Il referendum del 12 giugno
Intervista a Massimiliano Smeriglio: “Il populismo giudiziario è colpa anche della sinistra”
“Sì” convinti. Di sinistra. Perché il cambiamento passa anche da una giustizia più giusta. E i referendum del 12 giugno possono servire a questo. La parola a Massimiliano Smeriglio, europarlamentare del Partito democratico, già Vice presidente della Regione Lazio. Dallo scorso febbraio, Smeriglio è coordinatore della Commissione per la cultura e l’istruzione del Parlamento europeo.
Mancanza di coraggio, subalternità a quel “giustizialismo” che ha marcato il terreno a sinistra. Perché i referendum sulla giustizia non hanno “udienza” a sinistra e nel Pd?
Per ragioni storiche, negli ultimi decenni la magistratura ha svolto funzioni decisive e spesso di supplenza almeno in tre tornanti difficili della storia repubblicana: le leggi emergenziali contro la lotta armata di fine anni settanta, la eroica lotta alla mafia e la gestione di tangentopoli. Soprattutto con tangentopoli la fragilità della politica ha determinato un disequilibrio tra i poteri dello Stato. La sinistra ha surfato sulla crisi del 93 sperando di averne un ritorno, andare al governo lisciando il pelo al giustizialismo. Non è andata benissimo. Sarebbe stato opportuno ragionare sulla fine del dopoguerra e sul keynesismo a connotazione clientelare della seconda parte degli anni ottanta che ha caratterizzato La fine prima repubblica. La caduta del muro ha autorizzato il disarcionamento di un sistema di tenuta democratica vetusto e costoso. Ma che di contro aveva garantito un buon compromesso tra capitale e lavoro. Di questo purtroppo non si è mai discusso e la politica ha assistito inerme e con qualche complicità alla propria dissoluzione. Al netto delle responsabilità giudiziarie il discorso politico più coraggioso lo fece Craxi in parlamento. Leader che mi è capitato di combattere nelle piazze ad esempio per la scala mobile. Qui si è inverata una forma di populismo giudiziario che ha segnato profondamente questa fase storica del Paese. La seconda repubblica non è mai nata e la polarità Berlusconismo e antiberlusconismo ha fatto il resto. Per responsabilità della destra ma anche nostra. E per incapacità della politica di auto rigenerarsi. E dopo il fallimento del “sogno” berlusconiano, arricchitevi se potete, è arrivato l’incubo populista giustizialista. Che alludeva di nuovo a processi sommari di piazza e alla politica come capro espiatorio. I cittadini contro il sistema. I risultati sono davanti ai nostri occhi, un Paese bloccato impedito nell’alternativa di governo e che ora rischia di non vedere neanche l’alternanza formale delle forze in campo. Con il dominio della tecnica e l’unità nazionale. La politica a pigliare legnate, a volte meritate, la magistratura impegnata a darle e le élite economiche e tecnocratiche fuori dei radar dell’una e dell’altra. In fondo una politica debole con poca credibilità, ricattabile, fa comodo a tanti. Partiti personali, consenso volatile, salvatori della patria che si gonfiano e sgonfiano come palloncini, scarsa visione e idealità. E spesso reati contro la pubblica amministrazione. La politica è in difficoltà in tutta Europa ma come in Italia da nessuna altra parte. Per ridarle forza serve autonomia e servono partiti veri, capaci di stabilizzare il sistema della rappresentanza. Serve anche una riflessione su come si forma una classe dirigente impegnata a salvaguardare la cosa pubblica. Ma molti opinion leader, le élite vere, non sembrano interessati a questo obiettivo. Il primo passo verso il rilancio del sistema politico passa per il ripristino della giusta simmetria tra i diversi poteri dello Stato.
Quali sono le ragioni più pregnanti che l’hanno portata a dire “sì” ai quesiti referendari?
Credo nello Stato di diritto, chi sbaglia paga il suo pegno e lo Stato ha il dovere di tentare la riabilitazione della persona. La punizione e l’extra pena della carcerazione preventiva hanno poco a che fare con lo Stato di diritto. La separazione delle carriere ha a che vedere invece con l’equilibrio tra accusa e difesa che a volte non è garantita. La Severino distrugge vite e carriere a prescindere dall’esito finale del processo che nel nostro ordinamento arriva dopo il terzo grado di giudizio. Inoltre nella stragrande maggioranza dei casi in cui la legge è stata applicata contro sindaci e amministratori locali, il pubblico ufficiale è stato sospeso, costretto alle dimissioni, o comunque danneggiato, e poi è stato assolto perché risultato innocente.
C’è chi sostiene, in modo più o meno tranchant, che la giustizia sia materia troppo seria e complessa per essere sottratta a coloro che la esercitano e l’amministrano.
È vero, vale anche per tante altre materie. Il luogo preposto per fare scelte ponderate però rimane il parlamento non altri luoghi. E il referendum non nega affatto questa prerogativa, semmai spinge il legislatore a prendere atto di situazione di palese mal funzionamento della giustizia.
Da sempre uno dei temi più caldi e divisivi riguardala riforma del Csm e, soprattutto, la separazione delle funzioni dei magistrati. L’Anm accusa i sostenitori del sì di “attentare” all’autonomia e all’indipendenza del potere giudiziario. Come ci si sente nei panni dell’attentatore?
Sulla riforma del Csm mantengo delle perplessità ma da noi funziona così, tutti siamo sottoposti alla legge, magistrati compresi. Non c’è alcun attentato se si percorrono le strade che i padri costituenti ci hanno affidato, il parlamento e anche i referendum abrogativi.
Si dice: per avere un’idea sulla civiltà di un Paese, uno dei luoghi da visitare è il carcere. L’Italia come è messa?
Al di là della buona volontà degli operatori carcerari, di alcuni straordinari direttori, anzi spesso direttrici, dei volontari il carcere somiglia ad una discarica, dove spesso finiscono poveri cristi con capacità difensive limitate, dove la recidiva galoppa, dove si muore e dove si fanno rivolte per la dipendenza da uno psicofarmaco sedante come nell’ultimo episodio del carcere di Cremona. Il carcere fa male e non riabilita quasi nessuno. È spesso un luogo extraterritoriale dove vigono altre regole. L’impressione è che interessi davvero a pochi. Ci siamo abituati a essere feroci con chi sbaglia e con chi finisce in galera. In particolare sono circa mille le persone che ogni anno vengono incarcerate e che poi risulteranno innocenti. Dal 1992 al 2020 si sono registrati 29.452 casi. Il carcere ha un impatto drammatico sulle famiglie e rappresenta anche un onere economico per il Paese: i 750 casi di ingiusta detenzione nel 2020 sono costati quasi 37 milioni di euro di indennizzi, dal 1992 a oggi lo Stato ha speso quasi 795 milioni di euro. Non è questa la civiltà giuridica a cui dovremmo ispirarci. E la sinistra dovrebbe riscoprire la dimensione fondamentale del proprio stare al mondo, quella libertaria.
I referendum al tempo della guerra. La guerra in Ucraina. Siamo alla sua “cronicizzazione”?
Temo di sì, con conseguenze non del tutto prevedibili. Putin è il massimo responsabile di questa tragedia che coinvolge la popolazione Ucraina e che avrà risvolti economici pesanti anche da noi. Non sono certo che noi si stia facendo il massimo sforzo per ridare spazio al negoziato.
Intanto l’Alleanza atlantica si allarga. Una super Nato, a trazione angloamericana, in una piccola Europa?
Può essere il peggiore degli scenari. La Nato è una alleanza militare difensiva, per noi irrinunciabile. L’Europa è casa nostra e il modello di democrazia e civiltà su cui abbiamo deciso di investire tutto. Nato e Ue non sono sinonimi e l’Ue non può essere subordinata ad un comando militare improprio. Uno degli obiettivi dei diversi attori in campo è quello di indebolire l’Europa, dobbiamo impedirlo investendo in autonomia e indipendenza economica, energetica e militare. Sono contrario all’aumento del 2% del Pil in spese militari. Mentre penso sia giusto accelerare verso la difesa comune europea, saremo più forti razionalizzando la spesa e la catena di comando.
Sanzioni alla Russia, armi all’Ucraina. E i pacifisti trattati come utili idioti al servizio di Putin…
Condivido le sanzioni alla Russia anche se vanno messi in conto rinculi evidenti sulle nostre economie. Ho dubbi sull’invio di armi che ci avvicinano troppo al profilo dei cobelligeranti sguarnendo il fronte diplomatico. Chi meglio dell’Ue può svolgere la funzione di dialogo per avvicinare il cessate il fuoco (parole del Santo Padre che la politica non ha raccolto) dentro una idea multipolare del mondo, attenta alle diversità e non solo alla supremazia occidentale? I pacifisti stanno facendo un lavoro straordinario a sostegno delle popolazioni colpite dal fuoco russo. Di questa potenza pacifica disarmata che opera ogni giorno in maniera cooperativa si parla pochissimo. Piuttosto si preferiscono le banalizzazioni, si preferisce far parlare strani giornalisti russi tradotti da interpreti russi così da enfatizzare l’effetto via col vento, ricordate l’accento farsesco degli afrodiscendenti? Stessa cosa. Così da mandare in scena una commedia in cui tutte le parti sono già scritte. Di chi va in Ucraina portando cibo e torna mettendo in salvo persone interessa a pochi. Purtroppo penso che il sistema dell’informazione, delle grandi firme a difesa dello status quo, sia parte integrante della crisi delle élite del nostro Paese. Molto atlantiche e poco attente ai veri interessi nazionali ed europei.
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