Il futuro dei dem
Intervista a Massimiliano Smeriglio: “Se il Pd segue Renzi e Calenda non va da nessuna parte”
“Noi dobbiamo avere il coraggio di mettere in campo una rifondazione come fecero i socialisti francesi nel ’71 ad Epinay. Una rifondazione del linguaggio, della narrazione, dei programmi, del modo di stare insieme”. Il Pd e un “nuovo inizio” tutto da declinare. Il Riformista ne di discute con Massimiliano Smeriglio, europarlamentare del Partito democratico, già Vice presidente della Regione Lazio.
“La svolta di Letta: “La sinistra riparte dagli ultimi: i migranti”. E’ il titolo di apertura di questo giornale a un articolo di Angela Azzaro che riflette sul carteggio tra il segretario Dem e Luigi Manconi. Lei come la vede?
La prima cosa che mi viene da dire è che dobbiamo fare attenzione a non farci dettare l’agenda dalla destra. È un’agenda tutta ideologica, l’agenda di chi è in difficoltà ad affrontare i temi sostanziali: bollette, salari, pensioni, crisi energetica e che quindi ricostruisce il capro espiatorio, i feticci ideologici. Lo fa anche sulla questione dei migranti. In questi mesi di guerra noi abbiamo accolto oltre duecentomila profughi ucraini, la Polonia ne ha accolti quattro milioni. Tutto questo è avvenuto in maniera piuttosto ordinata, perché il nostro è un paese solidaristico. Sono entrati nelle nostre case, nelle nostre scuole, nelle parrocchie, nei centri sociali. C’è un lavorio costante della società italiana, e nello stesso tempo negli ultimi 15 anni sono andate via dall’Italia quasi sei milioni di persone, fra cui molte giovani e giovanissime perché non trovavano un futuro. Questo dimostra che la discussione è più ampia e complessa, e questo approccio disumano alla questione dei migranti e degli sbarchi è la cifra di una cultura politica che rasenta la dimensione razziale e anche un po’ furbetta, e cioè di mandare la palla in tribuna mentre in realtà il governo vive serissime difficoltà rispetto alla propria azione. Ciò detto è evidente che ha ragione Manconi, e che la questione del rapporto tra l’Italia, l’Europa e i flussi migratori è parte integrante dell’identità nuova che la sinistra dovrà assumere nei prossimi anni. Dentro un tratto che è ovviamente solidaristico ma che non è provinciale, cioè che fa i conti con una nuova dimensione multipolare del mondo, che fa i conti con la dimensione sincretica che in tutti i paesi che funzionano già c’è tra culture, etnie, religioni, e che tutto questo è una ricchezza e deve essere fatto oggetto di una vera e propria presa di coscienza che il mondo che verrà sarà mutevole Le persone migrano si spostano per necessità e anche perché spinte da una voglia di conoscenza Il concetto stesso di cittadinanza dovrà fare i conti con questa nuova condizione che non può essere contenuta da frontiere e Stati nazionali. Questo per dire che la destra ha vinto le elezioni proponendo ai cittadini italiani un’idea del mondo, una narrazione a suo modo coerente.
E il Pd, la sinistra?
Noi dobbiamo avere il coraggio di mettere in campo una rifondazione come fecero i socialisti francesi nel ’71 ad Epinay. Una rifondazione del linguaggio, della narrazione, dei programmi, del modo di stare insieme. Un progetto ambizioso di governo del paese che parta da un’idea del mondo. In questa idea del mondo ci sono le istituzioni comunitarie, c’è l’Europa dei popoli e non degli stati nazionali. Perché in questa idea negli stati nazionali Giorgia Meloni può sguazzare insieme alla Polonia e all’Ungheria e magari domani insieme alla Spagna di Vox e dei popolari spostati a destra. Noi invece proponiamo un’Europa delle regole comunitarie, e anche rispetto ai trattati che noi vogliamo cambiare, e cioè chi mette piede in Italia mette piede in Europa, dobbiamo avere prima una capacità perfino pedagogica rispetto ai nostri cittadini, perché è giusto fare un ragionamento sulla redistribuzione ma è anche giusto farlo per chi mette piede in Grecia, o in Spagna venendo dal Marocco o dall’Algeria, chi mette piede nei paesi balcanici perché viene da quella rotta, chi mette piede in Europa venendo dalla guerra in Ucraina, quindi avendo anche non l’atteggiamento furbesco di chi vuole scaricare su altri i flussi migratori di chi scappa da guerre e da condizioni economiche e climatiche difficoltose. Ma facendo un ragionamento che riguarda la capacità dell’Europa di essere all’altezza della propria storia, della propria cifra identitaria, che è appunto quella dei diritti umani e civili. Detto questo è evidente che il Governo sta facendo un’operazione di bassissimo cabotaggio, fuori dalle regole europee e che ci manderà a sbattere, tenendoci impegnati in una discussione in cui l’agenda la fanno producendo capri espiatori ma non risolvendo il problema né dei flussi migratori né tantomeno delle condizioni di vita estremamente difficoltose che attraversano oggi le famiglie italiane.
Giocare di rimessa non paga.
La sinistra e tutte le forze progressiste hanno la responsabilità di ritrovare la bussola, e la bussola la ritroviamo nel solidarismo, nei diritti civili, nei diritti umani, nei diritti sociali, nella lotta al cambiamento climatico, nella centralità del vivente umano e non umano. Dunque mettendo in campo un discorso fortissimo di contrapposizione alla disumanità con cui la destra gestisce questi passaggi. In questo senso le ONG non sono entità a cui dare qualche pacca sulle spalle in termini paternalistici ma sono l’alfa e l’omega delle cose che dovremmo mettere in piedi, concrete, in cui si salvano le vite in mare e in cui si costruisce un’altra idea di società. Dimostrando che c’è un altro modo di gestire questi processi, e che è possibile sottrarsi all’agenda infame fatta di tinte razziste che la destra sta costruendo. La destra va al governo e riscopriamo i flussi migratori che provengono dal Mediterraneo come fosse un’invasione, mentre noi dovremmo avere anche qui la capacità di dire che il nostro destino è il Mediterraneo. Lo sguardo a Sud, una capacità di cooperazione rafforzata con i paesi del Nord Africa può definire un campo valoriale, economico, che può essere la speranza e non il problema dell’Europa. Il Mediterraneo non come un cimitero, ma come un’opportunità straordinaria per ricollocare il nostro continente dentro una condizione geopolitica in mutazione e fargli ritrovare forza. Soprattutto se tornerà ad avere l’ambizione di svolgere una funzione terza nella crisi in Ucraina. L’Europa non può essere sinonimo di NATO, non può essere l’articolazione di un’alleanza militare ma deve essere uno spazio politico sovrano, indipendente, autonomo che torna a parlare il linguaggio della pace, e cioè che si pone come soggetto terzo in grado di costruire negoziati e trattative tra Ucraina e Russia. C’è poi una questione di fondo che non può essere glissata…
Vale a dire?
Il rapporto fra cosa si dice e cosa si fa. E cioè sul tema della coerenza e della credibilità, che è un valore aggiunto assoluto in termini di capacità di attrarre consenso. E la sinistra ha l’obbligo di cimentarsi con il tema della credibilità, e cioè di fare quello che dice e dire quello che fa. Combinato con un profilo politico alto, visionario, oltre le compatibilità date dalle maglie tecnocratiche in cui si è infilata in questi ultimi anni di governi tecnici e governi di ogni tipo e con ogni tipo di alleato. Quindi lo spazio di una rifondazione deve essere soprattutto lo spazio di una rifondazione politica. La destra viceversa appare credibile. Sia nell’impianto ideologico che nel percorso di Fratelli d’Italia. Anche quando le persone non condividono le cose che Fratelli d’Italia dice si sviluppano comunque delle forme di empatia, perché Giorgia Meloni appare una personalità solida e coerente con la propria storia. Noi veniamo da testacoda incredibili, che vanno dal dire nel giro di una settimana “agenda Draghi” e poi no al “Jobs Act”, che quindi alla fine risultano false entrambi. Oppure da un atteggiamento moralistico, solidaristico individuale, di compatimento e di dolore del singolo rispetto al dramma dei migranti e dei flussi migratori e poi però ci si avvia a reiterare gli accordi con la guardia costiera libica. Mentre gli sbarchi come la guerra non sono temi morali, bensì di posizionamento politico, e anche le scelte su come si affrontano questi processi complessi devono essere scelte pragmatiche che in ogni caso partono sempre dalla salvaguardia della vita degli esseri umani. Su questo il centrosinistra in questi anni è stato carente e poco credibile. Una rifondazione del nostro campo deve partire da questo processo, andare in profondità rispetto alla perdita dell’anima e sulla dimensione della governabilità come unica dimensione possibile e rimettere in gioco i fondamentali. Non so se questo accadrà dentro al congresso del Partito Democratico a cui auguro buona fortuna. So che però questo è quello che servirebbe a tutti noi uomini e donne di sinistra, del mondo progressista.
Il Pd va a congresso. Un congresso aperto, che per alcuni dovrebbe essere Costituente. Intanto si allarga l’elenco di chi si candida a segretario. Tra questi Elly Schlein.
A Elly auguro il meglio così come a tutti candidati che proveranno a scalare il Pd. Permane un certo scetticismo nell’osservare un partito piantato a terra e una discussione di fondo che non riesce a partire. In fondo i nodi sono sempre i medesimi, il Pd come sintesi tra le diverse culture costituzionali ha esaurito la sua corsa. Può velocemente trasformarsi da partito generalista con ambizioni nazionali in partito di parte capace di difendere blocchi e interessi sociali specifici. Il Pd insomma dovrà decidere se essere un partito della sinistra capace di innovare o un partito liberale o semplicemente un apparato di professionisti capaci di governo purchessia come è stato in questi dieci anni. Questa dovrebbe essere la discussione. Puntare tutto sulla leadership mi pare la solita scorciatoia, che non risolve il tema del profilo, della cultura politica, delle forme organizzate che dovrà assumere nella società italiana e del posizionamento. In questo senso quello che sta accadendo sulle regionali del Lazio è abbastanza imbarazzante. Per evitare Conte si è finiti nelle braccia del terzo polo. Un Pd che prende la linea da Renzi, Calenda e Boschi non può avere l’ambizione di trasformarsi per cambiare le cose.
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