«L’unico vero realista è il visionario» è forse la frase più emblematica di Federico Fellini, che riassume pienamente la sua poetica e la sua verve immaginativa. Celebri nella storia del cinema gli onirici affreschi felliniani, difficilmente discernibili dalla realtà: l’apparizione in mare, nell’aura notturna, del transatlantico Rex in Amarcord o i sogni lucidi di Guido Anselmi in 8½, connotati cromaticamente nell’originale con quel viraggio verso il color seppia o addirittura l’azzurro, di romantica memoria del Fiore di Novalis, prima che l’ultimo restauro tradisse le intenzioni di Fellini, sostituendolo con un classico contrastato bianco e nero. Sogni e incubi delle notti del regista, trascritti e abbozzati fino all’agosto del 1990 nel suo diario personale, come già faceva Adorno, divenuto poi un capolavoro editoriale per Rizzoli, Il Libro dei sogni, composto per sua stessa ammissione da “segnacci, appunti affrettati e sgrammaticati”, che restituiscono tutta la complessità di un sistema estetico.

In onore del centenario dalla nascita del cineasta riminese, il realismo visionario è anche il tema portante preso in prestito dal primo festival italiano dell’era post-Coronavirus con pubblico e ospiti dal vivo, organizzato dalla direttrice di Popsophia, Lucrezia Ercoli, e previsto per quattro giorni in Piazza del Popolo a Pesaro, fino a domenica 5 luglio. La kermesse, che ospiterà un parterre di filosofi, divulgatori, intellettuali accompagnati da performance musicali e teatrali, declinerà tutto lo spettro dell’immaginazione, dalla metamorfosi alle avanguardie del futuro artistico. Tra gli appuntamenti più attesi, il filosofo Simone Regazzoni, allievo di Jacques Derrida, che risponde alla domanda: “Che cosa hanno in comune il mago e il filosofo?”, il neo-vincitore del Premio Strega 2020 Sandro Veronesi, la Morgana Michela Murgia sul tema delle “donne visionarie” e l’intervento della vicedirettrice de Il Riformista, Angela Azzaro, sulle identità metamorfiche della comunità LGBTQ+. «L’insegnamento che può darci Fellini oggi è quest’idea che nella finzione ci sia una verità più vera del vero, che la narrazione sia più reale della realtà, sciogliendosi da quell’idea superata di autentico del cinema-verità», così Lucrezia Ercoli ha raccontato il fulcro del progetto popfilosofico, al centro dell’interesse culturale e mediatico di questi giorni, sulle pagine de Il Riformista.

Lucrezia Ercoli, ci racconta com’è nata l’idea del Festival del Contemporaneo, riconosciuto dalla Camera dei Deputati e dal Senato per la “qualità del programma culturale della manifestazione”?
Il progetto del Festival nasce proprio in seno alla parola “popsophia”. Tutto parte da un neologismo necessario, un ossimoro che ancora oggi molti considerano in contrasto, ovvero il sodalizio tra una cultura pop, quotidiana, e la filosofia come pensiero critico e disciplina accademica. È da questa ibridazione che è nato un vero e proprio genere filosofico, con tanti punti di paragone a livello internazionale, e che negli anni ha costruito una comunità di giovani pensatori e pensatrici. Quest’idea diffusa che la filosofia sia un linguaggio specialistico per pochi adepti in realtà tradisce l’origine stessa della filosofia, ossia un ambito che “è per tutti e per nessuno”, direbbe Nietzsche. Lo scopo era quello di uscire dal filosofese, da quei tecnicismi che impediscono il fluire dei pensieri, rendendo la filosofia una mera caricatura di se stessa, incapace di interagire con il contemporaneo.

Come intende Popsophia il “realismo visionario” nell’attuale clima di emergenza sanitaria e social distancing?
Anche il tema di quest’anno è un ossimoro. Abbiamo sempre scelto la contraddizione, convinti che solo nell’opposizione possa nascere il pensiero critico. Il realismo visionario è uno specchio del tempo che stiamo vivendo, una sorta di prigione claustrofobica, in cui tutto è stato schiacciato dall’emergenza, mentre per costruire il futuro c’è bisogno di una prospettiva, una visione che vada oltre la tirannia della realtà. Come ho raccontato con “Gli appunti della catastrofe”, proprio su Il Riformista, l’emergenza può essere molto pericolosa perché può dar vita a una realtà distopica, dove tutte le libertà vengono cancellate e schiacciate in un clima da stato di eccezione perenne. Ritornare in piazza vuol dire respirare l’ossigeno delle idee, e in questi mesi, in cui abbiamo sempre parlato della salute del corpo, abbiamo trascurato la salute dello spirito, ugualmente necessaria.

Sfogliando il programma di quest’anno, la prima impressione è quella di trovarsi di fronte a un festival inclusivo, per ampiezza di temi, media ed eterogeneità degli ospiti…
Noi siamo convinti che chi sa solo di filosofia, non sa niente di filosofia. Inutile pensare che ci si debba confrontare solo all’interno del proprio ambito, senza “sporcarsi”, “contaminarsi” con il linguaggio della letteratura, dell’arte e dei social, per mettere in contatto anche generazioni di intellettuali diverse. Le idee fruiscono di diversità, si ibridano e si moltiplicano in contesti eterogenei. Questa è l’idea alla base del realismo visionario: la realtà non può bastarci, dobbiamo esistere in più mondi, in più linguaggi, più generi, per uscire da gabbie ghettizzanti in cui la filosofia spesso si è rinchiusa. In realtà, essa ha sempre interagito con la musica, la poesia e l’arte, ma poi forse se n’è dimenticata…

Federico Fellini, al quale è dedicato il Festival, è stato spesso definito “il demiurgo della sospensione del sogno”. In aggiunta, la patina freudiana dei suoi film riflette malinconicamente sulle inquietudini dell’uomo contemporaneo in crisi. Crede che Fellini abbia contribuito a dare un nuovo corso alla filosofia contemporanea?
Fellini è difficilmente incasellabile all’interno di una corrente o di una definizione. Ha rotto qualunque argine di definibilità con un mix di sogno, realtà e immaginario. La forza del suo realismo visionario è stata quella di sganciarsi dal falso realismo, dimostrando che la realtà è fatta anche di percezioni, ricordi, di fantasie, nostalgie e di stereotipi quasi caricaturali. L’insegnamento che può darci Fellini oggi è quest’idea che nella finzione ci sia una verità più vera del vero, che la narrazione sia più reale della realtà, sciogliendosi da quell’idea, ormai superata, di autentico del cinema-verità. Io credo che 8½ sia un’opera di autentica filosofia, che restituisce una riflessione drammaticamente nichilista, lasciandoci con una sorta di magia. Volevamo uscire dallo stereotipo del “felliniano”, come qualcosa di caricaturale, disimpegnato, fumettistico o da quella dolce vita legata all’edonismo, per sottolinearne una profondità culturale e filosofica, che chiamerei “una profondità della leggerezza”.

Ricordiamo inoltre che non mancherà un ricordo a Giulio Giorello, uno dei filosofi più significativi del mondo contemporaneo, scomparso il mese scorso…
Ci tenevamo a dedicare il festival a Giorello, ospite di Popsophia fin dalla prima edizione, che credo rappresenti l’archetipo del filosofo libero, aperto, inclusivo. Coltissimo filosofo della scienza, ma anche appassionato di letteratura, poesia, cinema, fumetto, era capace di intravedere il mondo in un dettaglio apparentemente superficiale, era un amante della libertà, del pensiero e della vita.