permetteva agli americani di possedere le loro case nella crisi finanziaria. E a conto positivo c’è da mettere anche il piano di rilancio dell’economia Usa che ha dato importanti risultati in termini occupazionali. Questi meriti gli vanno riconosciuti, tanto più alla luce di quanto fatto da Trump.
Alla luce degli effetti che la pandemia può e già sta determinando sul piano sociale, economico, occupazionale, l’Europa può essere anch’essa un vulcano pronto a eruttare?
Direi proprio di sì. L’Europa, non dimentichiamolo, è la sola regione del mondo ad aver conosciuto la disoccupazione di massa per più di trent’anni e non ha ancora finito. A ciò va aggiunto che esiste un irrisolto problema di integrazione non solo sociale ma per molti versi soprattutto culturale, dei nuovi immigrati. E altro dato preoccupante è che l’Europa, come tale, non ha nessuna politica verso questa nuova popolazione. Si continua a chiudere gli occhi: basta vedere cosa accade in Italia e in Grecia.
Il sovranismo di Trump ha fatto proseliti in Europa. Quello di The Donald può risultare un modello vincente anche qui da noi, in Europa?
Più che emuli, gli adulatori europei di Trump assomigliano sempre più a delle macchiette. Vede, Trump può avere un sovranismo perché l’America è un grande Paese, una federazione di Stati. In Europa il sovranismo non esiste perché i Paesi “federati” nell’Unione europea non hanno sovranità. Per avere sovranità occorrerebbe costruire una vera federazione europea, gli Stati Uniti d’Europa. Per provare ad esistere come attore protagonista in un mondo globalizzato, l’Europa deve mettersi in condizione di decidere. Quello che non è più derogabile è una vera riforma strutturale non tanto e non solo sul piano economico, quanto su quello delle istituzioni e del Governo europei. Un solo esempio: una riforma strutturale significa che l’Europa non si regge più su un’unica “gamba fiscale”, la Bce, ma finalmente adotta un titolo pubblico sul debito e sugli investimenti: quel titolo sono gli Eurobond. Se non si fa questo, ricominceremo dal tempo della crisi e dal debito sovrano. È ridicolo pensare che oggi il singolo Paese europeo possa avere la sua sovranità come prima.
Professor Fitoussi, per chiudere con l’America. Tra cinque mesi si vota per decidere chi sarà il nuovo inquilino della Casa Bianca. Joe Biden può farcela? Il candidato dei Democratici ha il profilo giusto per compiere questa impresa?
Biden può battere Trump, ma non direi che sia un candidato forte. I Democratici non hanno trovato un candidato tipo Obama. Se riuscirà a spuntarla, è perché la maggioranza degli americani, una maggioranza che deve essere ben distribuita nei vari Stati vista la legge elettorale vigente, è stanca, delusa, arrabbiata verso Trump, soprattutto per come ha gestito, con incapacità e violenza, la crisi pandemica.
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