Se i pacifisti fossero saliti al Quirinale per essere consultati dal Presidente Mattarella sulla crisi di governo, della delegazione avrebbe di sicuro fatto parte Mao Valpiana. Per la sua storia, per le battaglie condotte nel tempo. Presidente del Movimento non violento, membro dell’Esecutivo di Rete Italiana Pace e Disarmo, Valpiana è anche direttore della rivista Azione non violenta, fondata nel 1964 da Aldo Capitini. In una lettera aperta a Gad Lerner, Luigi Manconi, Adriano Sofri ed Emma Bonino, sostenitori dell’invio di armi all’Ucraina, Valpiana ha affermato che “Tra l’arruolarsi per la guerra o predicare la resa, c’è la terza via della nonviolenza attiva”. Una pratica che ha caratterizzato la sua vita. E che Valpiana rilancia nell’intervista. Guardando alla mobilitazione pacifista del 23 luglio.

Se i pacifisti fossero saliti al Quirinale per essere consultati dal Presidente Mattarella sulla crisi di governo, che avrebbero detto al Capo dello Stato?
Be’, intanto l’avremmo ringraziato, essendo la nostra prima volta al Colle per una consultazione, come invece avviene per i partiti e le parti sociali, nonostante il movimento pacifista rappresenti gran parte dell’opinione pubblica italiana e abbia sempre cercato l’interlocuzione con la politica e le istituzioni. Poi avremmo iniziato il dialogo partendo da due punti fermi della nostra Costituzione, senza tenere fede ai quali non è possibile risolvere nessuna delle crisi in cui siamo precipitati: politica, sociale, economica, ecologica, persino culturale (e qualcuno dice anche antropologica). Il primo punto è il ripudio della guerra, sancito dall’articolo 11 della Carta. Il governo ha il dovere di essere conseguente e non può avallare nessuna politica che giustifichi la guerra “come risoluzione delle controversie internazionali”, dunque nemmeno le guerre degli altri. Il ruolo dell’Italia previsto dai Costituenti dev’essere quello di una “potenza di pace”, quindi tutti gli sforzi (e i conseguenti finanziamenti) vanno indirizzati a sostenere gli organismi internazionali (a partire dall’Onu) preposti a rapporti pacifici tra le nazioni. Questo non è un “mondo dei sogni”, ma dovrebbe essere il timone del governo del nostro Paese. Il secondo punto fermo è scritto nell’articolo 52 della Carta, “la difesa è un sacro dovere”. Non dice “difesa armata”, ma parla solo di “difesa” che viene affidata ai cittadini, e non ai militari. Dunque la domanda legittima da porre al Capo dello Stato sarebbe: quali sono i pericoli reali dai quali dobbiamo difenderci? E con quali mezzi? Quale politica deve attuare il governo per difenderci dalla emergenza climatica, dalla recessione, dalla disoccupazione, dalla fragilità ambientale? I veri nemici oggi sono la povertà crescente e le emissioni di gas serra: questi nemici si battono con politiche economiche ed energetiche lungimiranti, non con le nuove produzioni dell’industria bellica.

Per essersi opposti all’invio di armi all’Ucraina, i pacifisti sono stati accusati di essere al servizio di Putin. La stessa accusa che Di Maio ha rivolto a Conte. Come la mettiamo?
La mettiamo che anche su questo punto il movimento per la pace italiano ha le carte in regola. Altri, arrivati all’ultimo momento a ricostruirsi una verginità, forse molto meno. Noi abbiamo sempre denunciato e condannato il fatto che l’Italia e l’Europa vendessero armi sia alla Ucraina che alla Russia. L’abbiamo fatto nei decenni, non da oggi; ci sono i nostri dossier e le campagne a testimoniarlo. Lo facevamo anche quando il nostro paese vendeva blindati Iveco alla Russia di Putin, nonostante l’embargo e le sanzioni in vigore dopo la guerra del Donbass del 2014. Altri, che oggi fanno finta di essere pacifisti, con la Russia ci facevano gli affari. Noi siamo pacifisti, ma non utopisti. Anzi, il nostro pacifismo è molto concreto e pragmatico; ci opponiamo all’invio di armi perché riteniamo che altri e più efficaci dovrebbero essere gli aiuti e la solidarietà verso una popolazione attaccata e invasa, ma anche perché lo dice anche la Legge 185/90 che prevede il divieto di esportazione verso i Paesi in stato di conflitto armato, tant’è che il Consiglio dei Ministri ha dovuto applicare una deroga per la cessione delle armi all’Ucraina. L’iper realismo dell’attuale Ministro degli Esteri, divenuto estremista dell’atlantismo, lo ha portato a barattare la solidarietà verso l’Ucraina con il tradimento del popolo Curdo sacrificato in cambio dell’unità della Nato. Questo realismo io lo chiamo cinismo.

Le spese militari hanno battuto ogni record con il governo Draghi che ha alla guida del ministero della Difesa un esponente, Lorenzo Guerini, del Partito Democratico…
In tema di spese militari, ormai ogni governo polverizza il record precedente. Quest’anno il Bilancio del Ministero della Difesa sfiorerà i 26 miliardi di euro, cioè un +5,4% rispetto al 2021. Al di là del colore dei vari governi, l’Italia non ha avuto una contrazione delle spese militari negli ultimi anni ma anzi abbiamo visto una crescita molto rilevante legata soprattutto all’acquisto di nuovi armamenti, cioè spendiamo tanto per comprare nuovi cacciabombardieri, nuove navi, nuovi carri armati. E così torniamo a quanto dicevo prima: sono questi gli strumenti che come popolo ci fanno sentire più sicuri? È più utile avere in garage un F35 a capacità nucleare, o un Canadair per spegnere gli incendi in Sardegna? Su questo tema penso che il Partito Democratico viva una certa schizofrenia … da una parte c’è chi come Rosy Bindi dice: “Inaccettabile aumentare la spesa militare, la pace non si fa con le armi; bisogna ripensare la funzione della Nato”, mentre dall’altra il Ministro Guerini dice che “l’aumento delle spese militari è un impegno da rispettare perché l’Italia deve dimostrarsi affidabile nei confronti dei suoi alleati della Nato”; sono due visioni antitetiche, e su questo il PD non è ancora riuscito a fare sintesi.

I pacifisti insistono molto sul principio della “neutralità attiva”. L’accusa è che in questo modo mettete sullo stesso piano l’aggressore – la Russia – e l’aggredito -l’Ucraina.
Chi dice questo è in malafede. Non c’è bisogno di scomodare Gandhi per saper distinguere la violenza di oppressione dalla violenza degli oppressi, la violenza di chi attacca dalla violenza di chi si difende. Tuttavia, se la nonviolenza condanna e combatte la violenza del carnefice (la Russia di Putin), essa però viene a rimettere in questione anche la violenza della vittima (l’Ucraina di Zelensky). Solidarizzare con le vittime non obbliga ad assumere il loro punto di vista, ma significa anche aiutarle a liberarsi dalla loro violenza. Condannare l’aggressione e sostenere le giuste ragioni della nazione invasa non richiede automaticamente che si debba inviare armi o intervenire militarmente in quel contesto. Se così fosse, si dovrebbe fornire armi a tutti i popoli che lottano per la propria sovranità come il popolo palestinese o quello curdo. Non viene fatto perché inviare armi configura sempre una situazione di belligeranza e une escalation del conflitto. L’Ucraina ha deciso di intraprendere la via della difesa armata mobilitando tutti i cittadini maschi dai 18 ai 60 anni e, tra l’altro, imprigionando gli obiettori di coscienza. Crediamo che non sia questa la via da seguire, anche perché i risultati sul piano militare non si vedono … Occorre invece un salto di qualità che può essere fatto solo mettendo in atto la ratio della lotta nonviolenta che è quella di “fare per primi il primo passo”. In concreto ciò significa promuovere la de-escalation militare, ritirare tutte le bombe nucleari presenti nel territorio europeo smantellando la “nuclear sharing” e indire una Conferenza internazionale sotto l’egida delle Nazioni Unite. La “neutralità attiva” – che non è equidistanza – è ancorata al diritto internazionale con un effettivo impegno per la neutralità dell’Ucraina come parte del processo di distensione regionale e attivando un dialogo diretto tra le istituzioni europee, a partire dal Consiglio d’Europa, e la Federazione Russa, in una logica di sicurezza condivisa, di cooperazione e di promozione dei diritti umani e della democrazia

Sabato prossimo i pacifisti saranno in tante piazze italiane. Con quali propositi?
Sono decine e decine le città che hanno aderito alla mobilitazione di Europe for Peace del 23 luglio, a 150 giorni dall’inizio della guerra: una mobilitazione nazionale per far tacere le armi e per aprire un serio negoziato che porti ad una conferenza internazionale di pace. Noi ci impegniamo a lavorare insieme per un’Europa di pace, con l’obiettivo di costruire una proposta di cosa deve essere e cosa deve fare l’Europa di pace, attraverso il lavoro comune di una grande alleanza della società civile europea, che si riconosce in questi cinque punti: la condanna dell’aggressione della Federazione Russa all’Ucraina e la difesa della sua indipendenza e sovranità, nonché la piena affermazione dei diritti umani delle minoranze e di tutti i gruppi linguistici presenti in Ucraina; la solidarietà con la popolazione ucraina, con i pacifisti russi che si oppongono alla guerra e con gli obiettori di coscienza di entrambe le parti; il rilancio della richiesta del cessate il fuoco per l’avvio di un immediato negoziato in cui sia protagonista l’organizzazione delle Nazioni Unite; l’impegno per la de-escalation militare in quanto leva fondamentale per l’iniziativa diplomatica e politica; la costruzione di un sistema di sicurezza condivisa in Europa, dall’Atlantico agli Urali, fondato sulla cooperazione e il disarmo per un futuro comune.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.