Il trattato del Quirinale
Intervista a Marcelle Padovani: “Draghi ottimo politico, sul semipresidenzialismo sto con Giorgetti”
I destini politici di Mario Draghi ed Emmanuel Macron alla luce del “Trattato del Quirinale”. E ancora: le presidenziali francesi e la corsa al Quirinale. Temi caldi. Il Riformista ne discute con una delle più autorevoli giornaliste e saggiste francesi: Marcelle Padovani, storica corrispondente in Italia del Nouvel Observateur. Quanto alla Giustizia, tematica di cui Padovani è grande esperta, il suo punto di vista è molto netto: la separazione delle carriere tra giudici e pm, esistente in Francia, dovrebbe essere seguita anche in Italia, così come lo scioglimento dell’Associazione nazionale magistrati, segnata, rimarca Padovani, da una “devastante guerra fratricida”.
Tra i suoi libri, ce n’è uno, in particolare, che ha segnato un’epoca. Cose di Cosa nostra (1991) nel quale Padovani raccoglie delle interviste fatte a Giovanni Falcone. «Non avrebbe voluto diventare un eroe, Giovanni Falcone. “Vale la pena”, gli avevo chiesto durante un’intervista televisiva del gennaio 1988, “vale la pena di rischiare la propria vita per questo stato?” E lui rispose, un po’ sconcertato: “Che io sappia, c’è soltanto questo Stato, o più precisamente questa società di cui lo Stato è l’espressione”. Non eroe per vocazione, ma servitore dello stato: questo era il giudice Falcone». Una lezione di straordinaria attualità.
Che valore ha il “Trattato del Quirinale” per i suoi due firmatari, Mario Draghi ed Emmanuel Macron?
Quello che vale è l’Europa. Perché dietro il “Trattato del Quirinale” c’è l’Europa. Stanno costruendo un’alternativa credibile all’attuale dirigenza europea. E la stanno preparando loro due, Draghi e Macron. Questo Trattato è un’occasione per manifestare delle convergenze indispensabili per riequilibrare l’ordine politico ed economico del continente europeo. È questa la cosa importante che c’è dietro. E poi, certamente, ci sono le ambizioni personali. Sono i due leader possibili della prossima Europa che, stando a un recente sondaggio, la maggioranza dei francesi vorrebbe fosse retta da un presidente della Commissione scelto con una elezione diretta.
A proposito di presidenti ed elezioni. Il 2022 è l’anno delle elezioni presidenziali in Francia. Stando ai sondaggi, Macron non se la passa bene. Il suo destino politico è già segnato?
È possibile e secondo me sperabile, che venga rieletto. Come lei sa, il sistema francese è a doppio turno. Al secondo turno rimangono due candidati. Allo stato attuale delle cose, l’estrema destra capitalizza, nel suo insieme, il 25-30 per cento. La tragedia potrebbe essere che Macron non arrivi al ballottaggio. Questa potrebbe essere la grande incognita. Detto questo, sono convinta che non sarà così e che al secondo turno ci sarà Macron verosimilmente contro la Le Pen. A quel punto vincerebbe Macron, per fortuna aggiungo io.
In questa chiave, per restare ancora sulle elezioni presidenziali francesi, come valuta la candidatura della sindaca di Parigi, la socialista Anne Hidalgo?
Una scelta sbagliata, sbagliatissima. Anché perché sta facendo una campagna misera, si presenta dappertutto con le problematiche di una sindaca candidata a gestire un paese. Parla di Parigi, dei problemi del traffico, dell’inquinamento, cose simpatiche, ma non adeguate per una che si candida a gestire il destino di un paese. Questo rispetto all’opinione pubblica. Ma è marginale anche rispetto ai partiti di sinistra. Il Partito socialista, che naviga tra il 6 e l’8 per cento, faceva fatica a trovare un candidato. Lei si è imposta, si è presentata è ha detto sono candidata. A questo punto hanno dovuto allinearsi, anche se il segretario del partito, Olivier Faure, era molto reticente. E poi in Francia c’è una cosa che non si trova in Italia…
Vale a dire?
Una estrema sinistra forte, quella di Jean Luc Melanchon, che si attesta attorno al 10-12, a volte si dice al 15 per cento. Queste sono delle componenti che qui in Italia non esistono, cioè un partito socialista al 6-7 per cento, un partito comunista al 3 per cento e una estrema sinistra sopra al 10. Questo combinato disposto rende aleatoria la candidatura di Anne Hidalgo.
Dalla Francia all’Italia. Dall’Eliseo al Quirinale. Nei primi mesi del 2022 si elegge il nuovo Capo dello Stato. C’è chi vorrebbe subito Mario Draghi sul Colle più alto e chi, invece, punta alla sua permanenza a palazzo Chigi fino alla scadenza naturale della legislatura, nel 2023. Lei che ha seguito diverse elezioni del presidente in Italia, che idea ha in proposito?
L’ideale è che facesse tutte e due le cose. Ma non è possibile. A questo punto, io al limite, anche se non è costituzionalmente corretto, mi allineerei su Giorgetti…
Cioè?
Cioè la proposta di un semi presidenzialismo de facto, con Draghi al Colle e l’attuale ministro dell’Economia, Franco, come Primo ministro, diretto da Draghi al Quirinale, che dà gli indirizzi più importanti e lo fa da presidente della Repubblica. Draghi ha dimostrato agli occhi di tutti, della comunità internazionale e non solo dell’opinione pubblica italiana, capacità decisionali e politiche altissime. Io sinceramente non me l’aspettavo. Soprattutto l’aspetto politico di Draghi, è molto preparato anche da quel punto di vista. Non è il politico tradizionale, ma ha un comportamento politico di alto livello.
Questo significa però che l’Italia riveda i suoi equilibri istituzionali, avvicinandosi un po’ alla Francia.
Sì, da questo punto di vista non sarebbe male. Del resto, la civiltà che stiamo vivendo adesso, è una civiltà dove tutto tende a semplificarsi e dove le scelte ideologiche si sfumano sempre di più. E si giudicano i gruppi dirigenti, lo si vede bene a livello locale e regionale, sulle capacità a gestire le cose. In questa ottica, un semi presidenzialismo non sarebbe male.
Un’altra cosa che accomuna la Francia e l’Italia, è la piazza ribelle: i gilet gialli in Francia, i No vax in Italia. Che impressione ha di questi due fenomeni?
Qui è necessaria un po’ di storia. I gilet gialli sono nati come risposta alla decisione dell’esecutivo francese di diminuire la velocità massima su alcune strade e di aumentare il prezzo della benzina. Questo era il tema di partenza. Che non ha più avuto niente a che vedere con le manifestazioni. Quando manifestavano, non c’era nessuno che avesse issato un cartello dove c’era scritto ridateci i 90 km orari e abbassate il prezzo della benzina. Era una rivolta anti establishment, anti politica e basta. Era il vecchio spirito strangolatore della jacqueire. Un qualcosa che è rimasto nella mentalità francese. Ce l’hanno con Macron. I No vax in Francia non sono contro il vaccino, sono contro Macron. I No vax che si sono identificati con i gilet gialli. Costoro rappresentano una fetta molto sottile dell’opinione francese, sottile quanto rigida, agguerrita, incattivita.
In Italia, nelle ultime elezioni politiche del 2018, questa onda montante dell’antipolitica fu intercettata dal Movimento 5 Stelle. Tre anni e passa dopo, i 5Stelle sono in caduta libera. Come se lo spiega?
In un certo senso il populismo, che è nato per primo in Italia, è stato sconfitto in Italia. E questo riguarda sia i 5Stelle che la Lega di Salvini. Il populismo politico è stato sconfitto, rimane però quest’area anti establishment e anti politica che cerca sempre una sponda. E che adesso in Italia è sui No vax.
Per restare sempre su questo parallelismo Francia-Italia. Ultimamente in Francia sembra che magistratura e politica si siano di nuovo scontrati. Una storia che in Italia lei ha raccontato, in articoli, inchieste e libri di successo, per tanti anni. Che c’è dietro questo conflitto ma anche commistione tra i due poteri?
In Francia il sistema giudiziario è diverso da quello italiano. C’è la separazione delle carriere, cosa decisiva, con il pm che risponde all’esecutivo e non a un organismo giudiziario. Questo cambia tutto. Quello che resta irrisolto è il rapporto del magistrato non soltanto con la politica ma con l’opinione pubblica, in Francia come in Italia. Una problematica che sta dentro e lede l’efficienza della magistratura, che ha che fare con la lentezza dei processi, la scelta l’apparentemente ingiustificata a volte di confermare un rinvio a giudizio e altre di archiviare. L’opinione pubblica vorrebbe essere più partecipe, e questo vale in Francia ma credo anche in Italia. In Italia in più c’è questa guerra fratricida all’interno dell’Associazione nazionale magistrati, che andrebbe sciolta.
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