«Ma come si permette un magistrato della Repubblica di attaccare il ministro della Giustizia in diretta televisiva?». Mario Mori, generale dei carabinieri in pensione, ex comandante del Ros e direttore del Sisde, da qualche decennio è imputato in servizio permanente effettivo presso la Procura di Palermo. Tre i processi aperti contro di lui dai magistrati siciliani. Nel primo l’accusa era di favoreggiamento a Cosa nostra per la mancata perquisizione del covo di Totò Riina. Con Mori era imputato il colonnello Sergio Di Caprio, alias il capitano Ultimo. Il processo si è concluso con l’assoluzione per entrambi. Nel secondo l’accusa era di aver favorito la latitanza di Bernardo Provenzano. Coimputati erano il colonnello Mauro Obinu e il generale Giampaolo Ganzer, successore di Mori al Ros. Di Matteo, che rappresentava la pubblica accusa, aveva chiesto una condanna a nove anni di carcere. L’impianto dell’accusa si basava essenzialmente sulla testimonianza, dimostratasi inattendibile, di Massimo Ciancimino. Assoluzione per tutti, sia in Tribunale che in Corte di Appello. Infine c’è il processo Trattativa Stato-mafia. Nel dibattimento, all’inizio condotto dall’allora procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia, l’accusa è stata rappresentata nuovamente da Di Matteo. Ad aprile del 2018 la sentenza di primo grado con la condanna a dodici anni di carcere. L’appello è in corso.

Generale, lei è critico con Di Matteo per via dei suoi processi?
Guardi, le mie vicende processuali esulano dal giudizio sulle parole pronunciate di Di Matteo che, voglio ricordarlo, ha di fatto accusato il ministro di non averlo nominato al vertice del Dap a causa del “condizionamento” dei boss al 41 bis.

Una nuova “trattativa”?
Quello che è accaduto l’altra sera in tv è semplicemente aberrante. Io che ho qualche anno sulle spalle non ho memoria di un magistrato che si rivolge a un ministro con quei modi. È mancato totalmente il senso delle istituzioni.

Lei però adesso esprime giudizi molto duri.
Io parlo ora che sono in pensione. Quando ero in servizio non mi sono mai permesso di criticare i miei comandanti o l’autorità politica.

Il colonnello Di Caprio, suo stretto collaboratore, ha “difeso” Di Matteo stigmatizzando chi ha ostacolato la sua attività di magistrato.
Adesso è in pensione anche lui.

Di Caprio esprimeva giudizi critici anche quando era in servizio…
E ha sbagliato. Se vuoi criticare i tuoi superiori o chiunque altro, ti togli la divisa. Non puoi venire meno al giuramento di fedeltà prestato alle istituzioni.

Crede che ci sia una sorta di “sudditanza psicologica” nei confronti del dott. Di Matteo?
Io non ho mai creduto alla sudditanza psicologica. Penso invece che molti abbiano una grande coda di paglia. Soprattutto la classe politica.

Sono terrorizzati?
È impossibile esprimere una critica nei confronti di un magistrato in questo Paese. Tutti hanno paura. Adesso se mi espongo chissà cosa succederà, si domandano.

Il centrodestra ha messo nel mirino il ministro della Giustizia chiedendone le dimissioni.
E sta sbagliando. Perché attaccare Bonafede è come sparare sulla Croce rossa. È Di Matteo a dover essere criticato. L’unico che ha preso posizione sulla vicenda è stato Armando Spataro, un magistrato in pensione.

Non è proprio possibile fare nulla?
Siamo indifesi. L’ultimo pm della Procura di Guastalla ha un potere immenso. Può mettere sotto indagine il presidente del Consiglio. Anzi, pure il Papa. Chi ha il coraggio di dire qualcosa?